Come si inserisce la costante di Boltzmann nel rumore delle antenne?

Nei sistemi radio, vi sono svariate sorgenti che causano rumore: naturali
e artificiali.

La costante di Boltzmann1
è utilizzata per calcolare la potenza
di rumore causata dal moto delle cariche elettriche, denominato
rumore termico
poiché l’intensità è direttamente proporzionale alla temperatura o
rumore bianco in analogia con la luce del sole poiché copre una vastissima
gamma di frequenze.

Le antenne non aggiungono rumore termico in quanto sono elementi
passivi. Esse captano rumore termico poiché sono puntate e “vedono”
l’antenna trasmittente ad una temperatura T.
La fluttuazione casuale dei
portatori di carica in un filo metallico genera una tensione aleatoria ai
suoi capi. La distribuzione del valore di tensione è del tipo gaussiano.

Alla fine degli anni venti i ricercatori dei laboratori Bell erano in
pieno fermento. La recente scoperta delle onde corte faceva intravedere la
possibilità di realizzare canali telefonici intercontinentali ed il
problema del rumore andava indagato a fondo. Sono di questo periodo:
il teorema di Wiener-Khintchine, i teoremi di Nyquist ed i lavori
sperimentali di Johnson e Jansky2.
Ebbene la bellezza di tutto
questo lavoro fu nel fatto che noi possiamo trattare il rumore di natura
aleatoria come se fosse un segnale deterministico, poiché la statistica
temporale della tensione elettrica ai capi di un oggetto
metallico3
ha lo stesso valore di quella di n oggetti nello stesso istante t
(Il rumore termico è un segnale stocastico ed ergodico).

Possiamo quindi determinare esattamente il valore della potenza:


P = KTB

Dove P è la potenza espressa in watt, T la temperatura in gradi Kelvin,
B la banda in Hz e K la costante di Boltzmann
(1.38 10-21 J/K).

In un radioricevitore vi sono due sorgenti di rumore termico: il
rumore captato dall’antenna ed il rumore introdotto internamente dal
ricevitore. Il rumore termico captato dall’antenna dipende dall’effettiva
temperatura che l’antenna “vede” nella direzione di puntamento.

Il limite della sensibilità di un ricevitore radio, idealmente raffreddato
a 0 K per eliminare il rumore aggiunto,
è proprio determinato dal valore
KTB “visto” dall’antenna ricevente.

Il rumore entrante in antenna è amplificato dagli stadi amplificatori. Ciò
che conta in una comunicazione non è l’intensità del segnale ma il
rapporto segnale rumore.

È possibile sentire e vedere il rumore termico mediante un televisore
sintonizzato su una frequenza dove manca il segnale trasmittente
(nelle radio in banda FM, data l’occupazione selvaggia, è molto raro
trovare una frequenza libera). Alzando il potenziometro del volume
si sente il soffio del rumore termico e si vedono sul cinescopio le
fluttuazioni casuali degli elettroni, effetto sabbia, prodotto dalla
potenza di rumore entrante in antenna.

Per vedere una buona immagine, senza l’effetto sabbia, il segnale deve
avere una potenza di almeno 100 volte superiore, alla potenza del rumore
termico entrante in antenna. Rapporto segnale/rumore ≥ 100.

Nei collegamenti radio satellitari e nelle sonde è comodo esprimere la potenza
termica in temperatura di rumore equivalente. L’antenna ricevente,
puntata verso il cielo vede temperature nettamente inferiori rispetto ai
collegamenti terrestri. Negli anni sessanta, grazie un colpo di fortuna,
tramite un’antenna radio fu misurata, senza saperlo, la radiazione di
fondo dell’universo.

Merita raccontarlo. Nel 1963 due ingegneri, Penzias e Wilson della solita
Bell, incaricati di perfezionare un antenna molto direttiva per i
collegamenti satellitari, trovarono uno strano rumore, di circa 5 gradi
Kelvin, proveniente da qualsiasi direzione del cielo sia di giorno che di
notte. Per un anno tribolarono nella diagnostica convinti che la causa
fosse l’apparato. Nel dicembre del 1964 Penzias si lamentò del fatto con
un collega, il quale era a conoscenza dei lavori di Peebles con il suo
gruppo dell’università di Princenton. Fu sufficiente una telefonata e
tutto fu chiarito.

Questo gruppo di scienziati, in un brillantissimo lavoro fisico-matematico,
concluse che l’eco dell’esplosione del Big Bang dovesse essere
attorno a 3 gradi Kelvin e che si sarebbe manifestato come rumore di
fondo in un sistema ricevente molto sensibile.

I due ingegneri della Bell presero il Nobel per la Fisica. Immaginate
la faccia e le polemiche di Peebles, Dicke, Roll, Wilkinson dell’università
di Princenton.

Nel 1989 ricevitori sofisticati posti sul satellite COBE
indicarono che la
radiazione di fondo è quella di un corpo a temperatura di 2.725 gradi
Kelvin con una precisione dello 0.002%.


Nota 1: Boltzmann:nell’ottocento formulò un’equazione semplicissima
la quale afferma che l’entropia di qualunque distribuzione di atomi è
proporzionale al logaritmo del numero dei modi equivalenti in cui tale
distribuzione può essere realizzata.


S = K log W

Dove S è l’entropia, W rappresenta il numero dei possibili modi in cui
può essere ottenuta una data distribuzione di atomi nelle celle e log
indica il logaritmo

La formula ha dell’incredibile se si pensa che gli atomi sono
in moto caotico, continuamente in collisione tra loro, accelerano,
rallentano, cambiano direzione, sempre in modi imprevedibili, ma la loro
distribuzione media di velocità segue una formula semplice.

Nel 1877 Boltzmann non conosceva in modo preciso il numero di atomi
in volume assegnato di gas e non era in grado quindi di calcolare il K della
sua equazione.

Nota 2: Johnson fu il primo a calcolare nel 1928
la costante di
Boltzmann, K, dopo aver misurato la potenza di rumore amplificata da
un ricevitore. Nei libri d testo americani il rumore termico è anche
chiamato Johnson’s noise.

Jansky merita una citazione perché capì che il rumore che stava
registrando con pazienza da anni era variabile nel tempo e si convinse
che la sorgente fosse il centro della via lattea. Era il 1932 e nessuno
gli diede credito.

Nota 3:
Dal punto di vista strettamente teorico esiste una probabilità non nulla
che tenendo in mano un mazzo di chiavi si possa morire fulminati. Meno
male che è più o meno la stessa che una pallina da golf attraversi un
muro anziché rimbalzare.