Esiste un’ipotesi che spieghi il perché in natura si tenda sempre al passaggio da uno stato a più alta energia ad uno stato a più bassa energia, ossia, cosa significa nel profondo una condizione più stabile?

In realtà non esiste un principio di minima energia. Sotto condizioni molto generali, l’energia è una costante del moto per la maggioranza dei sistemi presi nel loro complesso (sistema specifico + ambiente circostante) e dunque l’evoluzione di un qualunque sistema non comporta una variazione dell’energia totale. In generale, l’energia non può quindi essere utilizzata come criterio per stabilire la direzionalità di una trasformazione.

In termodinamica, la grandezza che si utilizza per definire la direzionalità delle trasformazioni è l’entropia (S), e il secondo principio (della termodinamica) afferma che, in una trasformazione di un sistema isolato, l’entropia aumenta sempre.

Classicamente, la variazione di entropia associata a una trasformazione reversibile (ideale) di un sistema che comporti un flusso di calore dQ (in entrata o in uscita dal sistema) è definita dalla relazione


dS=dQ/T

dove T è la temperatura del sistema. In formula, il secondo principio afferma che per una trasformazione irreversibile (reale), sia


dS > dQ/T

In particolare, se il sistema è isolato (non può cioè scambiare materia e/o calore con un ambiente esterno), dQ = 0 e dS > 0.

Il secondo principio può essere giustificato ricordando la definizione statistica di entropia. Immaginiamo di avere 3 palline rosse e tre palline verdi da suddividere causalmente in due contenitori distinti (A e B). Dal calcolo combinatorio sappiamo che il numero di modi (N) di distribuire le sei palline nei due contenitori è pari a

N = 6!/3!3!

dove la notazione n! indica il fattoriale del numero n, che è per definizione pari a

n! = n·(n-1)·(n-2)·…·2·1

nel nostro caso N=20 e, nella figura sottostante, sono state disegnate alcune delle possibili distribuzioni.

Chiamiamo ordinate le configurazioni che prevedono tutte le palline di un medesimo colore raccolte in un unico contenitore, e disordinate tutte le altre: dalla figura si vede facilmente che le configurazioni ordinate sono soltanto 2 (la numero 1 e la numero 20), mentre tutte le altre sono disordinate (per un totale di 20 – 2 = 18 configurazioni). Si noti che, in questo caso semplice, tutte le configurazioni disordinate sono equivalenti nel senso che prevedono sempre una pallina di un dato colore insieme a due altre palline del colore diverso.


Gettando a caso le palline nei due contenitori, la probabilità di ottenere una qualunque configurazione disordinata è dunque 9 volte (18/2) più alta di quella di ottenere la configurazione ordinata.
Nel caso in cui il numero di palline sia dell’ordine del numero di Avogadro (1023), la probabilità di ottenere una configurazione disordinata è enormemente più alta di quella di ottenerne una ordinata.

Dal punto di vista statistico l’entropia è legata (per definizione) al numero di stati possibili che un dato sistema può assumere (nell’esempio delle 6 palline, ricordiamo, ci sono 18 stati disordinati e 2 stati ordinati), e poichè il numero di stati disordinati di un sistema è molto più grande del numero di quelli ordinati, ne deriva che (i) l’entropia di un sistema disordinato è più alta di quella corrispondente a un sistema ordinato, e (ii) il sistema che si osserva all’equilibrio è quello caratterizzato dalla più alta entropia (proprio perché è il più probabile). Se vogliamo, dunque, dal punto di vista statistico il secondo principio della termodinamica si giustifica molto semplicemente:

in Natura, un sistema si evolve verso il più probabile tra tutti gli stati che il sistema medesimo può assumere (compatibilmente a tutti i vincoli imposti, come quello della costanza dell’energia: tutti gli stati sono statisticamente equivalenti, e dunque sono equi-probabili, ammesso che abbiano la stessa energia).

