Vorrei sapere se le esperienze pre morte dimostrano la possibilità di avere esperienze a forte impatto emotivo anche a fronte di un’attività cerebrale molto limitata a cui dovrebbe teoricamente corrispondere uno stato di incoscienza o semi incoscienza.

Riporto di seguito un paragrafo del mio volume Il libro dei misteri svelati (Edizioni Castelvecchi, Roma 2010) dedicato alle esperienze fuori dal corpo (OBE) e alle esperienze di pre-morte (NDE). Spero sia utile al lettore per soddisfare la sua curiosità relativamente a questi strani fenomeni.

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I sogni sono un’esperienza comune che ognuno di noi ha sperimentato. Decisamente più rare, ma indubbiamente più misteriose, sono altri due tipi di esperienze psichiche che vengono chiamate rispettivamente OBE (dall’inglese Out of Body Experience, ovvero Esperienze fuori dal corpo) e NDE (Near Death Experiences, ovvero Esperienze vicine alla Morte).

Le OBE sono state definite dal parapsicologo Chrales Tart, che le ha a lungo studiate, come «un evento in cui il soggetto sembra percepire una parte di un ambiente che non potrebbe in alcun modo percepire dalla posizione che occupa il suo corpo fisico; e sa di non stare sognando o fantasticando». In pratica chi vive un’esperienza di questo tipo ha la sensazione di uscire dal proprio corpo di muoversi liberamente nell’aria e di osservare il suo stesso corpo dall’esterno.

Le NDE sono invece costituite dalle sensazioni che talvolta alcuni soggetti, rientrati dal coma o risvegliatisi da una anestesia, raccontano di aver vissuto. Tra le sensazioni più frequenti si hanno le stesse OBE, l’impressione di fluttuare in un tunnel oscuro con in fondo una luce intensa, di vedere ciò che accade intorno a sé, di incontrare persone defunte, ecc.

Queste esperienze colpiscono moltissimo e comprensibilmente chi le vive e molto spesso sono state interpretate in senso paranormale. Le OBE sarebbero una dimostrazione dell’esistenza di un “io” spirituale capace di distaccarsi dal corpo (anima o corpo astrale), mentre le NDE dimostrerebbero l’esistenza dell’aldilà e, quindi, di una vita dopo la morte. Occorre sottolineare che non tutti coloro che vivono simili esperienze ne forniscono questo tipo di spiegazione. Alcuni, restando fedeli al proprio scetticismo e alla propria razionalità, le considerano semplicemente un’invenzione del proprio cervello. Significativa a questo proposito è la seguente testimonianza emersa da una lettera che un lettore aveva inviato al CICAP. La lettera descrive inoltre molto bene che cosa si percepisce in simili esperienze:

Vi scrivo per esprimere la mia posizione riguardo a un fenomeno che troppo spesso viene trattato, specialmente in TV, in modo superficiale e ingannevole: il ritorno dal coma. Ho deciso di scrivervi perché non è la prima volta che Rete 4, con la trasmissione Top Secret (ma anche altre targate “misteri”) spettacolarizza la questione che di misterioso non ha assolutamente niente. Il tunnel di luce che si vede è spiegabilissimo, come lo è la levitazione, il “vedersi” sul lettino non nasconde nessun mistero. L’ho provato, ne sono stato testimone e mi piacerebbe che qualcuno qualificato come voi smentisse tutte le paranoie che la gente si fa sull’aldilà.

Per introdurre la spiegazione è necessario che racconti in breve la mia storia. Ho 43 anni e sono ex tossicodipendente, figlio degli anni ’80, passato per la comunità negli anni ’90 e non completamente riabilitato per alcuni anni successivi, nel senso che, pur senza una forte dipendenza, ho continuato per qualche anno, senza che gravasse pesantemente sulla vita quotidiana, ad assumere le più svariate sostanze.

Nel 2004 sono finito in overdose da metadone, una sera mi sono praticamente addormentato e mi sono risvegliato intubato in rianimazione circa una settimana dopo. Per un errore di valutazione, ho ingerito più metadone di quello che potessi tollerare e sono finito in coma.

