Se faccio bollire l’acqua per cinque minuti, l’ho resa potabile o no? Perché?

In senso etimologico, per acqua potabile si intende semplicemente l’acqua che può essere bevuta senza causare problemi di salute. In senso più restrittivo, si definisce acqua potabile quella che risponde ai parametri previsti per legge (sali, pH, residuo fisso, proprietà organolettiche, ecc). I criteri di potabilità sono attualmente definiti dal decreto legislativo 31/2001 (http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/01031dl.htm).

Anche rimanendo alla definizione più generica, ci sono essenzialmente due gruppi di fattori naturali che incidono sulla potabilità: i sali inorganici disciolti, alcuni dei quali tossici anche a basse concentrazioni (piombo, mercurio) e i microorganismi patogeni (il vibrione del colera, ad esempio). Il calore è in grado di uccidere i microorganismi patogeni, tanto da essere impiegato nei processi di sterilizzazione, ma non incide sulla composizione in sali inorganici. Basti pensare all’acqua di mare: l’ebollizione non la porta sicuramente a essere potabile. Se, quindi, in condizioni di emergenza, si vuole rendere potabile dell’acqua dolce di cui si sospetti una contaminazione microbiologica, l’ebollizione (anche per un minuto) è una misura consigliata alternativa all’aggiunta di disinfettanti. Se, invece, la non potabilità deriva dalla presenza di sali inorganici disciolti, l’ebollizione non ha alcun effetto, se non, paradossalmente, di aumentarne la concentrazione.

Un terzo gruppo di composti la cui presenza può rendere in principio l’acqua non adatta al consumo è dato da composti organici (molecole basate sul carbonio), prevalentemente derivanti da attività umane (concimi, insetticidi, rifiuti industriali, ecc). In questo caso, gli effetti dell’ebollizione possono essere estremamente variabili a seconda della natura chimico-fisica dei contaminanti. Alcuni composti organici sono volatili e potrebbero essere, in principio, allontanati dall’acqua, almeno in parte, per ebollizione prolungata (il metanolo è tossico e più volatile dell’acqua, ad esempio). Altri non sono volatili ma sono termolabili, e producono per riscaldamento derivati non tossici. Appartengono a questo gruppo le sostanze tossiche di natura proteica (una volta che subiscono denaturazione termica, tipicamente le proteine perdono qualsiasi attività avessero). Infine, vi sono diversi composti organici che sono estremamente resistenti al  calore e altri che per riscaldamento possono persino subire reazioni che li rendono più tossici. In tutti questi casi, evidentemente, non è pensabile rendere l’acqua potabile attraverso un breve ciclo di ebollizione.

La semplice ebollizione non è da confondere con la distillazione, un processo che, applicato all’acqua, consente di eliminarne tutti i soluti che non siano volatili. Avviene attraverso l’evaporazione, molto accelerata dal raggiungimento della temperatura di ebollizione, e successiva condensazione dei vapori, ovviamente in un contenitore diverso rispetto a quello di partenza, nel quale rimangono i residui. Da notare che neppure l’acqua distillata è potabile, perché, essendo priva di sali disciolti, tende a depauperare l’organismo di elettroliti (ioni inorganici quali lo ione sodio, potassio o cloruri) che sono fondamentali per diversi processi cellulari e in particolar modo per consentire l’eccitabilità di acuni tessuti come il cuore o i neuroni. In questo caso, ovviamente, l’ebollizione non porta sicuramente alla potabilità.

Ci sono processi, tipicamente su larga scala, che, spesso in combinazione, possono comunque rendere potabile acque che non lo erano in origine, eliminando tutti i possibili elementi non compatibili con la potabilità, si tratti di sali inorganici, molecole organiche o microorganismi. Basti pensare che gli impianti di dissalazione possono portare alla potabilizzazione dell’acqua di mare.