Come la filosofia ha superato (se lo ha superato) il dualismo spirito-materia (o mente-corpo se riferiamo tutto all’uomo, intendendo con mente il “software” e con materia l'”hardware”?)

La filosofia, purtroppo, è ben lontana dal riuscire a raggiungere posizioni condivise da tutta la comunità dei filosofi. Quindi non esiste una posizione univoca della “filosofia” relativamente al problema sollevato dal lettore. Filosofi diversi hanno infatti al riguardo posizioni differenti. Ci sono filosofi dualisti che accettano la distinzione spirito-materia (o mente-corpo) e filosofi monisti che interpretano invece in senso materialista anche ciò che comunemente è chiamato spirito (o mente, nel caso dell’uomo).

Decisamente più interessante è invece chiedersi quale sia la posizione della scienza in merito. A differenza della filosofia, infatti, la scienza è proprio alla ricerca di affermazioni che possano essere condivise da tutti (accordo intersoggettivo: v. questa risposta).

La scienza, per sua natura, deve formulare interpretazioni naturalistiche della realtà e quindi esclude, per definizione, ogni spiegazione di tipo metafisico (v. questa risposta e quest’altra). Questa posizione, tuttavia, non è pregiudiziale, ma è stata dedotta a posteriori, constatando la straordinaria efficacia di un simile tipo di approccio.

Riguardo al problema spirito-materia e mente-corpo, quindi, la scienza non può che avere una posizione monista e materialista. Con il progredire delle nostre conoscenze, eventi che un tempo apparivano completamente misteriosi, e che venivano attribuiti all’azione di entità metafisiche, hanno trovato un’interpretazione perfettamente naturale. Questo è accaduto, ad esempio, nelle scienze della vita e nelle neuroscienze. Anche se molto resta da capire, le moderne neuroscienze interpretano la mente semplicemente come il prodotto di ciò che fa il cervello.

È anche piuttosto interessante osservare che le moderne neuroscienze (insieme alla psicologia dello sviluppo e l’antropologia cognitiva) suggeriscono per quale motivo la nostra mente è spontaneamente portata a maturare una visione dualistica della realtà. Esiste infatti una sorta di programmazione biologica che spiega come mai molte persone restano legate a interpretazioni magiche, animistiche e finalistiche del mondo.

Il nostro cervello non è affatto una tabula rasa che verrà progressivamente riempita dall’esperienza e dall’insegnamento che riceveremo. Fin dalla nascita possediamo modelli innati che ci consentono di fornire un’interpretazione di quello che ci accade intorno. Alla base di queste interpretazioni vi è l’applicazione inconsapevole di alcune procedure rapide ed economiche, ma che spesso possono condurre a valutazioni errate. Tali procedure sono state definite dallo psicologo Herbert Simon (1916-2001) euristiche. Le euristiche sono scorciatoie mentali, che abbiamo acquisito evolutivamente, che spesso sono utilissime alla sopravvivenza, ma che altrettanto spesso ci fanno commettere errori. Una tipica euristica è il ragionamento per analogia che spesso ci porta a confondere causalità e semplice correlazione o addirittura a confondere cause ed effetti. Queste erronee valutazioni sono evidenti nel pensiero magico, nelle superstizioni, nelle medicine alternative (pensiamo all’omeopatia e alla “legge dei simili”), ma sono sempre in agguato anche nell’ambito scientifico e anche la persona più razionale non ne è affatto immune.

Un’euristica particolarmente potente, precoce e universale, è la tendenza a vedere il mondo in termini di scopi e disegni intenzionali, stabiliti da agenti animati, ai quali spesso viene conferita una natura metafisica. Numerosi esperimenti hanno mostrato che i bambini tendono spontaneamente ad attribuire finalità non solo agli artefatti umani (“le forbici servono a tagliare”) e alle parti degli esseri viventi (“gli occhi servono a vedere”), ma anche a fenomeni e oggetti naturali inanimati (“le nuvole servono a far piovere”). Tale tendenza è stata chiamata da Deborah Keleman teleologia promiscua, in quanto genera una confusione di domini. I vantaggi evolutivi di tale tendenza sono evidenti: meglio cauti che morti. Se si vede un ramo spezzato è più prudente considerarlo il segno del recente passaggio di un predatore o di un nemico piuttosto che il risultato di un evento fisico naturale, come il vento. Lo psicologo Justin Barrett (n. 1971) ha osservato «Se scommetti che quel qualcosa è un agente e non lo è, ci perdi poco. Ma se scommetti che quel qualcosa non è un agente e poi si rivela esserlo, potresti essere diventato il suo pranzo». La teleologia promiscua spiega, tra l’altro, come mai tante persone hanno difficoltà ad accettare l’evoluzionismo biologico e restano ancorate a posizioni creazioniste e finalistiche.

Altri studi evidenziano inoltre proprio l’esistenza di un dualismo intuitivo che ci fa trattare come entità separate gli oggetti fisici e gli oggetti mentali. Con la conseguenza di poter concepire corpi privi di mente e menti prive di corpo. Da tale dualismo deriverebbero tutte le credenze soprannaturali: divinità, spiriti, sopravvivenza dopo la morte. Si evidenzia inoltre una “ipertrofia del sistema che tratta gli oggetti animati” con la conseguente tendenza a inferire e attribuire desideri e obiettivi anche laddove questi non esistono affatto.

Se il lettore volesse approfondire queste tematiche, consiglio la lettura di questi due testi: 1) G. Vallortigara, T. Pievani, V. Girotto, Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, Codice Edizioni, Torino 2008; 2) B.M. Hood, Supersenso. Perché crediamo all’incredibile, Il Saggiatore, Milano 2010.

Nota: osserviamo che quanto detto sopra non significa, naturalmente, che non esistano scienziati che posseggono credenze metafisiche e che quindi possono anche avere una visione dualistica della realtà. Ovviamente però tali credenze riguardano l’uomo e non lo scienziato. Nell’esercizio della sua attività uno scienziato deve necessariamente lasciare da parte le proprie credenze, altrimenti produce cattiva scienza (come talvolta accade).