A chiamare l’ambulanza è stato mio fratello che mi ha trovato dopo 14 ore, avevo frequenza cardiaca e respiratoria quasi assente e la temperatura del corpo era di 30 gradi. Un record, perché pare che sotto i 32 uno sia già cadavere ma tant’è, sono qui, ce l’ho fatta.

In rianimazione ho visto tutto quello che si dice a proposito del tunnel di luce, mi sono visto dall’alto, ho visto i medici intorno a me, ho provato un senso di pace e calore indescrivibile, ricordo perfettamente di aver provato fortemente il desiderio di restare “di là”, ma sono sicurissimo che tutto ciò non abbia niente di sovrannaturale e soprattutto che non abbia niente a che vedere con l’aldilà.

Ne sono certo proprio perché in virtù di una certa abitudine all’alterazione delle percezioni sensoriali del mio corpo sulla base di sostanze, sono sicuro che quello che ho percepito in quell’occasione sia semplicemente l’effetto di alterazioni di natura fisico-chimica. Non sono sicuro di molte cose, ma ho la piena consapevolezza di saper leggere le sensazioni del mio corpo. Provo a descrivere quello che mi è successo.

Del pre-coma ricordo che ero al computer, un attimo dopo sento, nel buio, una musica techno a basso volume, in lontananza, incessante. Ricordo di essermi chiesto: «Ma dove sono?». Sentivo caldo, non vedevo nulla, probabilmente perché ero a occhi chiusi, cercavo di capire il tempo della musica per razionalizzare il contesto in cui mi trovavo. Molto più tardi scoprirò che non si trattava di musica ma del rumore del respiratore artificiale. La mia sensazione era che fossi in una sala di aspetto al buio, non so spiegarmi perché mi immaginassi in una sala d’aspetto ma ricordo di averlo pensato. Dopo un po’ arriva la luce, riesco a vedere tre persone intorno a me, due uomini e una donna, e al contempo sento i battiti del mio cuore aumentare come un tamburo. Li sento nel petto e quasi mi sembra di percepirne il rumore. I tre medici (capisco che sono medici dal camice) parlano fra loro, discutono sulla quantità di un certo farmaco (di cui non ricordo il nome) da somministrarmi. Il cuore impazzisce, penso che se non si sbrigano a somministrarmi quella cosa morirò lì. I battiti aumentano, sembra un mitra, ho una paura tremenda, non ce la faccio più e BUM! un boato, di colpo non sento più nulla, né rumori, né musica, né il mio cuore. All’altezza del mio petto, a una distanza di una trentina di centimetri, si forma un piccolo vortice, sento che sono io che mi sto smaterializzando, mi sto dissolvendo in questo vortice. Come fossi composto da gas percepisco quello che si può definire una levitazione, e mi immagino in una dimensione diversa, sento che sono sospeso in aria, sono circondato da luce bianca intensa. La sensazione è piacevole, non c’è dolore, fa caldo ma non troppo, non ci sono rumori, meglio così che con il cuore a mille. D’un tratto un altro boato, enorme, assordante. Torno sul lettino, il cuore a mille, stesse condizioni. La cosa si ripete tre o quattro volte, vado, torno, rivado e ritorno. Se dovessi quantificare i tempi direi che in questa sospensione ci sono stato per una ventina di secondi alla volta, e qualche minuto con il cuore che mi scoppiava.

Ora, detto questo è facile intuire che con un’esperienza simile, se demandassi tutto al Creatore, se fossi un osservante bigotto, avrei visto l’aldilà. Di fatto mi sento in dovere di precisare che sono del tutto convinto che di reale non ci sia stato assolutamente nulla e che si trattasse di semplici “sensazioni”. Ritengo che, come un decimo di milligrammo di LSD ha il potere di provocare alterazioni sensoriali in una massa corporea di diverse decine di kg, anche un particolare stato psicofisico possa facilmente indurre a percezioni particolari.

«Come fossi composto da gas percepisco quello che si può definire una levitazione, e mi immagino in una dimensione diversa, sento che sono sospeso in aria, sono circondato da luce bianca intensa. La sensazione è piacevole, non c'è dolore, fa caldo ma non troppo, non ci sono rumori, meglio così che con il cuore a mille.»

