News originale in inglese: 1995-45 - Immagini e filmati

  

Mosaico della nebulosa di Orione

Orione   animazione 
Un’animazione mpg (474Kb): costruzione del mosaico

Questo spettacolare panorama a colori del centro della nebulosa di Orione è una delle più grandi fotografie che siano state assemblate da singole immagini dell’HST. Si tratta di una composizione, senza discontinuità, di 15 diversi campi e copre un’area di cielo pari al 5% dell’area della Luna piena.

Il grandioso arazzo, riccamente dettagliato, rivelato dal telescopio spaziale, ci mostra una agitata regione di formazione stellare immersa in un turbolento flusso di gas luminescente. Sebbene questa immagine, che copre una regione vasta 2.5 anni luce, rappresenti solo una piccola porzione dell’intera nebulosa, ci mostra gran parte della luminosità dei suoi gas e un ammasso di stelle associato ad essa. L’HST riesce a rivelare dettagli dell’ordine di 7,3 miliardi di chilometri di diametro.

La nebulosa di Orione è un vasto laboratorio utile per lo studio dei processi di formazione stellare e quindi della formazione del nostro Sole e dell’intero Sistema Solare avvenuto 4,5 milioni di anni fa.

Molti dei dettagli della nebulosa non possono essere catturati in una sola immagine, come non sarebbe possibile studiare la formazione e la storia geologica del Gran Canyon con una sola istantanea. Come il Cran Canyon, la nebulosa di Orione possiede una drammatica topografia superficiale, con gas luminosi al posto delle rocce, con vette, valli e pareti. Questi gas vengono illuminati e riscaldati da un torrente di luce ultravioletta che proviene da una serie di stelle più calde e di maggior massa, chiamate Trapezio, e che si trovano verso il centro dell’immagine.

Oltre al Trapezio, questa caverna stellare contiene altre 70.000 stelle a vari stadi evolutivi. Getti di gas caldi ad alta velocità emessi da alcune delle stelle più giovani, lanciano onde d’urto supersoniche che si propagano attraverso la nebulosa a 180.000 km/h. Queste onde d’urto appaiono come dei pennacchi ricurvi, talvolta forniti di noduli luminosi nella loro parte terminale (gli esempi più evidenti si trovano vicino alla stella luminosa nell’angolo in basso a sinistra).
Il mosaico rivela almeno 153 nitidi dischi protoplanetari (scoperti la prima volta dall’Hubble e chiamati "proplyds" da una contrazione di protoplanetary disk) che si crede siano sistemi solari embrionali, nei quali alla fine si formeranno i pianeti (il nostro Sistema Solare è stato a lungo considerato ciò che rimane di un simile disco che si formò attorno al Sole nelle sue fasi iniziali). L’abbondanza di questi oggetti nella nebulosa di Orione rafforza l’opinione che la formazione di pianeti sia un fenomeno comune nell’universo. I proplyds che si trovano vicino alle stelle del Trapezio (centro dell’immagine) stanno perdono una parte del loro gas e delle loro polveri. La pressione di radiazione che proviene dalla stelle più calde forma delle "code" che si comportano come banderuole che puntano verso l’esterno rispetto al Trapezio. Queste code sono composte da polveri e gas spinti via dagli strati più esterni dei proplyds. Oltre ai luminosi proplyds, si distinguono anche sette dischi scuri che risaltano rispetto al fondo brillante della nebulosa. Questi oggetti consentono agli astronomi di stimare le loro masse che sono almeno da 0,1 a 730 volte la massa della nostra Terra.

La nebulosa, situata a 1.500 anni luce da noi lungo il nostro stesso braccio di spirale della Via Lattea, è visibile nella regione della spada di Orione il cacciatore, una costellazione che domina la prima parte delle notti invernali alle latitudini settentrionali.

Le sue stelle si sono formate in seguito al collasso di nebulose di gas interstellare durante gli ultimi milioni di anni. Le nebulose più massicce hanno formato le stelle più brillanti che si trovano presso il centro; queste sono così calde che riescono ad illuminare il gas rimasto nello spazio dopo che la formazione si è completata. Le stelle deboli, più numerose, sono ancora nella fase di collasso sotto la loro stessa gravità, ma al centro sono ormai giù abbastanza calde da trasformarsi in corpi che emettono luce propria.

