I serpenti come fanno a non avvelenarsi del loro stesso veleno? Grazie della vostra cortesia

Oggi, dopo più di centocinquanta anni di studi, ad opera degli erpetologi (biologi specializzati nello studio dei rettili e anfibi; anche se i biologi specializzati nello studio di questa seconda classe di animali, venivano chiamati batracologi, in passato), si è giunti a una risposta su questo argomento, più o meno soddisfacente.
E’ ben noto, che se una vipera (viperide) ad esempio la Vipera palestinae, morde un conspecifico cioè un’altra Vipera palestinae, sia maschio che femmina, non si hanno decessi dell’animale, né danni collaterali; molte altre specie di elapidi, crotalidi, viperidi, colubridi e così via, quando avvengono aggressioni tra conspecifici, non verificandosi decessi, dimostrano di possedere questa immunità naturale, che è opera di fattori antitossici, i quali sono presenti nel sangue del medesimo animale che produce il veleno, rendendolo autoimmune.

Bisogna considerare, che "l’immunità naturale" di un serpente al proprio veleno è in realtà acquisita nel tempo, ed è corrispondente alla maturazione delle ghiandole velenifere e, dal veleno da esse prodotto e in esse conservato.
Cioè, una vipera sia essa Vipera palestinae, o un cobra come il Nahja haje egiziano e, questo vale per altre specie di ofidi sia viperidi, come anche per gli elapidi e i colubridi, etc., e sia che essi siano a riproduzione vivipara (nascita di piccoli completi, gestiti in utero durante la gravidanza), o a riproduzione ovovivipara (produzione di uova, che o si schiudono all’interno di un ovidotto, con nascita di piccoli completi che si accresceranno nel tempo, oppure con schiusa delle uova immediatamente dopo la deposizione di esse) o, che siano a riproduzione ovipara come gli uccelli (cioè nascita di piccoli, da uova deposte, dopo la schiusa successivamente a un periodo più o meno lungo di incubazione in terreno, in un incavo d’albero, o sotto la sabbia -ricordando però che contrariamente agli uccelli, in genere i rettili e, nello specifico gli ofidi o serpenti, non covano le proprie uova, sia i maschi che le femmine- solo in alcune specie di pitoni (Python morulos; Python regius) i biologi hanno osservato tale fenomeno), abbiamo che la prole neonata, è soggetta a un periodo detto di "suscettibilità velenifera" o "immunodeficenza velenifera transitoria", onde per cui, se un conspecifico adulto, per reazione li mordesse, soccomberebbero. Bisogna anche sottolineare che, come dimostrato dall’erpetologo americano Stephen P. Mackessy della Northern Colorado University (dati pubblicati in un eccellente libro "The Biology of Rattlesnakes"-Loma Linda university Press, Loma Linda-California, 2007), esistono comunque delle differenze razziali, nella composizione e dosaggio del veleno espresso e inoculabile tra adulti di una medesima specie, per cui anche se l’immunità naturale, si è ormai conclamata, possono portarli, dopo essersi somministrati un morso, alla morte.
Ovviamente, tra conspecifici velenosi, accade spesso che (come per alcune specie di ofidi dell’emisfero boreale, nel Nord degli USA e Canada, dove a causa delle basse temperature invernali, avviene il fenomeno dell’ibernazione), in primavera, una femmina uscita al risveglio dalla tana, sia pronta ad accoppiarsi e, gli stimoli indotti dai feromoni che secerne, come anche l’inturgidimento con assunta colorazione rossa, della regione vagino-cloacale, fungendo da attrattori sessuali, inducendo quindi l’interesse (fregola), di molti maschi competitori, che ingaggiano lotte, spesso associate a morsi, se non vi fosse questa “immunità naturale” al veleno di specie, ecologicamente parlando, si avrebbe una decimazione della popolazione e, ne verrebbe danneggiata la riproduzione.
La maturazione delle ghiandole velenifere, con l’acquisita capacità di produzione del veleno, induce quindi, a livello metabolico, la produzione di fattori antiveleno del serpente al proprio tossico.
Invece, quello che non si verifica sempre, è una immunità incrociata, cioè specie differenti di serpenti, possono reciprocamente essere velenose e letali tra adulti, inoltre esiste anche una specificità regionale, cioè una determinata specie, ad esempio un colubride come la Natrice dal collare (Natrix natrix), velenosa per micromammiferi e altri seprenti, ma non per l’essere umano, oppure il cobra non sputatore (Naja nivea), o il Viperide (Bitis arietans) o la Vipera comune (Vipera berus), possono avere delle differenze regionali, dette di "zonazione geografica" nel volume e nell’efficacia del veleno secreto, in termini quindi di tossicità e uccidersi reciprocamente se si mordono.
Daremo ora, una breve descrizione dell’apparato velenifero dei diversi serpenti, che viene utilizzato anche come elemento tassonomico di classificazione; ad esempio il grande biologo-tassonomo Alfred Sherwood Romer, negli anni ‘ 50 del secolo XX, ha basato la sua classificazione degli ofidi su questo organo, ancora oggi utilizzata dalla International Code of Zoological Nomenclature (ICZN), per passare poi a descrivere la non facile natura biochimica del veleno di serpente, da cui si capirà anche perché i serpenti sono immuni al proprio tossico, agli effetti sull’essere umano dopo un morso, o nel caso dei cobra sputatori, se il veleno penetra da una mucosa esterna, come ad esempio quella dell’occhio e, le eventuali tecniche di primo intervento in tali situazioni.
A tale scopo, vorrei precisare chiaramente e da subito, che, solo un biologo erpetologo, che abbia una eccellente esperienza su campo, è in grado di determinare se o meno è avvenuta l’inoculazione del veleno e nel caso, di che specie di serpente velenoso si tratta, dalla morfologia del morso; sapere se o meno è avvenuto il morso è indispensabile, poiché somministrare un siero antiofidico (ad esempio antiviperino o più in generale un antiviperide), senza che il morso e, quindi l’inoculazione del veleno, siano avvenuti, risulterebbe pericoloso tanto quanto il morso stesso, perché il siero è in grado di generare reazioni allergiche così violente, in assenza del veleno da contrastare, tali anche da poter uccidere chi lo riceve. L’erpetologo è, soprattutto se l’evento si ha in ambiente isolato o lontano da città, in grado di dare le prime cure necessarie al soggetto morso e dire quale siero si deve usare, ma in termini terapeutici invece, gli unici che possono somministrare adeguate cure (che spesso in presenza di veleni emotossici, possono causare necrosi tessutale, con necessità di intervento chirurgico) sono i medici e il pronto soccorso, i non addetti ai lavori, anche se appassionati di serpenti, si devono (parliamo di cose estremamente pericolose) limitare a portare il soggetto avvelenato, subito al più vicino ospedale, evitando di perdere tempo in procedure per cui non hanno la preparazione tecnica; quello che comunque si può dire subito, è che indipendentemente dalla specie di serpente che ha morso, bisogna evitare di somministrare bevande alcoliche o usare composti a natura ammoniacale sulla ferita, ma invece, sarebbe utile fornire acqua, o del thè zuccherati e caldi. Descriveremo di seguito meglio le tecniche più essenziali e, forniremo informazioni su alcuni centri antiveleno.