Sono sicuro che tutto ciò che ho provato sono percezioni, la luce è quella del faro sopra il lettino, la mia levitazione l’ho sentita come percezione. Chi afferma che si è visto sul lettino dichiara il falso, si percepisce, sembra di, è come se, nulla di tangibile, è molto sfuggente e se hai la capacità di ascoltare il tuo corpo si capisce benissimo che non si tratta di aldilà ma di semplice caduta nel sonno comatoso e risveglio, caduta e risveglio.

Alla luce anche dei sogni che si fanno in coma, assolutamente allucinanti, in cui veramente si perde contatto con la realtà (in pratica non si distingue il sogno dalla realtà), è evidente che il coma induce una situazione psichica molto particolare, e non c’è nulla di strano se nei primi momenti di rianimazione il cervello produce certe sensazioni, forti, più acute dei sogni che verranno, probabilmente molto simili per tutti quelli che versano in queste condizioni.

 La frase sentita in tv che mi ha spinto a scrivere questa lettera è quella di una sociologa-psicologa che ha detto: «ci sono 15 milioni di persone, dall’aborigeno al manager di Manhattan, che testimoniano tutti la stessa cosa… dobbiamo pensare che qualcosa esiste davvero». Sì, esistono le stesse condizioni per ciascuno di essi. L’aborigeno come il manager vengono rianimati sotto un faro di luce bianca. Dovrebbero provare con un filtro verde e poi farsi raccontare di che colore era il tunnel di luce che hanno visto i resuscitati.

Per poter decifrare quello che succede nei primi momenti di rianimazione dovrebbe essere preso in considerazione quello che si percepisce durante le fasi del risveglio. A me hanno detto che sono stato circa una settimana in coma profondo e altre due in coma assistito, praticamente mi facevano dormire con dei farmaci. Queste due settimane le ricordo come un sogno allucinante continuo, interrotto da alcuni momenti di realtà comunque non vissuti in piena lucidità. I sogni che si fanno in coma sono molto diversi da quelli che si fanno nel sonno. In coma non sono sogni, sono veri, si percepiscono come tali e molto spesso continuano ad occhi aperti. Non mi stupisce affatto che qualcuno scambi la lampada della sala di rianimazione con Dio che chiama.

La testimonianza è piuttosto interessante innanzi tutto perché descrive molto bene le sensazioni che si possono provare in simili condizioni. Sensazioni estremamente realistiche che permettono di comprendere come mai molti soggetti interpretino queste esperienze in termini soprannaturali. Secondariamente è significativo che l’interpretazione che il protagonista ne fornisce, a causa della sua lunga consuetudine con allucinazioni indotte da droghe, coincida proprio con quella che la scienza medica ritiene la più valida: si tratta di sensazioni create dal nostro cervello sottoposto a particolari situazioni di stress.

Che l’interpretazione soprannaturale sia inopportuna è anche dimostrato dal fatto che queste esperienze non necessariamente avvengono in situazioni vicine alla morte. È stato infatti dimostrato che esse possono essere vissute, per esempio, dai piloti in fase di rapida accelerazione, da persone affette da particolari psicosi, o da consumatori abituali di sostanze psichedeliche quali la N-dimetiltriptamina (DMT), o di allucinogeni, come la ketamina (sostanza talvolta usata in anestesia). Inoltre, è stato possibile indurre artificialmente esperienze simili attraverso una stimolazione dei lobi temporali dell’encefalo durante interventi chirurgici per il trattamento dell’epilessia.

La sensazione di separarsi dal proprio corpo può ricevere una corretta interpretazione in termini neurologici. Ecco cosa afferma Sergio Della Sala, neuroscienziato dell’università di Edimburgo e membro del CICAP, rispondendo proprio alla lettera sopra riportata:

