Sappiamo che la velocità della luce, 300.000 Km/s, rimane costante per qualsiasi osservatore in qualsiasi moto. Spesso però si trova scritto che particolari dielettrici, come l’acqua ad esempio, ne “rallentano” il cammino ovvero diminuiscono la sua velocità. La domanda è la seguente: come può diminuire la velocità della luce se “dev’essere” sempre uguale a 300.000 Km/s? E se esiste un dielettrico, come l’acqua, che è in grado di rallentare la luce non e plausibile immaginare un dielettrico che l’acceleri?

La velocita’ della luce “nel vuoto”, ovvero la velocita’
di propagazione del campo elettromagnetico, e’ SEMPRE di 300.000 Km/s
(per la precisione, c=299.792,456). Quello che accade all’interno di un
materiale va visto con la ‘lente di ingrandimento’: immaginiamo, per mantenere
una descrizione di tipo classico, di visualizzare le particelle cariche
(protoni ed elettroni), che costituiscono il materiale in studio. In realta’
andrebbero definiti concetti di meccanica quantistica, come la densita’
di probabilita’, ma possiamo anche farne a meno, senza perdere di vista
la fisica del problema. Nel caso di gas, liquidi, e solidi i protoni (assieme
ai neutroni) costituiscono i nuclei atomici, che possiamo visualizzare
come aventi la dimensione di palline da tennis. Queste palline, su questa
scala ingrandita, giacciono a parecchie centinaia di metri l’una dall’altra,
e sono continuamente in moto (i loro movimenti sono piu’ limitati nei
solidi che nei liquidi, e in questi ultimi piu’ che nei gas). Gli elettroni,
che possiamo visualizzare invece come ‘nuvole di carica negativa’, si
muovono in alcune regioni intermedie, piu’ o meno ben localizzate, attorno
alle palline e nello spazio intermedio. Essi si concentrano comunque solo
in alcune regioni, situate, sempre nella nostra immagine ingrandita, a
parecchi metri di distanza dai centri delle palline. Quindi, essenzialmente,
tutti i materiali sono fatti per la maggior parte di vuoto. In questo
vuoto, il campo elettromagnetico (quindi la luce) viaggia SEMPRE a 300.000
Km/s. Chiamiamo questo il campo elettromagnetico Microscopico. Tuttavia,
quando un campo esterno incide sul materiale, elettroni e protoni, essendo
carichi, subiscono delle forze, e modificano di conseguenza il loro stato
e il loro movimento. Modificandosi lo stato ed il movimento delle particelle,
vengono generati nuovi campi elettromagnetici che vanno a sommarsi tra
di loro e con il campo esterno. Il risultato di questo fenomeno, chiamato
effetto di schermo, e’ che il campo elettromagnetico risultante TOTALE
e’ in genere molto diverso da quello incidente. Inoltre, il campo che
noi misuriamo e’ sempre un campo Macroscopico, risultato cioe’ della media
del campo totale fatta su una regione di spazio di dimensioni molto maggiori
di quelle corrispondenti alle distanze tra gli atomi. (nella scala ingrandita,
sarebbe una media su una regione di parecchi chilometri). E’ proprio questo
campo elettromagnetico Macroscopico che ci appare propagarsi con una velocita’
inferiore a c. Inoltre, la sua intensita’ puo’ modificarsi, decrescendo
(ma in alcuni casi crescendo, ad es. nei laser) , mano a mano che la propagazione
avanza.

In altre parole, se andiamo a vedere davvero quello che
accade al livello microscopico, troviamo sempre e solo campi che si propagano
a 300.000 Km/s, descritti dalle equazioni di Maxwell nel vuoto. Se pero’
vogliamo evitare la descrizione dettagliata microscopica e limitarci a
dare una descrizione macroscopica, e’ possibile ‘riassumere’ tutti gli
effetti dovuti alla presenza di particelle cariche ed al modo in cui esse
rispondono alle sollecitazioni elettromagnetiche, introducendo due funzioni
complesse, dette funzione dielettrica e e permeabilita’
magnetica m, che dipendono a priori sia dalla
posizione che dal tempo, e quindi dalla frequenza (energia) del campo.

Tecnicamente, come risultato, si ottengono le equazioni
di Maxwell nei mezzi, in cui appaiono i campi D ed H legati a E e B dalle
relazioni D= e*E, H = B/m.
Da queste equazioni risulta (la dimostrazione si puo’ trovare in Jackson,
John D.; Classical Electrodynamics; New York, John Wiley & Sons, 1975,
oppure in un manuale di Fisica 2) che la velocita’ effettiva di propagazione
del campo macroscopico all’interno del materiale e’ pari a quella nel
vuoto DIVISA per la parte reale della radice quadrata di (e*m),
ed e’ quindi, in generale, diversa da c. La parte immaginaria invece rappresenta
la rapidita’ con la quale l’onda si attenua o si amplifica spostandosi
nello spazio.

Per quanto riguarda la seconda domanda, occorre puntualizzare
che quella di cui abbiamo parlato finora e’ la cosiddetta “velocita’ di
fase”, cioe’ la velocita’ di propagazione di un’onda ideale, monocromatica,
che per definizione si estende indefinitamente sia nel tempo che nello
spazio. Tuttavia, poiche’ la velocita’ di propagazione dipende dalla frequenza,
si ha il fenomeno chiamato dispersione: le varie componenti del campo
a diverse frequenze si muovono con velocita’ effettive diverse, e quindi
un singolo ‘impulso’ o onda di durata finita (che contiene quindi componenti
a tutte le frequenze) si deforma durante il tragitto. (Un’altra conseguenza
della dispersione e’ che alla superficie di separazione tra due mezzi
che possiedono funzioni dielettriche diverse le varie componenti del campo
subiscono deviazioni diverse, e quindi si propagano poi lungo diverse
direzioni, dando luogo alla scomposizione dello spettro nei vari colori.
Si veda anche l’articolo: http://www.scienzenaturali.com/redazionale/NF_riflettiamoci.htm
). Ora, se vogliamo definire la velocita’ con cui si propaga questo impulso
o ‘pacchetto d’onde’, troviamo (vedasi sempre Jackson, John D, , p.299,
citato sopra) che in un mezzo in cui la velocita’ di propagazione dipende
dalla frequanza, essa non coincide affatto con la velocita’ di fase. Si
dimostra invece (Jackson, John D, , p.315, citato sopra), anche se in
modo non semplice, che la velocita’ di propagazione di qualsiasi SEGNALE
FISICO che abbia un inizio e una fine nel tempo e nello spazio e’ sempre
minore o uguale a c. Questo anche se e’ possibile che PER ALCUNI VALORI
DELLA FREQUENZA la parte reale della radice quadrata di (e*m)
sia minore di 1, e quindi la velocita’ di fase sia maggiore di c. Questo,
infatti, non avviene mai per tutte le frequenze contemporaneamente.