Come fa un sottomarino a scendere e salire dall’acqua?Nicola.

Caro Nicola,

interpreto la tua domanda come intesa a conoscere il metodo con cui i sottomarini si immergono e poi riemergono, e non come vengono messi in acqua per la prima volta dopo la loro costruzione (si tratta comunque di un varo, né più né meno come per ogni altro tipo di nave).

Lasciami prima di tutto fare una precisazione: si chiamano sottomarini quei battelli, di norma a propulsione nucleare, che navigano prevalentemente in immersione e che solo episodicamente vengono in superficie;
mentre i sommergibili sono quelli che navigano abitualmente in emersione e che si immergono solo in occasione di azioni belliche (… speriamo sempre simulate !).

La spiegazione che segue si riferisce ai sommergibili, ma in linea di principio è valida anche per i sottomarini.

I sistemi usati per fare immergere, emergere o, in generale, variare di quota un sommergibile sono essenzialmente due:

  • uno statico, fondato sul bilanciamento tra il peso del sommergibile e la spinta al
    galleggiamento che esso riceve per il principio di Archimede;
  • uno dinamico, che sfrutta, quando il sommergibile è immerso ed in moto, la
    portanza dei suoi cosiddetti timoni di profondità.

Come ogni corpo immerso in un liquido, il sommergibile è soggetto principalmente
a due forze:

  1. il peso, diretto verticalmente dall’alto verso il basso;
  2. la spinta, diretta verticalmente dal basso verso l’alto e di intensità pari
    al peso del volume del liquido spostato (nel nostro caso, acqua marina).
Per far immergere un sommergibile si deve aumentarne il peso cosicché esso superi in intensità la spinta verso l’alto dovuta al suo volume. Ovvero, in termini più rigorosi, si deve annullare la “riserva di spinta” dovuta alla parte emersa del battello (detta – come per tutte le navi – opera morta, in contrapposizione alla cosiddetta opera viva, che è la parte immersa).

Questo si ottiene immettendo acqua marina in appositi compartimenti allagabili (“casse”).
Ciò fa aumentare il peso del sommergibile, che tende quindi ad immergersi.

Per fare un’analogia, è come quando – a causa di una falla – una nave è invasa dall’acqua ed affonda. Tuttavia, mentre in quest’ultimo caso l’allagamento è incontrollato, nel caso dei sommergibili l’allagamento delle
casse è comandato, controllato e (soprattutto !) reversibile.

Infatti, per far riemergere il battello basta espellere l’acqua da una delle casse (la cassa emersione) immettendovi aria compressa, prelevata da apposite bombole (interne allo scafo). L’alleggerimento dovuto alla sostituzione della zavorra d’acqua nella cassa emersione con aria, consente al sommergibile di portarsi in “affioramento” (vale a dire con la sola torretta fuori dall’acqua). In questo assetto è possibile aspirare aria
dall’atmosfera e pomparla dentro alle casse ancora allagate, diminuendo ulteriormente il peso del sommergibile e portandolo così completamente in superficie.

I timoni di profondità vengono usati per variare la quota del sommergibile quando è già immerso.

Si tratta di appendici esterne allo scafo, in genere due coppie di alettoni orizzontali che possono ruotare a comando, di qualche decina di gradi, intorno al loro asse.

Una coppia di timoni di profondità, un timone per lato, è sistemata all’estrema poppa del battello, in prossimità del suo timone verticale (o “di direzione”), in una configurazione simile a quella della coda degli aerei di linea. L’altra coppia di timoni di profondità è sistemata ai lati della torretta o a prora estrema.

E’ facile intuire che l’inclinazione dei timoni di profondità, con sommergibile immerso ed in moto, può avere un effetto portante o deportante e permette di inclinare il battello longitudinalmente. Sfruttando quindi
la portanza dell’intero scafo così inclinato, si effettuano le variazioni di quota desiderate. In particolare, se i timoni sono orientati in modo da far affondare la prora ed alzare la poppa sono detti “a scendere”, se viceversa tendono a far alzare la prora ed affondare la poppa sono detti “a salire”.

Ecco spiegato in breve come si fa a far immergere, emergere o variare di quota un sommergibile.
Ci sarebbero ancora molte cose interessanti da dire circa il mantenimento dell’assetto del sommergibile in immersione, mediante l’uso delle casse “assetto” e “compenso pesi” o l’uso sfalsato dei timoni di profondità; o circa i modi per effettuare piccole variazioni di quota; o circa l’uso della cassa di rapida immersione (la famosa “rapida”, spesso citata nei film di guerra) che consente di passare in poche decine di secondi dalla navigazione in emersione a quella in immersione. Qualora tali argomenti siano di tuo interesse, fammelo sapere tramite il sito “Chiedi all’esperto”, ed io proverò con piacere ad approfondirli.

Un commento

  1. Chiarissima la spiegazione, soprattutto per la dovizia dei dettagli. Quello che però ne deduco, e qui mi si corregga per favore se sbaglio, è che, se il peso specifico del natante, aumentato col riempimento delle casse fino a vincere la spinta verso l’alto, cioè il galleggiamento, lo fa affondare, una volta in immersione il sommergibile (o sottomarino che si voglia) per mantenere costante quella profondità, e non affondare quindi ulteriormente, deve necessariamente essere in movimento, altrimenti, se fosse fermo, gli alettoni sarebbero totalmente privi di portanza e il natante affonderebbe inesorabilmente. Giusto?

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