Apparato velenifero dei serpenti, anatomo-fisiologia:
La struttura osservata, nelle specie come la Natrice dal collare (Natrix natrix, il genere Natrix è presente in tutto il mondo tranne che in Sud America e gran parte dell’Oceania), in cui nessuno dei denti è specializzato alla conduzione del veleno è detta "aglifa".
Essa, si riscontra in molti colubridi e, in tutti i membri delle famiglie primitive appartenenti agli infraordini degli enofidi e degli scolecofidi; nella maggior parte degli aglifi, la misura dei denti mascellari è poco variabile.
In molti colubri, però, le parti posteriori della ghiandola labiale superiore, possono essere circondate da una capsula propria.
Quando la distinzione diviene così marcata, si attribuisce a tale regione il nome di "ghiandola parotide" (nulla a che fare con le parotidi dei mammiferi), tale struttura è nota ai biologi col nome di ghiandola del Duvernoy, dal nome del biologo che nel 1832 la individuò.
In alcuni colubri, il secreto di tale ghiandola è tossico e, questa ghiandola è associata spesso, ma non sempre, a uno o due dente/i di dimensioni maggiori, rispetto gli altri. In realtà, la maggior parte dei colubridi aglifi, non sono velenosi; quando lo sono, come la natrice dal collare è nei confronti di altri serpenti, rettili, roditori e uccelli, di cui si nutre, ma non dell’essere umano.
Quando la ghiandola del Duvernoy, è associata a denti posti in posizione posteriore in ciascun mascellare, i serpenti sono detti "opistoglifi", i denti presentano un solco, o doccia scalanata, che li percorre, connesso a questa ghiandola.
Gli opistoglifi veleniferi, rappresentano circa un terzo della famiglia dei colubridi, tra questi troviamo il Serpente acquatico (Homalopsis buccata), il Serpente volante delle regioni orientali (Chrysopela ornata) e il Boomslang (Dispholidus typus) un colubride africano, che causa incidenti mortali per l’uomo.
Ad eccezione del boomslang, però, i serpenti velenosi opistoglifi, non secernono un veleno né così tossico, né la loro meccanica di morso è così efficiente, da portare alla morte un essere umano, ma solo varie specie di rettili, anfibi, piccoli mammiferi, uccelli.
Comunque, causano un dolore non indifferente, quando mordono un uomo.
Negli elapidi, come i cobra i bungari e, i loro parenti idrofidi (serpenti marini), la situazione è diversa; la ghiandola velenifera, è completamente separata dalle ghiandole labiali superiori e, si trova dietro l’occhio; è solitamente molto grande e, in alcune specie, come nel Serpente corallo (Maticora) che vivono nell’Asia meridionale-orientale, si estende diffusamente per il tronco, per circa un quarto della sua lunghezza.
Un muscolo "adductor mandibulae superficialis", attaccato alla capsula ghiandolare, contraendosi, all’atto del morso, aiuta a spremere e inoculare il veleno; negli elapidi e negli idrofori, questi denti veleniferi, sono situati in posizione anteriore nel mascellare e sono definiti "proteroglifi", nei cobra i margini dei solchi, di tali denti di conduzione del veleno, si fondono a formare un canale vero e proprio, che facilità l’emissione del tossico; efficienza non solo quindi del veleno, ma anche del morso velenifero.
In ultimo, i viperidi (le vipere) hanno una struttura simile a quella degli elapidi; però in questa famiglia, i denti sono sempre completamente calanizzati, come l’ago ipodermico di una siringa, inoltre c’è un’aggiuntiva ghiandola accessoria, probabilmente a natura velenifera o potenziatrice; tali serpenti, che sono quelli che presentano l’apparato velenifero più efficiente nel mondo degli "ofidi", vengono classificati come "solenoglifi".
I serpenti sputatori, raccolgono come gruppo, alcuni cobra come l’Hemachatus haemachatus africano e, il Cobra dal collare nero (Naja nigricollis), questi serpenti ed altri di questo gruppo, hanno sviluppato adattamenti ecofisiologici per cui, possono spruzzare gocce di veleno a breve distanza, le quali, penetrando all’interno dell’occhio, ad esempio di un piccolo mammifero, possono renderlo cieco, approfittando per mangiarlo, ingoiandolo (i rettili non masticano); ben lo sanno i biologi che allevano tali animali all’interno di terrari nel contesto di giardini zoologici e parchi acquatici, poiché se disturbati, possono spruzzare il veleno sui vetri del terrario, veleno che renderebbe cieco anche l’uomo se entra in contatto con i suoi occhi.