La percezione autoscopica di cui lei scrive, cioè il vedere il proprio corpo da una prospettiva diversa da quella rappresentata dal corpo stesso, è un fenomeno intrigante che ha generato parecchia discussione anche nel mondo accademico e ha dato adito a numerosi esperimenti e spiegazioni. I lettori interessati a interpretazioni organiche, cioè basate sul funzionamento del cervello, del fenomeno delle esperienze fuori dal corpo (out of body experience – OBE) possono rifarsi ai lavori di Olaf Blanke (per esempio, Journal of Neuroscience, 2005, pp. 250-57; Brain, 2004, pp. 243-258; British Medical Journal, 2004, pp. 1414-15; Nature, 2002, pp. 269-70) che, insieme ai suoi colleghi, ha dimostrato come il fenomeno dell’OBE sia dovuto a un fallimento dell’integrazione propriocettiva, tattile e visiva del proprio corpo, dovuto a un malfunzionamento (temporaneo) di una zona del cervello chiamata giunzione temporo-parientale. Questa inconsistente integrazione sensoriale provoca l’esperienza soggettiva di vedere il proprio corpo in una posizione non coincidente con quella reale (per esempio a mezz’aria, sotto il soffitto).

Quindi nessuna anima immateriale e nessun corpo etereo, con buona pace di tutti i fautori del mistero a tutti costi.

Un’interessante studio sulle OBE è stato condotto da Henrik Ehrsson, un neuroscienziato dell'University College di Londra[1]. Ehrsson è riuscito a riprodurre un'esperienza extracorporea in laboratorio su soggetti perfettamente sani. Nel suo esperimento Ehrsson ha fatto indossare ai soggetti un casco con un monitor diviso in due parti, una per occhio. Il monitor trasmetteva ciò che veniva ripreso da due telecamere, posizionate dietro al soggetto, collocate all'altezza della testa, distanti due metri. In tal modo ciascun occhio poteva vedere solamente ciò che una sola telecamera riprendeva. Il ricercatore, posto a fianco del soggetto, stimolava contemporaneamente, mediante due bastoncini, il petto reale del paziente e quello dell’immagine virtuale che il soggetto percepiva attraverso il monitor. Tutti i soggetti hanno dichiarato di aver provato in tal modo l'esperienza di trovarsi al di fuori del proprio corpo e di guardare la scena dall’esterno. Come ha affermato lo stesso Ehrsson:

Questa illusione è differente da ogni altra finora pubblicata. È la prima a coinvolgere un cambiamento nella posizione percepita del sé, per quanto riguarda il corpo fisico. Differisce anche da ogni altra precedente costruzione di realtà virtuale in quanto esamina ciò che accade quando si guarda a se stessi e per il fatto che è l'informazione multisensoriale contraddittoria a scatenare l'illusione. Finora non c'era stato verso di scatenare una esperienza extracorporea in soggetti sani, a parte insignificanti racconti presenti nella letteratura occultista. È uno sviluppo interessante con implicazioni per molte discipline, dalle neuroscienze alla teologia. Ma anche con possibili ricadute di interesse economico.

L’esperimento apre infatti le porte a nuovi orizzonti di “realtà virtuale” che potranno sicuramente trovare applicazioni pratiche nell’ambito di nuove generazioni di videgames, ma non solo.

Le OBE e le NDE quindi non rappresentano affatto un mistero irrisolto, con risvolti misticheggianti e occultistici, come molti vogliono far credere. Si tratta di singolari esperienze il cui studio scientifico può consentire grossi passi in avanti nella comprensione del nostro cervello e quindi di noi stessi. Come ha dichiarato la psicologa inglese Susan Blackmore, che ha a lungo studiato il fenomeno:

Per molti di coloro che la vivono, questa esperienza sembra senza dubbio fornire prova di una vita oltre la morte, e il profondo effetto che essa può avere su di loro rappresenta un’ulteriore conferma di ciò. D’altra parte, per molti scienziati queste esperienze sono solamente allucinazioni prodotte da un cervello morente e non sembrano più interessanti di un sogno particolarmente vivido. Quindi, chi ha ragione? (…) nessuno ha del tutto ragione: le esperienze di pre-morte non forniscono alcuna prova di una vita oltre la morte, e possiamo meglio comprenderle grazie alla neurochimica, alla fisiologia e alla psicologia; tuttavia, sono ben più interessanti di un semplice sogno.

 


[1] H.H. Ehrsson, “The Experimental Induction of Out-of-Body Experiences”, Science 317, 1048, 2007;