Per creare questo mosaico sono stati utilizzate 45 diverse immagini della nebulosa di Orione prese in blu, verde e rosso tra gennaio 1994 e marzo 1995. La luce emessa dall’ossigeno è mostrata in blu, l’idrogeno in verde e l’azoto in rosso. L’effetto complessivo di colore è vicino a quello che apparirebbe ad un osservatore che si trovasse nei pressi della nebulosa. I bordi irregolari prodotti dalle immagini HST sono stati colmati utilizzando altre immagini ottenute dall’ESO (European Southern Observatory del Cile) da Bo Reipurth e John Bally, rappresentano circa il 2% dell’intero campo e si trovano soprattutto nell’angolo in alto a sinistra.
 

Un sistema planetario in formazione

Orione - sistemi protoplanetari
I dischi di gas e polveri, che per gli astronomi rappresentano i primi stadi di formazione dei sistemi planetari, possono essere visti in luce visibile dal telescopio spaziale Hubble. Si pensa che questi dischi protoplanetari che circondano le giovani stelle (chiamati anche dischi circumstellari) sia costituiti dal 99% di gas e dall’1% di polvere. Tale piccolissima quantità di polvere è sufficiente a renderli opachi e scuri alle lunghezze d’onda del visibile. Essi si stagliano contro lo sfondo luminoso dei gas ad alta temperatura che costituiscono la nebulosa di Orione.

Le giovani stelle (di circa un milione di anni di vita) che si trovano al centro di ciascun disco protoplanetario appaiono come puntolini rossi e luminosi. La massa di queste stelle va dal 30% al 150% della massa del nostro Sole. Progredendo nell’evoluzione, questi dischi possono trasformarsi in sistemi planetari come il nostro. Sebbene fino ad ora ne siano stati scoperti pochi, sembra che i dischi protoplanetari appartengano ad una famiglia piuttosto numerosa e le attuali indicazioni suggeriscono che si tratta di oggetti comuni nella nebulosa di Orione.

Mark McCaughrean dell’istituto Max-Planck per l’Astronomia di Heidelberg in Germania, e il suo collaboratore C. Robert O’Dell della Rice University di Houston, Texas, hanno individuato una serie di dischi nelle riprese della nebulosa di Orione ottenute dall’HST tra gennaio 1994 e marzo 1995. Uno studio dettagliato delle loro immagini è stato pubblicato nell’ Astronomical Journal.

Ciascuna immagine copre 257 miliardi di chilometri (circa trenta volte il diametro del nostro Sistema Solare). Il diametro dei dischi va da due a otto volte quello del nostro Sistema Solare. I ricercatori spiegano le diverse forme circolari o ellittiche come dovute al fatto che ciascun disco è inclinato diversamente rispetto alla direzione della nostra visuale.

Ciascuna foto è una composizione di tre immagini prese dalla camera WFPC2 dell’Hubble (Wide Field and Planetary Camera 2) utilizzando dei filtri a banda stretta che lasciano passare solo le lunghezze d’onda di emissione dell’ossigeno ionizzato (rappresentato in blu) dell’idrogeno (in verde) e dell’azoto (in rosso). Il gas caldo dello sfondo emette ad alta intensità in tutte queste lunghezze d’onda permettendo la visione dei dischi la cui forma si staglia scura in primo piano. In ciascun caso è ben visibile anche la stella centrale.
 

Un disco protoplanetario visto di taglio

Sistema protoplanetario in OrioneSimile ad un "frisbee" interstellare, questo disco di polveri e gas attorno ad una stella appena formata, è visibile di taglio. Proprio a causa della sua particolare inclinazione, la stella centrale non è visibile in questa sorprendente immagine Hubble. Si tratta probabilmente di un sistema planetario allo stadio embrionale, simile a quello che poteva essere il nostro Sistema Solare 4,5 miliardi di anni fa. Il suo diametro è 17 volte maggiore e rappresenta il più grande disco protoplanetario fra i numerosi altri che sono stati scoperti recentemente nella nebulosa di Orione.

L’immagine di sinistra è una composizione a tre colori, corrispondenti alle radiazioni blu, verde e rossa emesse dal gas luminoso della nebulosa. L’immagine di destra è stata ripresa con diversi filtri che bloccano le linee di emissione spettrale della nebulosa e quindi il disco stesso appare meno distinto contro il fondo. Comunque in quest’ultima immagine appaiono con maggior precisione le nebulosità che si trovano sopra e sotto il piano del disco e che  tradiscono la presenza della stella centrale, altrimenti invisibile a causa della sua particolare inclinazione rispetto alla linea di visuale.

Gli astronomi che hanno condotto le osservazioni sono: Mark McCaughrean (Max-Planck-Institute for Astronomy) e C. Robert O’Dell (Rice University)