La mia domanda è questa: com’è possibile che da tre anni a questa parte, da quando cioè prendo ogni autunno un vaccino omeopatico, i miei raffreddori non si sono più trasformati in bronchiti, come succedeva invece con vaccini tradizionali, avendo io un’asma allergica dall’età di sei anni? Grazie per l’attenzione.

 Christian Samuel Hahneman (1755-1843): inventore dell’omeopatia

Il tipo di domanda posta dal lettore è piuttosto comune e capita spesso di sentirsela rivolgere quando si sottolinea il dato inequivocabile secondo il quale nessuno ha mai dimostrato che l’omeopatia abbia un’efficacia superiore al semplice effetto placebo. L’esame di un singolo caso in cui una terapia ha avuto successo non dimostra però alcunché.

Se assumo un farmaco e la mia patologia regredisce sono portato a credere che la terapia abbia funzionato. Questo è però solamente uno dei casi logicamente e materialmente possibili. Infatti può accadere che:

1)La patologia è effettivamente regredita per merito del farmaco.
2)La patologia sarebbe comunque regredita nello stesso periodo di tempo, indipendentemente dall’assunzione del farmaco.
3)Senza l’assunzione del farmaco la patologia sarebbe regredita più rapidamente.

Nessuno di noi è in grado di stabilire da solo e con certezza quale dei casi possibili si è effettivamente verificato. Molto spesso le nostre conclusioni sono del tutto azzardate e prive di fondamento.

A complicare ulteriormente le cose interviene l’inevitabile effetto placebo, sempre presente in qualsiasi atto terapeutico. L’assunzione di sostanze farmacologicamente inattive può avere un effetto benefico se esse vengono presentate al paziente come efficaci. Il placebo, in media, ha un’efficacia di circa il 30 per cento.

Per tenere conto di questi fattori è quindi assolutamente necessario progettare delle idonee procedure per valutare l’efficacia di un farmaco.

Una prima procedura adottabile è quella del cosiddetto “cieco semplice”, che consiste nell’eliminare ogni possibile fonte di informazione sul soggetto esaminato. Per fare questo occorre prendere in considerazione due campioni omogenei di pazienti. A uno di essi (campione sperimentale) si somministra il farmaco oggetto di studio e all’altro (campione di controllo) un placebo, ovvero una sostanza farmacologicamente inerte. Ovviamente (e in ciò consiste il “cieco semplice”) nessun paziente di entrambi i campioni deve sapere se sta assumendo il farmaco o il placebo.

La procedura del “cieco semplice”, tuttavia, si è dimostrata insufficiente, poiché i risultati possono essere falsati dalla psiche degli stessi sperimentatori. Infatti, questi ultimi, influenzati dalle proprie aspettative, possono involontariamente assumere comportamenti che possono condizionare le reazioni del soggetto, invalidando così l’esperimento. Se ad esempio il medico sperimentatore sa di somministrare il farmaco piuttosto che il placebo, può involontariamente suggestionare il paziente.
Per questo motivo, al fine di ottenere risultati attendibili, è necessario che neppure gli sperimentatori conoscano certe informazioni. Nel caso della sperimentazione clinica, quindi, neppure i medici devono conoscere la natura della terapia somministrata. In questi casi la procedura viene chiamata “doppio cieco”, poiché sia i soggetti esaminati che gli sperimentatori ignorano informazioni importanti che potrebbero influenzare pesantemente i risultati.

La procedura in doppio cieco si è rivelata quindi l’unica strada percorribile per valutare correttamente l’efficacia di una terapia. In molti casi, inoltre, la procedura in doppio cieco deve essere seguita da un’accurata analisi statistica dei risultati ottenuti sul campione sperimentale e su quello di controllo per mettere in evidenza eventuali differenze significative.

In campo medico questa è l’unica metodologia possibile e soltanto i farmaci e le terapie che superano tale procedura possono essere definiti efficaci.

Fino a oggi nessun rimedio omeopatico ha mai superato positivamente una simile procedura.

Gli omeopati controbattono spesso affermando che tale procedura non sarebbe adottabili per i rimedi omeopatici a causa della loro particolarità e soprattutto perché essi sono calibrati sul singolo paziente e quindi non analizzabili su base statistica. L’obiezione appare una grossolana arrampicata sugli specchi. Ciò che viene valutato infatti nelle sperimentazioni sopra descritte è lo stato di salute dei pazienti, prima e dopo la terapia, e questo è (e deve essere, se non si vogliono usare due pesi e due misure) valutabile nello stesso modo, indipendentemente dal tipo di terapia utilizzata.