Buongiorno. Volevo chiedere quali di queste frasi furono realmente dette da Buridano per riformulare il paradosso del mentitore e vorrei sapere dove sta il paradosso: Socrate: “Platone dice il falso”; Platone: “Socrate dice il falso”; oppure: Socrate: “Platone dice il falso”; Platone: “Socrate dice il vero”; Grazie.

Il paradosso del mentitore è un classico paradosso logico, che può essere espresso nella forma:

“Questa frase è falsa”

Se la frase afferma di sé stessa che è falsa, allora siamo portati a credere al contrario di ciò che essa sostiene, cioè dovremmo ritenere che la frase sia vera. Ma questo ci conduce a credere che l’affermazione sia veritiera, e quindi che la frase sia falsa.  Ciò innesca un ciclo infinito che oscilla tra due affermazioni contrapposte, cioè tra la verità e la falsità della frase. In questo modo viene contraddetto il senso comune, perché non possiamo accettare che una frase sia vera e falsa allo stesso tempo (principio di non contraddizione). Ecco quindi che si genera il paradosso.

Esistono molte versioni di questo paradosso. Il filosofo francese Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano o latinizzato in Iohannes Buridanus, vissuto intorno al 1300, famoso per avere precorso alcuni risultati della fisica moderna, come ad esempio il principio d’inerzia, formulò una versione alternativa del paradosso del mentitore. Buridano spezzò la frase in due affermazioni, e immaginò che queste fossero pronunciate da due diversi personaggi:

Socrate dice "Platone dice il falso"

Platone dice "Socrate dice il vero"

Se consideriamo ognuna delle due frasi separatamente, non ci sembra di cogliere alcun paradosso. Ma se le mettiamo insieme, otteniamo un risultato paradossale del tutto simile alla formulazione classica del mentitore. Infatti, se ipotizziamo che Socrate sia sincero, allora dobbiamo ritenere che Platone menta; ma allora dobbiamo credere che Socrate non dica il vero. Questo confuta la nostra assunzione iniziale: Socrate è bugiardo, e quindi Platone è sincero; di conseguenza Socrate dice il vero, e così via, in un nuovo ciclo infinito di contraddizioni. Se partiamo con un’ipotesi opposta, cioè che Socrate sia bugiardo, ricadiamo nella stessa catena di antinomie e non possiamo stabilire chi tra Socrate e Platone dice il vero e chi dice il falso.

Non è difficile constatare che se la coppia di frasi venisse modificata nel modo seguente:

Socrate dice "Platone dice il falso"

Platone dice "Socrate dice il falso"

non si cadrebbe nel paradosso: se infatti decidiamo di credere a Socrate, l’affermazione di Platone risulta falsa, e quindi Socrate dice il vero, il che non contraddice, ma anzi rafforza la nostra ipotesi di partenza.

La formulazione del paradosso del mentitore proposta da Buridano non è che una delle numerose versioni della classica antinomia. Secondo la leggenda, le origini del paradosso risalgono alla figura semi-mitica del filosofo cretese Epimenide, il quale un giorno avrebbe affermato:

“Tutti i cretesi sono bugiardi”

Il fatto che Epimenide stesso sia cretese assimila questa affermazione a quelle precedenti, generando una serie infinita di contraddizioni. Per la verità, se intendiamo il termine “bugiardo” in un’accezione abbastanza larga, ammettendo cioè che di tanto in tanto anche un bugiardo possa asserire il vero, dovremmo concedere che l’affermazione dello stesso Epimenide, cretese, può essere veritiera, e in questo caso non avremmo alcun paradosso. Se invece definiamo “bugiardo” un uomo che afferma sempre il falso, allora il paradosso è inevitabile.

L’asserzione di Epimenide viene citata anche da San Paolo nella Lettera a Tito:

Uno dei loro, proprio un loro profeta, già aveva detto: "I Cretesi son sempre bugiardi, bestie malvagie, oziosi ghiottoni”. Questa testimonianza è vera. Perciò correggili con fermezza, perché rimangano nella sana dottrina e non diano più retta a favole giudaiche e a precetti di uomini che rifiutano la verità.