A differenza di un sistema isolato, uno che non lo sia può scambiare energia con un ambiente esterno. Anche qui, tenuto conto dell’invarianza dell’energia totale, se esistesse un criterio di minima energia per il sistema, durante una trasformazione l’energia dell’ambiente esterno dovrebbe massimizzarsi (per fare in modo che la somma dell’energia del sistema e quella dell’ambiente, dopo la trasformazione, sia identica a quella che si aveva prima della stessa). Un principio di minima energia del sistema si tradurrebbe dunque in un principio di massima energia per l’ambiente, ma poichè nulla ci consente di attribuire maggiore importanza al sistema rispetto all’ambiente (che è comunque parte di un tutto, così come lo è il sistema), ciò è evidentemente insensato.

Il criterio da seguire è ancora quello dettato dal secondo principio, e ha strettamente a che fare con l’entropia. In particolare, occorre che la variazione di entropia totale (dS),  pari alla somma delle variazioni di entropia dell’ambiente (dSamb) e del sistema (dSsist), aumenti durante la trasformazione:

dS = dSsist + dSamb > 0

Nelle trattazioni della termodinamica classica che si trovano su moltissimi testi (a cui si rimanda) si mostra che:

dSamb = – dUsist/T

dove dUsist rappresenta la variazione di energia interna del sistema in una trasformazione a volume costante. Da ciò deriva:

dSsist – dUsist/T > 0

ovvero, lasciando cadere l’indice sist (tutte le variabili in gioco si riferiscono adesso al sistema, e dunque non c’è ambiguità di notazione anche rimuovendo quell’etichetta), e cambiando di segno:

dUTdS < 0

E’ conveniente a questo punto definire una funzione F (energia libera di Helmholtz) tale che

F = U – TS

Differenziando si ha:

dF = dUSdTTdS

Per una trasformazione a T costante (dT = 0) vale allora:

dF = dUTdS

e il secondo principio (dS > 0 per un sistema isolato) si traduce in dF < 0 per un sistema non isolato e a volume definito.

Spesso si interpreta quanto sopra dicendo che nel corso della trasformazione, per aversi dF < 0, l’energia interna del sistema deve diminuire (dU < 0) e l’entropia deve aumentare (dS > 0). Questa sorta di principio di minimo di energia è tuttavia scorretta, perchè quel dU deriva da un termine -dU/T che a propria volta rappresenta la variazione di entropia dell’ambiente. Il principio sottostante è dunque sempre e comunque quello di aumento di entropia.

Nei problemi puramente meccanici il focus è normalmente su pochi gradi di libertà di un sistema: se consideriamo un pendolo in moto, e dichiariamo che su questo non siano operanti meccanismi dissipativi dell’energia (assenza di attrito), l’energia rimane ovviamente costante e il pendolo non si ferma mai! Nella realtà gli attriti ci sono, e l’energia viene dispersa su altri gradi di libertà aggiuntivi rispetto a quelli considerati nel sistema ideale senza attriti. Questi nuovi gradi di libertà definiscono l’ambiente in cui il pendolo si muove. Anche qui l’energia totale (considerando sia il pendolo, sia l’ambiente) si conserva, ma l’entropia aumenta nel trasferimento di energia dal pendolo all’ambiente: l’attrito genera calore, cioè energia trasferita ai gradi di libertà aggiuntivi, e il pendolo si ferma.

Volendo, potremmo considerare il nostro semplice sistema meccanico come il limite per T che tende a zero del sistema termodinamico complessivo che comprenda anche l’ambiente; in tal caso dF < 0 si tradurrebbe in dU < 0 e il principio di massima entropia (e l’equivalente di minima energia libera), si trasformerebbe in un principio di minima energia meccanica del solo sistema. Ma per quanto già detto sopra, questa lettura è scorretta perchè nasconde il vero criterio di direzionalità basato unicamente sull’entropia.