Salve, sono Roberta, vorrei sapere se esistono muschi o erbacee in grado di assorbire i cattivi odori o profumare l’aria e che sopravvivano anche a temperature elevate

Tra le innumerevoli e diversissime forme di vita presenti in natura esiste un genere di piante erbacee appartenenti alla famiglia delle Bromeliaceae in grado di intercettare con le proprie foglie le molecole e le polveri presenti nell’aria, comprese per esempio quelle che causano i cattivi odori o i prodotti incompleti della combustione degli idrocarburi. Originarie del Centro America, si sono in seguito distribuite in una vasta gamma di ambienti del continente sudamericano, tipo: le foreste tropicali, i climi freddi degli altopiani delle Ande ma anche i deserti. Al momento ne sono state classificate circa 512 specie di cui una decina vengono commercializzate in tutto il mondo; tra queste sono anche presenti delle specie definite “atmosferiche” o “xerofile” adattate a vivere in ambienti caldi e secchi e particolarmente indicate per catturare le polveri e i gas inquinanti. Altre specie, come vedremo in seguito, esibiscono delle infiorescenze intensamente profumate.

 

Infiorescenza di Tillandsia

Le specie appartenenti a questo genere vengono denominate Tillandsia (sempre al singolare anche se si indicano più specie): è la prima parola latina del binomio linneano che indica il genere e che deriva da Tillands Elias (1640 – 1693), il botanico che le identificò.

Queste piante presentano un percorso evolutivo del tutto particolare se paragonate con la stragrande maggioranza di tutte le altre famiglie del regno vegetale. Nell’immensa complessità e competitività dell’economia della natura, alcuni progenitori di questo genere hanno occupato – generazione dopo generazione, per migliaia di generazioni – una nicchia che comportava un’esistenza senza apparato radicale o quasi. Un percorso rischioso, in quanto dovevano svolgere le stesse funzioni metaboliche degli organismi autotrofi ma senza usufruire dei sali e dell’acqua presenti nel terreno, e fondamentali per la fotosintesi. Ciò nonostante, nulla si fa per nulla, e ad ogni costo corrisponde un beneficio,  e infatti un tale svantaggio veniva compensato dalla libertà di non dipendere più dal terreno. Quindi, non avendo più alcun vincolo con il suolo erano in grado di occupare qualsiasi substrato, purché solido, ed avvantaggiarsi rispetto ad altre specie per raggiungere la luce nei punti più alti della foresta o dell’ ambiente di origine. In effetti la maggioranza di questi organismi vivono appoggiati o ancorati con piccole radici rudimentali su rami o tronchi di alberi, e per questa ragione sono detti “epifitici.” Inoltre, vivono anche su rocce e in alcuni casi – nei luoghi in cui sono più diffuse – anche su pali, fili elettrici e sulle antenne televisive.

 

Tillandsia usneoides

Presentano una variabilità fenotipica (tratti somatici) estremamente elevata che ha creato non pochi problemi di classificazione ai botanici. Non esiste una netta demarcazione, per esempio, tra specie che utilizzano parzialmente le radici per assorbire le soluzioni a cui sono ancorate e quelle che invece le impiegano solo per aggrapparsi ad altri organismi o rocce. Così come non esiste una netta separazione tra quelle che possiedono una rosetta basale di foglie in grado di convogliare l’acqua piovana (per lo più viventi nella foresta tropicale) e quelle che presentano delle strutture “tricomi” per intercettare le polveri (per lo più dei climi caldi). Anche il confine tra specie aree o epifitiche (quelle vivono sopra altri alberi), e quelle terrestri (comprese quelle che cadendo dagli alberi si sono riadattate a vivere a contatto con il suolo) non è ben definito. Alcuni individui con rosetta basale sviluppano delle radici che risalgono sulla pianta stessa fino a raggiungere l’acqua contenuta tra le proprie foglie. Oppure si formano colonie di individui epifitici che si attaccano l’un con l’altro.

 

Tillandsia bayleyi

Interessante notare che il seme in alcuni casi germina subito dopo la schiusura della capsula che lo contiene aggrappato a quello che resta dell’infiorescenza subito dopo la fioritura. In genere, tuttavia, il seme è dotato di un pappo piumoso (come il seme del soffione “Taraxacum”) che favorisce la sua dispersione nell’ambiente per opera del vento.

 

Come altre monocotiledoni, per esempio il mais, il frumento, l’ananas e altre fioriscono una sola volta durante la loro vita. Come detto in precedenza, alcune specie – per esempio Tillandsia usneoides -possiedono dei fiori che emanano dei profumi molti intensi, dolciastri, simili a quelli emessi dai fiori del tiglio o del gelsomino. In serra infatti è possibile percepire il profumo fino a 5 – 10 metri di distanza.

 

La struttura cruciale che caratterizza queste piante, tuttavia, è il tricoma che consente loro di captare e veicolare all’interno della foglia (nel mesofillo) l’acqua e i composti chimici utili per il processo di fotosintesi (un sistema di assorbimento alternativo che per le altre piante è deputato alle radici). Al microscopio ottico e in sezione quest’organo appare come una serie di cellule rotonde concentriche impilate una sull’altra alla sommità delle quali ne è presente una di maggiori dimensioni (cellula a "scudo" che blocca la fuoruscita di vapor acqueo). Proprio attorno a quest’ultima si sviluppa forse la parte più interessante: una serie di cellule piatte membranose simili ad ali o ventagli con la possibilità di sollevarsi  e abbassarsi in funzione del grado di idratazione o necessità delle pianta. Queste ali hanno una triplice funzione: 1) quando sollevate, rallentano la traspirazione creando ombra sulla superficie fogliare e riflettendo la luce. 2) Catturano la polvere e le sostanze minerali presenti nell’aria. 3) Quando abbassate, pompano e trasferiscono i composti captati e l’acqua verso l’interno della foglia. Elevate densità di tricomi sono presenti di solito nelle specie strettamente epifitiche e xerofile alle cui foglie conferiscono un aspetto vellutato. Nelle specie che vivono in ambienti caldi e umidi, invece, la densità tricomica è più bassa, la foglia appare più liscia anche perché le ali sono decisamente più piccole.

 

Grazie alle proprietà di questa pianta di trattenere il pulviscolo e altre sostanze presenti nell’aria, alcuni ricercatori italiani hanno pensato di utilizzarle come rilevatori di inquinanti atmosferici in ambiente cittadino, in particolare per quei composti derivanti dalla incompleta combustione della benzina e del gasolio (idrocarburi policiclici aromatici) e sospettati di causare gravi malattie respiratorie. I risultati degli  esperimenti eseguiti sulla trafficata circonvallazione di Firenze hanno mostrato che le Tillandsia non solo catturano gli inquinanti, ma sono anche in grado di assorbirli ed eliminarli metabolizzandoli: 0.2 milligrammi per chilogrammo di pianta. A tal fine si ipotizza per il futuro la possibilità di arredare gli appartamenti con pareti decorate con queste piante per disinquinare  e depurare l’aria di una stanza.

 

Ringraziamenti:

http://www.tillandsie.net/tillandsia.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Tillandsia

Fotografie:

http://www.agraria.org/