Non sappiamo se Epimenide avesse formulato la sua affermazione con l’intenzione di evidenziarne il paradosso, né possiamo stabilire se San Paolo fosse consapevole dell’incongruenza di citare proprio un cretese a sostegno della tesi dell’inaffidabilità dei Cretesi: è comunque possibile che lo fosse e che il frammento fosse volutamente ironico.

Un’altra versione famosa del paradosso è quella che lo storico Diogene Laerzio attribuisce al filosofo Eubulide di Mileto, vissuto nel IV secolo a.C.  L’affermazione paradossale di Eubulide è racchiusa in una sola parola greca:

ψευδόμενος

cioè “io sto mentendo”.

La formulazione di Eubulide è, in quanto paradosso, sicuramente più interessante di quella di Epimenide, per due motivi:

1.    dicendo “sto mentendo” anziché “sono bugiardo”, Eubulide non lascia spazio all’eventualità che la frase stessa possa essere vera;

2.    Eubulide focalizza la sua affermazione su di sé, cioè enuncia una frase autoreferenziale, a differenza di Epimenide.

Come abbiamo visto, la formulazione medioevale di Buridano supera l’autoriferimento insito nella versione di Eubulide, senza tuttavia indebolire la forza e l’inevitabilità del paradosso. In altri termini, Buridano dimostrò che non è il carattere autoreferenziale della frase a generare il paradosso, dato che ora questo scaturisce da due frasi diverse, anche se reciprocamente collegate.

Molto simile alla formulazione di Buridano è quella proposta nel 1913 dal logico inglese Philip Jourdain. Anche in questo caso l’enunciato è articolato su due livelli:

"la frase seguente è falsa"

"la frase precedente è vera"

Molto più recentemente, il filosofo americano Stephen Yablo ha suggerito una versione del paradosso a infiniti livelli:

“tutte le frasi successive sono false”

“tutte le frasi successive sono false”

“tutte le frasi successive sono false”

e così via.

A lungo i logici hanno cercato di analizzare profondamente la struttura delle diverse formulazioni del paradosso del mentitore, allo scopo di comprendere se e come sia possibile sfuggire alla conclusione paradossale.

Alcuni tentativi di sfuggire al paradosso del mentitore furono realizzati già nell’antichità da Crisippo e Aristotele. Nel Medioevo, Buridano stesso ritenne di avere individuato una soluzione introducendo l’obbligo di associare ogni affermazione ad un istante temporale: la verità o la falsità di una frase non sono assolute, ma dipendono dal tempo. Buridano pose in questo modo le fondamenta di quella che oggi viene chiamata logica temporale. Tuttavia, anche rispettando questo nuova disciplina logica, se facciamo affermare a Socrate che “Platone dirà il falso quando pronuncerà la frase seguente” e a Platone che “Socrate disse il vero quando pronunciò la frase precedente”, ricadiamo nel paradosso.

Già Aristotele aveva proposto una risoluzione del paradosso raccomandando di distinguere tra uso e menzione di una frase; Guglielmo di Ockham, che fu maestro di Buridano, perfezionò la soluzione aristotelica introducendo la distinzione tra linguaggio e metalinguaggio.  In tempi più recenti, alcuni logici come ad esempio Alfred Tarski, Willard Quine, Saul Kripke, Arthur Prior, hanno esplorato la questione e proposto alcune raffinate vie d’uscita.

Non possiamo chiudere questa panoramica senza citare il contributo di Kurt Gödel, che nel 1931 riformulò l’enunciato classico del mentitore sostituendo la nozione di verità con quella di dimostrabilità, analizzando quindi la frase “Io non sono dimostrabile”. Non è difficile vedere che in questa nuova veste la frase non dà origine ad alcun paradosso: tuttavia, la scoperta di Gödel che un sistema formale coerente, abbastanza potente da formalizzare l’aritmetica, è in grado di esprimere una frase come quella citata, ha portato all’enunciazione del celebre teorema di incompletezza, uno dei massimi risultati della logica del Novecento.