Quali sono state le tappe fondamentali che hanno caratterizzato lo sviluppo della teoria atomica da Democrito fino ai modelli odierni?

Essendoci in rete già moltissimo materiale in proposito,  mi limito a una risposta sintetica. Il lettore interessato è rimandato alla consultazione di altro materiale reperebile, per esempio, su


http://www.calion.com/cultu/atomo/storia.htm

http://www.cicap.org/articoli/at100864.htm

Essenzialmente, l’idea originaria di Democrito circa la divisibilità della materia in piccoli costituenti (atomi) è stata abbandonata per secoli, e poi ripresa da J. Dalton nel secolo diciannovesimo. Dalton non si interrogò sulla natura e sulla struttura dell’atomo ma accettò, diremmo, acriticamente le idee del suo predecessore ellenico.


Fu con J.J. Thomson che si cominciò l’indagine sulla struttura atomica. Sebbene i primi lavori di costui, sull’argomento, risalgano al 1881, il modello definitivo da lui concepito fu consegnato e pubblicato sul Philosophical Magazine nel 1904. In quegli anni erano stati scoperti i cosiddetti raggi catodici, visibili come una radiazione luminosa che scaturiva tra due elettrodi posti entro un tubo a vuoto. Si trattava (secondo le ipotesi di allora, dimostratesi poi corrette almeno in parte) di fasci di particelle cariche negativamente (gli elettroni) di cui Thomson riuscì a misurare il rapporto massa/carica (m/q). Immaginando che tali particelle dovessero provenire dall’interno della materia che costituiva gli elettrodi, Thomson arrivò a formulare la sua idea di atomo come una sferetta carica positivamente contenente al suo interno gli elettroni.


Sottoponendo una sottile lamina d’oro al bombardamento con particelle alfa (nuclei di elio) e analizzando i risultati, Rutherford (1911) giunse a un modello diverso, denominato modello planetario. Di preciso, Rutherford si accorse che la gran parte delle particelle alfa inviate sulla lamina non subiva deviazioni significative dalla traiettoria rettilinea originale, mentre poche erano deviate di molto, con angoli prossimi ai 180° (in pratica, tornavano indietro a seguito dell’urto con la lamina). Secondo lo scienziato inglese, ciò stava a indicare che la gran parte della massa atomica (e della carica positiva, in grado di respingere per repulsione elettrostatica le particelle alfa pure cariche positivamente) che costituisce l’oro fosse concentrata in una ristretta regione di spazio (nucleo), mentre la rimantente porzione di spazio internucleare fosse essenzialmente vuota. Gli elettroni sarebbero particelle molto leggere in orbita intorno al nucleo. Stime della massa elettronica erano pure disponibili a seguito delle misure di Millikan della carica elettronica (q),  che insieme al rapporto m/q misurato da Thomson permettevano di ottenere anche m.


Per quanto il modello di Rutherford sia molto intuitivo e attraente in virtù dell’analogia con il sistema planetario regolato, quest’ultimo, dalla forza gravitazionale, lo sviluppo dell’elettromagnetismo, culminato con la teoria di J.C. Maxwell, ne decretò l’erroneità in modo definitivo: cariche accelerate, quali sarebbero gli elettroni orbitanti intorno al nucleo, emettono radiazione elettromagnetica con conseguente perdita di energia; in pratica, se il modello planetario classico fosse vero, gli elettroni perderebbero rapidamente energia nell’orbitare intorno al nucleo, collassando su di questo quasi istantaneamente: l’atomo non esisterebbe che per pochi istanti!


L’uscita da questa empasse non fu semplice e richiese una vera e propria rivoluzione nel modo con cui i fisici concepiscono la Natura. Una rivoluzione che porta il nome di meccanica quantistica, che ha portata e implicazioni di importanza almeno pari a quelle avutesi con la formulazione della teoria della relatività, ad opera di Albert Einstein.


Il problema legato al modello di Rutherford non era l’unico che assillava i fisici dell’epoca; c’era la questione della radiazione da corpo nero (radiazione fotonica in equilibrio con un corpo in grado di emettere e assorbire a una qualunque frequenza, posto a una data temperatura) che invalidava la teoria classica della radiazione elettromagnetica, la cui applicazione, appunto al caso del corpo nero, prevedeva l’emissione di una quantità infinita di energia radiante, a fronte di una temperatura finita del corpo nero (problema che prese il nome di catastrofe ultravioletta). C’era il problema della spiegazione dell’effetto fotoelettrico (emissione di elettroni da un metallo illuminato da radiazione elettromagnetica a date frequenze), della natura e spiegazione degli spettri atomici (presenza di righe ben definite negli spettri di emissione o assorbimento) e dell’andamento alle basse temperature dei calori specifici dei solidi. Tutti questi problemi evidenziavano debolezze fondamentali della fisica classica, la quale non appariva in grado di spiegare in alcun modo fatti sperimentali evidenti e consolidati.


Agli inizi del ventesimo secolo fu Max Planck a risolvere il problema del corpo nero proponendo la natura quantizzata della radiazione: la radiazione elettromagnetica si compone di fotoni di energia E=hv dove h è una costante (costante di Planck che vale 6.626·10-34 J·sec) e v la frequenza della radiazione. Le idee di Planck vennero direttamente sfruttate da Einstein (che fu così in grado di spiegare l’effetto fotoelettrico, cosa che gli valse il premio Nobel) e indirettamente da Niels Bohr che, applicando per analogia il modo di ragionare di Planck e tenendo conto delle idee di L. de Broglie sul dualismo onda-particella (secondo cui a una particella dotata di impulso p è associata un’onda di lunghezza d’onda l=h/p) formulò il suo modello di atomo.


L’atomo di Bohr (1913) e apparentemente simile a quello di Rutherford, solo che nella versione quantistica, gli elettroni sono confinati su orbite stabili a energia invariante; la variazione dell’energia di un singolo elettrone non può che avvenire in modo discontinuo con la collocazione della particella su orbite diverse; ciò spiega la natura a righe degli spettri atomici e le (fino ad allora misteriose) regole dettate dal principio di combinazione di Ritz (di origine sperimentale). Raffinamenti ulteriori del modello di Bohr (esistenza di orbite ellittiche) si sono avuti con Arnold Sommerfeld per spiegare una struttura fine degli spettri atomici osservata sperimentalmente (effetto Zeeman).


La correttezza del modello di Bohr venne messa seriamente in discussione da ulteriori sviluppi della meccanica quantistica ad opera di Erwin Schroedinger e suoi contemporanei (W. Heisenberg, W. Pauli, P.A.M. Dirac, per citarne solo alcuni); per esempio, il confinamento degli elettroni di energia perfettamente definita su orbite pure ben definite è in pieno contrasto con il principio di indeterminazione di Heisenberg. Per cui, nonostante il modello della struttura atomica presentato oggi comunemente su molti libri di testo sia essenzialmente quello di Bohr (magari rivisto marginalmente con l’introduzione del concetto di orbitale in luogo di quello di orbita) le idee e le leggi alla base della concezione moderna dell’atomo sono affatto diverse da quelle di Bohr e derivano dall’applicazione sistematica dell’equazione fondamentale della meccanica quantistica ad un sistema costituito da un un nucleo e uno o più elettroni.