Volevo porvi una domanda un po’ particolare. Le immagini che i nostri occhi catturano, in realtà sono elaborate dal cervello. Ebbene mi chiedevo se l’immagine è composta da fotogrammi o è un flusso continuo. Come fa il cervello ad elaborare così velocemente i dati? Inoltre il nostro occhio o cervello che risoluzione dona all’immagine in Megapixel?

L’occhio umano è stato spesso paragonato a una macchina fotografica, per la presenza di una ‘pellicola’ sensibile, la retina, di una lente in grado di mettere a fuoco diversi piani.
Tuttavia la similitudine con una macchina fotografica si ferma qui.
Se prendessimo in considerazione l’immagine singola che viene elaborata in 1/10 di secondo dalla retina e dal cervello, scopriremmo che è di qualità molto scarsa.

La retina presenta infatti una sola zona di visione ottimale, chiamata fovea, nella quale sono raggruppati la maggioranza dei coni, i fotorecettori destinati alla visione diurna. La restante parte della retina possiede coni e soprattutto bastoncelli, fotorecettori che non percepiscono i colori e che vengono saturati velocemente da una luce intensa. I bastoncelli infatti sono deputati alla visione notturna. La visione totale dell’occhio umano è di circa 140° in orizzontale e di 120° in verticale, la visione della fovea abbraccia invece solo 8° orizzontalmente e 6° verticalmente. Considerando anche le zone di buona visione laterali alla fovea, possiamo considerare ‘buono’ un campo non superiore ai 30°!

Da: faculty.washington.edu/ chudler/eyecol.html

 

I bastoncelli sono 120 milioni, i coni 7 milioni. Anche se considerassimo solo i coni, sarebbe improponibile equipararli a un pixel. Il pixel è la minima unità risolvibile di una immagine digitale. Il pixel tuttavia contiene tutte le informazioni relative al colore, quali tonalità, intensità e saturazione. Lo stesso non si può affermare per i coni, che sono di tre tipi diversi, uno per ciascun colore fondamentale. Saliamo quindi di livello, e giungiamo alle cellule gangliari, che costituiscono l’elemento di uscita dell’informazione visiva dall’occhio. Ogni cellula gangliare riceve le afferenze di numerosi coni e bastoncelli, riuniti in un gruppo che viene chiamato ‘campo ricettivo’ della cellula gangliare. In periferia il campo ricettivo di una cellula gangliare va da 3 a 50° di arco, mentre a livello della fovea il campo è ristretto a pochi minuti di arco. La tentazione sarebbe quella di considerare come unità visive le singole cellule gangliari, che si stimano essere circa 1,25 milioni. Purtroppo anche questo assunto sembra essere scorretto. Dati preliminari sullo studio dell’organizzazione spaziale delle cellule gangliari, hanno determinato che anche questi neuroni sono organizzati in gruppi di 5-6 cellule, ognuna delle quali sembra deputata all’elaborazione di una certa caratteristica dell’immagine.
Le cellule gangliari, o meglio le unità operative di cellule gangliari, ricevono in realtà stimoli multipli parzialmente elaborati da altri due tipi di neuroni interposti tra fotorecettori e cellule gangliari stesse: le cellule amacrine e le cellule orizzontali. Spiegare il funzionamento di questi ultimi interneuroni sarebbe molto complesso, per cui consideriamo che l’immagine lasci la retina sotto forma di impulso elettrico dalle cellule gangliari e raggiunga la sua meta, ma non scordiamo che questa ‘immagine’ è già stata filtrata a livello della retina stessa.
A questo punto l’impulso nervoso raggiunge il corpo genicolato laterale, dove si forma una rappresentazione retinotopica del campo visivo, cioè una mappa nervosa della retina. Il percorso dell’immagine prosegue quindi verso la corteccia visiva primaria e quindi alla corteccia visiva secondaria e alla extrastriata dove avviene l’elaborazione ultima dell’immagine e il suo confronto con i dati ivi immagazzinati.

Da: http://www.driesen.com/primary_visual_pathway.htm


Questa situazione è già complicata nel caso del singolo ‘fotogramma’ percepito in 1/10 di secondo. Il nostro occhio però non si comporta come una macchina fotografica statica, ma piuttosto come uno scanner. I nostri occhi infatti compiono continui movimenti, detti movimenti saccadici o saccadi, che portano al centro della fovea porzioni diverse dell’immagine. Questo ci permette di vedere in maniera distinta e a fuoco tutta l’immagine che rientra nel nostro campo visivo. L’occhio quindi vede a fotogrammi, dal momento che durante la saccade i recettori sono ‘ciechi’. A livello delle cortecce poi l’immagine viene rielaborata e resa omogenea. L’immensa possibilità di confronto e realizzazione dell’immagine attribuita alla corteccia è egregiamente dimostrata dalla presenza di una macchia cieca nella retina. La macchia cieca, del diametro di 1,5 mm, è una zona della retina dove non esistono fotorecettori, dal momento che in quel punto passa il nervo ottico. Noi, tuttavia, non ci accorgiamo di questa macchia se non tramite illusioni ottiche appositamente studiate, poiché il nostro cervello unisce le due immagini dateci dai nostri due occhi e effettua una operazione di filling-in, di riempimento.
Per quanto riguarda la velocità di acquisizione delle immagini, abbiamo detto che la distanza minima di due immagini perché il nostro occhio le consideri separate, la cosiddetta risoluzione temporale, è di 1/10 di secondo. Su questa particolarità si basa la tecnica cinematografica, che ci propone fotogrammi a distanze inferiori a questo tempo limite e che quindi noi non riusciamo a risolvere. Il risultato è che un film ci sembra continuo, nonostante sia composto da più fotogrammi.
Riguardo invece alla velocità con cui il nostro cervello elabora i dati, bisogna ricordare che gli stimoli nervosi sono elettrici e quindi viaggiano a velocità sostenute e che ogni cellula gangliare esporta dalla retina un’informazione già semi-elaborata, rendendo più facile il compito alle cortecce. Inoltre l’elaborazione delle immagini viene effettuata grazie anche alla capacità di comparazione che il nostro cervello possiede. Le cortecce visive sono infatti in grado di comparare l’immagine attuale con altre già viste e quindi accelerare il processo di costruzione dell’immagine stessa. Addirittura alcuni autori presuppongono che la formazione dell’immagine sia pesantemente influenzata dal substrato culturale e sociale del singolo individuo.