Perchè utilizziamo il parsec ad un angolo di parallasse di 1 secondo di grado?

Il parsec è per definizione l’unità di misura di lunghezza che rappresenta la distanza alla quale bisogna porre un oggetto affinché esso presenti un angolo di parallasse di un secondo.
E’ un’unità di misura molto pratica in astronomia, tanto che essa e i suoi multipli sono i più usati per la misura di distanze.

Vediamo perché in dettaglio: per misurare le distanze di oggetti astronomici relativamente vicini, il metodo più semplice, e l’unico diretto (1), è quello di misurare il suo angolo di parallasse. In altre parole, si misura la sua posizione rispetto allo sfondo di oggetti molto più lontani (considerati per questo fermi) a 6 mesi di distanza. Lo spostamento angolare è dovuto al cambio di prospettiva, dato che la Terra si trova dall’altra parte rispetto al Sole (dunque distante 2 unità astronomiche dalla prima misura), per cui, nota la base dello spostamento e l’angolo al vertice dovuto alla parallasse, con semplici calcoli trigonometrici di risale alla distanza dell’oggetto stesso.
A questo punto appare evidente che, il modo più pratico per fare questo calcolo è adottare un’unità di misura che esprima la distanza di un corpo che presenti uno spostamento di un secondo, quando la base del triangolo è esattamente 1 U.A. e chiamarla parsec. Così facendo, con misure a 6 mesi di distanza, e dunque quando la base del triangolo è doppia, un oggetto distante 1 parsec presenterà uno spostamento di 2″, uno distante 2 parsec di 1″, e così via, semplificando notevolmente i calcoli. In pratica, nota la distanza dell’osservatore durante le due misure e lo spostamento angolare in cielo, con una semplice divisione di ottiene la distanza espressa in parsec.

Naturalmente, per oggetti più distanti di qualche centinaio di parsec lo spostamento (dell’ordine di pochi millisecondi) diventa comparabile con gli errori di misura strumentali anche con gli strumenti più sofisticati montati a bordo di satelliti, e perciò la parallasse diventa inutilizzabile. Dunque parrebbe poco pratico continuare ad adottare il parsec, kiloparsec, megaparsec ecc… come unità di misura in tutti gli altri casi. Ma in realtà non è così.
Per misurare la distanza degli oggetti più distanti si fa uso delle cosiddette “candele standard”. Le candele standard sono delle classi di oggetti astronomici la cui distanza sta in una qualche relazione di proporzionalità con un altro parametro fisico più facilmente misurabile (luminosità, righe spettrali, dimensioni angolari, numero di oggetti, ecc…). Quello che si fa, dunque, è misurare l’altro parametro fisico e da esso dedurre la distanza.
Per esempio le variabili cefeidi (una particolare classe di stelle pulsanti) hanno un periodo di variazione che è proporzionale alla loro luminosità assoluta. Siccome la luminosità relativa si può misurare con un fotometro e dato che quest’ultima dipende esclusivamente da quella assoluta e dal quadrato della distanza, con una misura fotometrica e una del periodo di variazione della curva di luce si può risalire alla distanza.
Di candele standard ne esisono almeno una decina, dalle Supernovae di tipo Ia che hanno la luminosità assoluta nel momento del massimo che è quasi constante, al numero di nebulose planetarie in una galassia, che è circa proporzionale alla sua luminosità, alla dimensione della galassia ellittica principale di un ammasso di galassie, ecc… Ogni candela standard ha un range di distanze entro il quale il metodo è applicabile.
Per un approfondimento su questo punto consiglio i seguenti siti:

http://universe-review.ca/R02-07-candle.htm
http://burro.astr.cwru.edu/Academics/Astr222/Cosmo/DistScale/candles.html
In questo discorso ci sono però due punti fondamentali: il primo è che quello delle candele standard è un metodo di misura indiretto della distanza, che si basa su misure di altre proprietà fisiche e su leggi di proporzionalità empiriche, che vanno opportunamente provate e tarate prima di essere usate.
Il secondo punto è che, per eseguire queste tarature è necessario conoscere la distanza di almeno un ristretto numero di candele standard usando un metodo di misura alternativo, che non ne faccia uso (altrimenti si cade in un vicolo cieco). Dal momento che ogni candela standard ha un arco di distanze in cui è applicabile, è necessario costruire una sorta di “scala” delle candele: si usano quelle applicabili a distanze minori per tarare quelle applicabili più in distanza, e così via in una sorta di scalinata che consenta di misurare fino ai confini dell’universo. E’ evidente che ogni errore compiuto ad ogni gradino della scala si riflette sugli errori nei gradini successivi, da cui l’importanza di misure sempre più accurate ad ogni ordine di grandezza.

A questo punto si capisce perché il parsec sia così importante in astronomia: la parallasse è non solo l’unico metodo di misura diretto delle distanze, ma è anche la “base” della scalinata delle candele standard, il metodo che viene usato per tarare le variabili cefeidi, che a loro volta vengono usate per tarare le altre candele standard. Dunque, una volta che abbiamo assunto il parsec come unità di misura comodo per le misure di parallasse, esso si riflette così naturalmente nei calcoli successivi da apparire sciocco adottarne un altro.

(1) per la misura della distanza di oggetti relativi a corpi del sistema solare interno oggi è possibile usare anche il tempo di ritorno dell’eco radar.