Natura del veleno degli ofidi:
Il veleno dei serpenti (ofidi), ha una struttura molto complessa dal punto di vista biochimico, contiene molti enzimi, come la proteasi, la colinesterasi, la ribonucleasi e la ialuronidasi, oltre a sostanze proteiche non enzimatiche.
Agendo da sole o in combinazione, queste sostanze ottengono effetti devastatori quando sono introdotte nei tessuti di altri animali e trasportate dall’apparato circolatorio e dal sistema linfatico; alcune proteine non enzimatiche come la "crotamina", ricavata dal veleno dei crotali tropicali, sono probabilmente tra le sostanze responsabili dei danni più gravi, tra cui la morte.
L’immunità al proprio veleno (che è la domanda iniziale), nasce proprio dal saper esprimere, da parte del serpente, sostanze (sia a natura immunitaria: anticorpi, che antagonista) che sono antidotiche, di quelle tossiche componenti il proprio veleno, neutralizzandolo.

Ogni genere o specie di serpente, mordendo, in ragione della natura biochimica del veleno che esprime, induce nell’animale e nell’umano morso, effetti di natura diversa, questi ultimi possono essere così elencati:

-Effetti neurotossici sul cervello, sul midollo spinale, sulle terminazioni nervose, ecc., veleno neurotossico.

-Effetti sul cuore e polmoni (infarto, blocco respiratorio), veleno cardio-pneumotossico.

-Alterazione dei vasi sanguigni determinante emorragie, veleno vasotossico

-Coagulazione del sangue (questo e il precedente effetto, antagonisti, possono essere presenti anche nel veleno del medesimo serpente, complicando il quadro clinico), veleno emotossico.

