Come si spiega il dejavu, la sensazione di aver già vissuto delle situazioni, di aver già visto cose o persone, seguita da un senso di smarrimento ed alienazione?

l
termine déjà-vu (letteralmente “già visto”) venne
introdotto dallo psicologo F. L. Arnauld nel 1896. Con tale espressione
si indica il fenomeno per cui un soggetto ha la sensazione di aver già
vissuto un certo evento, di essere già stato in un certo luogo,
di aver già conosciuto una certa persona, ecc., pur essendo certo,
a livello razionale, di non essersi mai trovato in una tale situazione.
Contrariamente a quello che si può pensare, tali esperienze sono
molto diffuse. Un sondaggio Gallup del 1991 ha mostrato che il 56% degli
americani adulti ha provato tale esperienza.

Il
coinvolgimento emotivo che accompagna queste esperienze ha condotto molti
autori ad attribuire loro un significato trascendente o paranormale. Secondo
alcuni il déjà-vu sarebbe una evidenza diretta della reincarnazione.
In altre parole noi avremmo già vissuto in una vita precedente
la stessa esperienza che stiamo vivendo in un dato momento. Secondo altri,
verrebbe coinvolta addirittura la telepatia: il soggetto riceverebbe cioè
informazioni telepatiche da parte di altri che avrebbero realmente vissuto
quell’esperienza. Queste ipotesi sono assolutamente prive di ogni fondamento
e rappresentano soltanto speculazioni fantasiose.

La
psicoanalisi ha cercato di interpretare il fenomeno del déja-vu
in termini di inconscio. In pratica durante tale esperienza riaffiorerebbero
alla coscienza dei ricordi o pensieri repressi. Il soggetto avrebbe realmente
vissuto l’esperienza in questione ma, anziché un ricordo cosciente,
riaffiorerebbe soltanto una vaga sensazione di familiarità. Anche
tale interpretazione non va al di là della semplice speculazione
e sicuramente non è in grado di spiegare episodi di déjà-vu
in cui si sa con assoluta certezza che il soggetto non ha mai vissuto
l’esperienza in questione.

Più
plausibili appaiono invece altri tentativi di interpretazione. Alcuni
psicologi spiegano il déjà-vu come un errore della memoria,
tecnicamente chiamato paramnesia. In pratica la nostra memoria
fallirebbe nel credere di ricordare un certo episodio, in realtà
mai avvenuto. Ad esempio, si può credere di essere già stati
in un certo luogo, quando invece lo abbiamo visto semplicemente in fotografia.
Altri autori (ad esempio lo psicologo francese Pierre Janet) sostengono
che il déjà-vu più che un errore di memoria sia un
errore percettivo. In altre parole noi percepiremmo erroneamente la realtà
riscontrando illusoriamente una somiglianza con qualcosa che abbiamo già
vissuto. Secondo un’altra interpretazione, il déjà-vu deriverebbe
da una sorta di conflitto a livello di informazioni cerebrali. È
stato ipotizzato che, in certi casi, il cervello può essere consapevole
di una sensazione ricevuta prima che si sviluppi la consapevolezza della
percezione stessa. In tal modo si creerebbe la strana sensazione della
preconoscenza di una certa esperienza. Per alcuni questa asincronia nell’elaborazione
dei segnali sensoriali deriverebbe da un’azione indipendente dei due emisferi
cerebrali. In sostanza un emisfero avrebbe la sensazione di déjà-vu
semplicemente perché l’evento è stato memorizzato alcuni
istanti prima dall’altro emisfero. Un’ulteriore teoria interpreta il déjà-vu
in termini di emozione dissociativa. Secondo questa ipotesi gli
stimoli provenienti da una certa situazione potrebbero attivare delle
emozioni che si erano verificate in passato e da questo deriverebbe la
sensazione di familiarità (ad esempio, i ricordi prodotti in Marcel
Proust dall’odore della celebre “maddeleine” possono rientrare nell’ambito
delle emozioni dissociative). Contributi all’interpretazione del déjà-vu
sono stati dati anche dalla neuofisiologia. È stata infatti notata
una certa frequenza del verificarsi del déjà-vu negli istanti
che precedono gli attacchi in soggetti epilettici. Il neurologo Wilder
Penfield, negli anni Cinquanta, dimostrò che era possibile indurre
episodi di déjà-vu stimolando elettricamente il cervello
di pazienti epilettici. Anche i pazienti schizofrenici vivono frequentemente
episodi di déjà-vu. Secondo tali studi quindi il déja-vu
viene interpretato in termini di disordine neurologico. Va tuttavia osservato
che il fenomeno è piuttosto frequente anche in soggetti perfettamente
sani.

Dal
fatto che esistano così tante teorie che cercano di interpretare
i déja-vu si capisce facilmente che il fenomeno non è ancora
stato compreso in tutti i suoi aspetti. Questo accade per la maggior parte
dei fenomeni che interessano il nostro cervello a causa della sua estrema
complessità. Di fronte a un problema complesso occorre estrema
prudenza nell’elaborazione di teorie ed è doveroso attenersi rigorosamente
ai fatti osservati. Per questo motivo sono da rifiutare, a maggior ragione,
tutte quelle teorie “paranormali” che tirano in ballo ipotesi completamente
gratuite e prive di ogni fondamento.

NOTA:
Se il lettore vuole approfondire l’argomento, può leggere il capitolo
3 del libro di Massimo Polidoro Il sesto senso (Edizioni Piemme,
2000), da cui è tratta la maggior parte delle informazioni qui
riportate.