Galileo aveva ipotizzato i “vapori” di Giove come causa del variare della luminosità dei 4 satelliti. Non è questa, non può essere il variare (irrilevante) della distanza da noi, non può essere la diversa riflettività degli emisferi, non può essere la sovrastante luminosità del pianeta (che è sistematica). Qual è la causa?

Nelle fredde notti di gennaio e febbraio del 1610, a Padova un professore di matematica di nome Galileo Galilei scrutava il cielo attraverso uno strano tubo. Lo aveva costruito egli stesso, sulla base di indicazioni che gli erano arrivate dal nord Europa. Si trattava di un perspicillum, o cannone occhiale, uno strumento ottico che avvicinava gli oggetti lontani grazie a due lenti di vetro opportunamente lavorate.

Da uomo di scienza, Galileo aveva subito capito le possibilità dello strumento, infatti lo aveva puntato sulla Luna: aveva visto e persino misurato le sue montagne. Lo aveva puntato sulla via lattea, rivelando che il chiarore era dovuto ad una miriade di stelle invisibili ad occhio nudo. Lo aveva puntato su Giove e aveva scoperto che attorno al pianeta ruotavano quattro pianetini. Questo fatto in particolare aveva una importanza enorme: significava che il modello tolemaico veniva smentito dalle osservazioni: non era vero che tutto ruotava attorno alla Terra!
Insomma, in quei mesi l’Universo intero gli si stava rivelando attraverso quel semplice strumento.

Durante le otto settimane dal 7 gennaio al 2 marzo 1610, Galileo registrò 64 osservazioni di Giove, annotando nell’opera Sidereus Nuncius le posizioni e la grandezza (anche se sarebbe meglio dire la luminosità) dei quattro pianetini appena scoperti.
E’ molto interessante confrontare le annotazioni di Galileo con la realtà, che possiamo ricostruire grazie ad appositi software di simulazione, come ha fatto Ernie Wright nelle sue belle pagine dedicate alle osservazioni galileiane di Giove.

Il nostro lettore in particolare rileva che Galileo aveva tentato di dare una spiegazione del fatto che questi pianetini mostravano forti variazioni di luminosità (o di grandezza, come diceva lui).
Seguiamo le sue parole nell’edizione del Sidereus Nuncius a cura di Andrea Battistini, traduzione di Maria Timpanaro Cardini, Marsilio Editori, Venezia 1993:

E finalmente non si deve tralasciare, per qual ragione accada che gli Astri Medicei, mentre compiono rotazioni assai ristrette intorno a Giove, sembrino a volte più grandi del doppio. Non possiamo minimamente ricercarne la causa nei vapori terrestri, poiché essi appaiono accresciuti o diminuiti, mentre le moli di Giove e delle vicine fisse non si scorgono affatto mutate. Che poi essi s’accostino tanto alla Terra nel perigeo della loro rotazione, e tanto se ne discostino nell’apogeo, da causare con ciò un così grande mutamento, sembra del tutto impensabile; poiché una rotazione circolare stretta non può produrre questo effetto in alcun modo, e un moto ovale (che in questo caso sarebbe quasi retto) sembra non solo impensabile, ma neppure in alcun modo consono con le apparenze. Quello che su ciò mi viene in mente, volentieri lo espongo, e direttamente lo offro al giudizio e alla critica degli studiosi.
Si sa che per l’interposizione dei vapori terrestri, il Sole e la Luna appaiono più grandi, ma le fisse e i Pianeti più piccoli: donde i due Luminari vicino all’orizzonte si vedono più grandi, le Stelle invece più piccole, e per lo più poco visibili, e diminuiscono ancor più, se i medesimi vapori siano impregnati di luce; perciò le Stelle di giorno e nei crepuscoli appaiono debolissime; non così la Luna, come anche sopra abbiamo avvertito. Inoltre, che non solo la Terra, ma anche la Luna sia circonfusa da un suo involucro di vapori, risulta sia da quanto sopra si è detto, sia soprattutto da quello che più estesamente diremo nel nostro Sistema; ma appunto il medesimo giudizio lo possiamo convenientemente applicare ai rimanenti Pianeti; in modo che non sembra del tutto impensabile porre un involucro più denso del rimanente etere anche intorno a Giove, intorno al quale, così come la Luna intorno alla sfera degli elementi, ruotino i Pianeti MEDICEI, e per interposizione di questo involucro, quando sono apogei appariscano più piccoli, più grandi invece quando son perigei, per la sottrazione, o almeno attenuazione, del medesimo involucro. Di procedere oltre m’impedisce l’angustia del tempo; il benigno Lettore aspetti tra breve una più ampia trattazione su questo argomento.

Oggi sappiamo che la superficie di questi satelliti galileiani (Io, Europa, Ganimede e Callisto) sono piuttosto uniformi, dunque non è ipotizzabile che la causa sia la diversa riflettività della loro superficie (albedo).

Neppure la loro variazione di distanza dalla Terra durante la loro orbita attorno a Giove può essere una spiegazione valida. Consideriamo il caso più favorevole alla variazione: Callisto varia la sua distanza dalla Terra di 3,6 milioni di km rispetto ad una distanza che nel caso minimo è di 620 milioni di km. Dunque abbiamo una variazione massima di distanza di 1/180, del tutto insufficiente a spiegare un raddoppio di luminosità apparente.

La spiegazione più verosimile è da ricercarsi nello strumento di Galileo. Il cannocchiale non aveva una risoluzione tale da distinguere due satelliti quando si trovavano molto vicini. Dunque la loro luminosità si sommava, sotto l’apparenza di un oggetto unico.

Si veda l’esempio seguente dell’osservazione del 30 gennaio 1610: Europa e Ganimede sono molto vicini. Galileo però disegna una singola stella, molto più grande di quella a fianco (Callisto).


(figura tratta dal sito di E. Wright)

E’ interessante notare che almeno in un caso Galileo è perfettamente consapevole che due satelliti si possano sovrapporre, ad esempio per il 24 gennaio 1610 sono riportate due osservazioni a distanza di cinque ore:


(figura tratta dal sito di E. Wright)

e Galileo correttamente annota:

… se non m’inganno, le due Stelline intermedie prima osservate si erano fuse in una sola

Non si capisce, quindi, perché il grande scienziato abbia insistito nel ricercare le variazioni di luminosità nei presunti "vapori attorno a Giove".
Tra l’altro i "vapori" sono proprio la bestia nera di Galileo: nella famosa polemica sulle comete col gesuita Orazio Grassi, lo scienziato attribuisce erroneamente le comete ad effetti ottici della luce solare su "vapori terrestri elevatisi dalla Terra".