-Emolisi (distruzione dei globuli rossi), veleno emotossico

-Alterazione generale dei tessuti (necrosi e gangrena), veleno citotossico.

Probabilmente, nell’ultimo caso, la citotossicità è opera di un agente la "ialuronidasi" un enzima, che induce distruzione intercellulare dei tessuti animali.

A complicare il quadro (avvantaggiandone la tossicità) di avvelenamento, ci sono sostanze che l’animale e l’umano, morsi, rilasciano come la bradichinina e l’istamina, le quali contribuiscono alla perdita degli equilibri fisiologici dell’organismo.

 

Cobra reale (Hamadryas hannah)

 

Natrice del collare (Natrix natrix)

Vipera comune (Vipera berus)

Trattamento dal morso di serpente:
Stabilito prima, chi dovrebbe (per conoscenze scientifiche e tecniche) intervenire per salvare un essere umano o anche un animale dal morso di un serpente, possiamo dire subito che oggi, le conoscenze e le tecniche d’intervento, non sono poi così evolute dagli anni ‘ 60.
Questo per un generale disinteresse da parte dei medici, degli studi fatti dai biologi (zoologi, erpetologi).
Diciamo però che molti sieri antiofidici (antiviperidi, antielapidi: cobra e bungari, ecc,…) sono disponibili, in centri appositi.
Istituti come il Butantan di San Paolo-Brasile o, l’Istituto Haffkine a Bombay-India, come altri in USA e Australia producono e hanno disponibili sieri antiveleno, per numerose specie, alcuni sono sieri monovalenti (cioè specifici per il veleno di una singola specie di serpente), altri polivalenti (cioè, sono cocktail antidotici per numerose specie velenose di serpenti).
In Italia centri antiveleno si trovano a Bologna (Ospedale Maggiore), Catania (Ospedale Garibaldi), Cesena (Ospedale Maurizio Bufalini), Roma (Policlinico Agostino Gemelli), Milano (Ospedale Niguarda) e in molte altre città.
Sebbene ci sono ancora opinioni discordanti, teoricamente la prima prestazione (in base al F.E Russel “Cyclopedia of Medicine, Surgery and Specialties” del 1962 e H.A Reid “Snakebite in Tropics”, British Medical Journal del 1968), dovrebbe mirare all’estrazione della maggior quantità di veleno, prima che vada in circolo nell’organismo; questo lo si può fare, legando dapprima, con un laccio emostatico ( o se ci si trova in campagna, anche con fili d’erba o con una cinta) a monte della ferita e poi, praticando un taglietto che unisce i due forellini d’ingresso dei denti, facendo attenzione che non sia troppo profondo per evitare di lesionare un tendine, suggere quindi il sangue, sputandolo subito; ingoiare veleno di Vipera comune (Vipera berus) o di Cobra reale (Hamadryas hannah), lungo anche 3,80 m, in realtà non avvelena chi lo fa, perché hanno effetto solo se in circolo, ma se chi presta soccorso, succhiando il sangue dalla ferita, ha a sua volta ferite nel cavo orale (anche per un dente estratto) o taglietti sulle labbra, tali da immettere in circolo il veleno succhiato, verrà a sua volta avvelenato.
Si deve applicare poi, un’asticella di legno o fascia elastica, per ridurre al minimo il movimento della regione del morso, onde contribuire a ridurre ancora di più, la messa in circolo del veleno.
Questo per morsi ricevuti agli arti, in altre parti del corpo, ad esempio il collo, il discorso si complica notevolmente.
Evitare in tutti i modi di utilizzare composti a base ammoniacale sulle ferite.
In ultimo, la somministrazione del siero antiofidico, deve essere fatta in una struttura ospedaliera (per questo si deve portare il soggetto subito in ospedale) per monitorare anche le reazioni allergiche che possono intercorrere, le quali sono altrettanto pericolose.

Bibliografia:

-The life of Amphibians and Reptiles, H.W. Parker and Angus Bellairs,
   Ed.: Weidenfeld and Nicolson, London, 1973

-La Grande Enciclopedia della Natura, R. Carrington volume 7, Garzanti, 1973

-The Biology of Rattlesnakes"-Loma Linda university Press, Loma Linda-California, 2007

-F.E. Russel, "Cyclopedia of Medicine, Surgery and Specialties", 1962

-"Snakebite in Tropics", British Medical Journal, 1968