Quando Kurt Goedel ha elaborato la cosiddetta “prova matematica dell’esistenza di Dio”, l’ha presentata come una prova a suo avviso realmente valida e da prendere sul serio, oppure l’ha considerata (lui stesso) una sorta di “esercizio di stile”, un divertissement privo di valore scientifico?




Kurt Gödel (1906-1978) iniziò a lavorare a una sua versione della prova matematica dell’esistenza di Dio nel 1941. Nel febbraio del 1970 ne parlò privatamente all’informatico e matematico Dana Scott (n. 1932) ma, finché visse, non pubblicò assolutamente nulla sull’argomento. Nell’autunno del 1970 Dana Scott, in base ai suoi appunti, presentò la prova in un seminario alla Princeton University. La dimostrazione venne però pubblicata solamente nel 1987, nove anni dopo la morte di Gödel e nel 1995 venne inserita nel terzo volume dei Collected Works, opera in cinque volumi che raccoglie tutte le opere di Gödel, pubblicate a cura di S. Feferman, J.W. Dawson, W. Goldfarb, Ch. Parsons, R. N. Solovay da Oxford University Press. In lingua italiana l’ultima versione della dimostrazione è stata pubblicata nel 2006 da Bollati Boringhieri con una prefazione di Gabriele Lolli, una nota introduttiva di Robert Merrihew Adams e due appendici rispettivamente di Piergiorgio Odifreddi e di Roberto Magari.

Non è facile rispondere esattamente alla domanda del lettore, si possono solo fare congetture. Il fatto che Gödel non abbia mai pubblicato la sua dimostrazione dell’esistenza di Dio può indurre a credere che egli stesso avesse qualche perplessità su di essa oppure, come è stato sostenuto da alcuni autori, avesse semplicemente timore di essere frainteso [questa interpretazione sembra trovare conferma in una confidenza che lo stesso Gödel fece all’economista austriaco Oskar Morgenstern (1902-1977)].

 

Gödel era fortemente incline a una visione spirituale della realtà e credeva sicuramente in Dio. Tuttavia è stato osservato che il Dio di Gödel aveva poco a che fare con quello della teologia tradizionale. Per Gödel Dio era sostanzialmente un’esigenza logica. Per lo studioso boemo infatti la stessa esistenza dell’universo doveva basarsi su un ordine logico-matematico e Dio rappresentava il fondamento di tale ordine. Il Dio di Gödel viene infatti definito nella sua dimostrazione come “ciò che gode di tutte le proprietà positive”. Naturalmente Gödel si preoccupa, precedentemente, di introdurre il concetto di proprietà positive, attraverso assiomi che ne illustrano le proprietà formali.

La dimostrazione dell’esistenza di Dio di Gödel è sostanzialmente una versione moderna e formalizzata della vecchia prova ontologica, introdotta inizialmente da Anselmo d’Aosta (1033-1109) e poi ripresa da Cartesio (1596-1650) e Leibniz (1646-1716). In estrema sintesi e semplificando al massimo essa afferma che Dio esiste per il semplice fatto di essere concepito dalla mente umana. Tale prova è stata fortemente contestata da molti autori, a cominciare da Tommaso D’Aquino (1225-1274).

 

Nella sua dimostrazione Gödel manifesta un notevole impegno cercando di raggiungere un estremo rigore logico e questo può far pensare che egli non la interpretasse affatto come un semplice “esercizio di stile”, ma la considerasse seriamente. Tuttavia, dal punto di vista strettamente logico, sono diverse le critiche che possono essere avanzate e nell’edizione italiana sopra citata i curatori le evidenziano con chiarezza e quindi mi permetto di rimandare il lettore a quell’opera (un’interessante recensione si può trovare qui: http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2007-06/godel.htm). Mi limito, per concludere, a riportare un commento finale di Roberto Magari, autore di una delle due appendici:

 

Occorre in ogni caso stare molto in guardia contro tutto ciò che può essere suggerito dal desiderio di credere. […] alcuni “intellettuali” contemporanei sono ben lieti del fiorire di credenze strampalate, argomentando che esse possono migliorare lo stato d’umore dei credenti e costituire un arricchimento culturale. Questa tesi, mi pare, è rovinosa e seguendola saremo sempre meno in grado di affrontare la realtà, sempre meno liberi e in definitiva, penso, sempre più sofferenti.