Perché la lava dell’Etna è così densa e scorre più lentamente rispetto a quella di altri vulcani?

La velocità di scorrimento di una lava dipende principalmente
dalla densità della roccia fusa. La densità di una roccia
vulcanica (fusa oppure consolidata) dipende dalla sua composizione chimica
nonché dalla tessitura della roccia, dalla presenza di vuoti e
pori, dal contenuto in acqua, ecc. (spesso queste caratteristiche sono
legate tra loro perché, per es. un magma viscoso si libera più
difficilmente della sua componente gassosa – principalmente vapore acqueo).

I petrografi distinguono le rocce magmatiche (quasi esclusivamente composte
da silicati) in rocce acide e basiche quando il contenuto in silice (SiO2)
è superiore al 65%, oppure compreso tra 45 e 52% rispettivamente.
Le rocce dal contenuto in silice compreso tra 52 e 65% prendono il nome
di intermedie (esempio, le rocce vulcaniche dette andesiti). 

Un esempio di roccia basica (effusiva) è il basalto, composto essenzialmente
da plagioclasi ricchi in calcio, da pirosseni e da olivina, oltre ad altri
minerali occasionalmente presenti (per esempio l’orneblenda). Il basalto
è una roccia piuttosto densa (tra 2,9 e 3,1) e allo stato fuso
è particolarmente fluida e facilmente degassabile, cosa che ne
favorisce lo scorrimento superficiale, lento o veloce a seconda della
pendenza. La lava basaltica, tipica di vulcani come quelli Hawaiani o
come l’Etna, presenta temperature relativamente elevate (superiori ai
1000 °C). Un vulcano basaltico presenterà un tipo di eruzione
prevalentemente effusiva, con scorrimento copioso e tranquillo di lave
molto calde.

Una roccia effusiva acida è invece la riolite (o liparite), costituita
da quarzo, feldspati alcalini e alcali-calcici e da pochi minerali femici
(cioè ferromagnesiaci, più comuni nelle rocce basiche).
La lava riolitica ha densità più bassa del basalto (tra
2,5 e 2,8) e temperature inferiori a 1000 °C. Essa è comune
nei vulcani dell’arcipelago delle Eolie. La lava riolitica è meno
densa del basalto e più viscosa. Spesso consolida formando vetro
vulcanico (ossidiane). Perde la sua componente volatile con difficoltà
producendo rocce bollose e porose (pomici), dando luogo ad eruzioni piroclastiche,
esplosive, con produzione di lapilli, scorie, ceneri e bombe vulcaniche. 

Il tipo di lava emessa, in un modo o nell’altro, da un vulcano dipende
dal contesto geologico. Il tipo di vulcanismo ha a che fare con il quadro
geodinamico regionale o continentale, per esempio il vulcanismo può
ricorrere in prossimità dei margini tra le placche, ovvero all’interno
di una placca stabile (vulcanismo intraplacca). Il chimismo delle lave
dipende inoltre dalla natura delle rocce attraversate dalla lava durante
la risalita verso la superficie: i prodotti assimilati possono modificare
la composizione originale del magma (che in profondità, nel mantello,
è comunque basaltico).

I vulcani italiani come il Vesuvio o i Campi Flegrei, i vulcani eoliani
(come Stromboli o Vulcano), l’Etna, presentano contesti geologici differenti.
Alcuni sono dovuti per esempio allo scontro tra le placche litosferiche
e alla loro subduzione e rifusione profonda (Vesuvio, Stromboli, Vulcano). 

Il magma proiettato dal Vesuvio tra il 1631 ed 1944 sotto forma di pomici,
ceneri e lapilli presenta un chimismo di tipo basaltico-alcalino (tefriti
leucitiche). Sono magmi ricchi in silice ed in elementi alcalini (sodio,
potassio), e poveri in calcio e magnesio, come invece si osserva per le
lave, effuse in misura minore. 
Spesso l’acqua di falda, o quella marina, si insinua entro le camere magmatiche
superficiali o nei condotti vulcanici dando luogo ad eruzioni di inaudita
violenza (eruzioni freato-magmatiche). 

Le eruzioni come quelle del Vesuvio del 79 d.C. (che portò alla
distruzione di Pompei ed Ercolano e alla formazione del Monte Somma) sono
le più pericolose, perché imprevedibili e violente, con
formazione di ignimbriti (nel 1902 il vulcano Pelée nella Martinica
esplose producendo una nube di vapore surriscaldato misto a polveri ardenti
che alla velocità di 160 chilometri orari investì la città
di Saint Pierre, distruggendola e uccidendo all’istante tutti i suoi quarantamila
abitanti).

L’Etna
è un tipico strato-vulcano. Quando iniziò la sua attività,
tra 500 e 700 mila anni fa, il chimismo delle sue lave era basaltico,
di tipo toleitico. Da quando il vulcano è emerso dalle acque e
ancora oggi, il chimismo delle lave è cambiato e vengono effusi
prevalentemente basalti alcalini. L’attività effusiva è
prevalente, ma i prodotti lavici sono intercalati a materiali piroclastici. 

La lava basaltica del’Etna è povera in silice, è molto calda,
densa e fluida, per cui le eruzioni sono tranquille e il percorso delle
lave prevedibile. La velocità di scorrimento è superiore
a quella delle lave acide, più ricche in silice e più viscose
e leggere. 

 

Le lave dei vulcani eoliani, come Stromboli, sono invece ricchissimi
in silice  ed in acqua (rioliti). La presenza della silice (e del
vapore) rende più leggera la lava e la rende più viscosa.
Come già detto, ciò provoca una più difficile degassazione
ed eruzioni più violente, imprevedibili e potenzialmente distruttive.

In definitiva, L’Etna produce lave più dense e fluide perché
a chimismo basaltico, e ciò dipende dal contesto geodinamico nonché
dalla natura dello strato di rocce attraversato dalla lava durante la
risalita verso la superficie.
 

Per concludere, c’è da osservare come il chimismo dei prodotti
(non solo lavici) emessi da un vulcano cambia e si evolve nel corso della
vita del vulcano, vita misurabile in migliaia o decine di migliaia di
anni. Solitamente un vulcano inizia la sua attività millenaria
con prodotti lavici basaltici, poveri in silice e ricchi in ferro e magnesio.
Al termine della sua vita, un vulcano produce lave più ricche in
silice (perché più differenziate, a causa dei meccanismi
di consolidamento e cristallizzazione frazionata che avvengono nella camera
magmatica sottostante). La conclusione dell’esistenza di un vulcano vede
lo svuotamento o il lento consolidamento della camera magmatica, la formazione
di domi e la distruzione dell’edificio vulcanico superficiale a causa
dell’aumento di esplosività. Infine, l’edificio collassa sotto
il suo stesso peso formando una caldera, come le tante visibili, oggigiorno,
nel Lazio e nella Campania, e spesso trasformate in tranquilli laghi craterici.

      Bibliografia

  • Rittmann A. (1944) – I vulcani e la loro attività. Rocca S.Casciano,
    Cappelli.1967
  • Negretti G., Di Sabatino B. (1983) – Corso di Petrografia. CISU
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