perchè i metalli alcalino-terrosi, pur avendo gli orbitali molecolari più esterni sigma (di legame) e sigma* (di non legame) completamente saturi e quindi con ordine di legame che dovrebbe essere nullo, formano comunque un legame metallico e si presentano in forma solida?

La risposta a questa domanda apparentemente semplice, non è in effetti altrettanto semplice!

Com’è noto, la scienza si basa innanzitutto sulla osservazione di fatti sperimentali. Questi vengono classificati e interpretati alla luce di teorie e modelli il cui unico scopo è appunto quello di render ragione del maggior numero possibile di osservazioni sperimentali, facendo uso del minor numero possibile di postulati e parametri più o meno arbitrari.

Da circa un secolo è noto che tutta la fenomenologia chimica deve (o dovrebbe) essere compresa sulla base delle interazioni fondamentali di natura elettrica (o meglio, elettromagnetica) tra le particelle cariche che costituiscono gli atomi, almeno se opportunamente trattate entro il formalismo quantistico o, in certi casi, entro quello quanto-relativistico. L’equazione fondamentale della dinamica in ambito quantistico non relativistico, per i sistemi indipendenti dal tempo, è l’equazione di Schroedinger:

   Hψ = Eψ 

dove H è l’operatore Hamiltoniano contenente i termini cinetici dell’energia e i termini potenziali internucleari, interelettronici e nuclei-elettroni. E e ψ, soluzione dell’equazione di Schroedinger, sono rispettivamente l’energia totale e la funzione d’onda multielettronica del sistema.

In linea di principio, qualunque questione di carattere chimico può essere razionalizzata risolvendo l’equazione di Schroedinger adeguatamente impostata allo scopo (cioè specificando in modo corretto tutti i termini rilevanti che devono entrare nella formulazione dell’Hamiltoniana H). Dalla sua soluzione emergerebbe quindi anche la risposta al quesito

perchè i metalli alcalino-terrosi si presentano in forma solida?

(Quesito simile, ma non identico, a quello posto dal lettore, essendo stato qui eliminato ogni accenno a una qualunque teoria o modello di legame già all’interno della stessa domanda).

Il problema è che l’equazione di Schroedinger si può risolvere esattamente in un numero limitatissimo di casi molto semplici e fondamentalmente monoelettronici: è possibile ottenere la soluzione esatta per l’atomo di idrogeno e per i sistemi idrogenoidi (ioni aventi un solo elettrone: He+, Li++, Be3+…), cioè in tutti quei casi ove  non compaiano termini di potenziale interelettronico nell’Hamiltoniana. In tutti gli altri casi si deve ricorrere a metodi approssimati.

Le tecniche di soluzione approssimata dell’equazione di Schroedinger per un sistema multielettronico sono molteplici. Partono in generale da presupposti diversi; hanno scopi diversi; hanno grado di accuratezza variabile che è a volte funzione della determinata proprietà molecolare che si vuole indagare; richiedono potenze di calcolo che vanno dal semplice PC al mainframe o cluster multiprocessore e, infine, nell’interpretazione dei risultati dei calcoli conducono a modelli del legame chimico che possono essere molto diversi: alcuni intuitivi e molti simili alle idee originali di Lewis o Pauling, e altri che neppure si prestano ad alcuna interpretazione (il valore numerico della data proprietà calcolata è tutto ciò che si può ottenere dallo specifico modello computazionale prescelto) .

Storicamente si è assistito alla nascita e allo sviluppo di metodi di soluzione sempre più complessi, in funzione della continua crescita delle potenzialità di calcolo offerte dalla tecnologia elettronica. I primi approcci vengono oggi classificati sotto l’etichetta di Valence Bond Methods (VB; metodi del legame di valenza) . Essenzialmente per ragioni di opportunità computazionale, si è in seguito sviluppato il metodo degli orbitali molecolari (MO) definito all’interno dell’approssimazione monodeterminantale (Hartree-Fock, HF) della funzione d’onda multielettronica:

(qui sarò necessariamente un po’ tecnico…) imponendo il principio di antisimmetria (si veda ad esempio la risposta http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=12143) si può dimostrare che una qualunque funzione d’onda multielettronica può essere espansa in modo esatto in una serie infinita di determinanti (detti di Slater) i cui elementi sono autofunzioni di un qualche operatore monoelettronico (per esempio quello corrispondente a un sistema idrogenoide). Il metodo HF consiste nel troncare la serie infinita di determinanti di Slater a un solo termine, ottimizzando opportunamente le funzioni monoelettroniche che lo costituiscono (questo per limitare l’errore di troncamento). Tali funzioni sono gli orbitali molecolari.

Per la sua diffusione, per la sua relativamente facile implementazione in programmi per calcolatore, e per le sue buone capacità predittive delle proprietà di molte molecole, il metodo Hartree-Fock ha contribuito alla costruzione di un vero e proprio modello interpretativo della formazione e delle proprietà del legame chimico: a partire da un approccio computazionale ideato allo scopo di risolvere in modo approssimato l’equazione di Schroedinger, si è passati alla costruzione di un modello del legame chimico dando significato fisico a vari enti e grandezze formali che a volte, più che della fisica in sè, sono frutto della particolare tecnica di calcolo scelta; è questo il caso delle energie e forze di scambio e delle forze repulsive a corto raggio da contrapporsi, nella formazione del legame chimico, a quelle attrattive a lungo raggio: pura fantasia!

I metodi VB e MO (entrambi di natura variazionale) sono poi stati affiancati e/o superati da altri più complessi e costosi dal punto di vista delle risorse di calcolo; alcuni (CI e MCSCF) sono multideterminantali (la funzione d’onda multielettronica è espressa come combinazione lineare di un gran numero di determinanti di Slater) e sono ancora variazionali; altri sono perturbativi (MP2, MBPT) ma basati ancora su una soluzione iniziale variazionale HF-MO, poi corretta (migliorata) in qualche modo; altri ancora non sono classificabili né come variazionali, né come perturbativi: per esempio il metodo Coupled-Cluster (CC) o i metodi basati sulla Density Functional Theory (DFT, usatissima in ambito solidistico).

In molti casi il metodo HF (e il modello di legame chimico che porta con sè), su cui si basa ad esempio la terminologia stessa impiegata per porre la domanda iniziale (orbitali sigma di legame e antilegame), funziona adeguatamente, nel senso che i risultati dei calcoli riproducono abbastanza bene i dati sperimentali che si vogliono interpretare. Per contro, in altri casi (di solito i più interessanti…) i calcoli HF non forniscono affatto una buona rappresentazione della realtà: occorre passare ai metodi computazionali più complessi, accurati dal punto di vista dei risultati, ma per i quali non esistono modelli interpretativi dei risultati che siano semplici e intuitivi come per l’Hartree-Fock. A volte si è tentati di interpretare i risultati  provenienti, per esempio, da un calcolo multideterminantale MCSCF, forzandoli entro lo schema concettuale HF-MO… ma si tratta, appunto, di forzature!

Nel caso specifico dei metalli alcalino-terrosi, e della formazione del legame non debolissimo in dimeri come Be2, Mg2 , ecc…, in contrasto con quanto accade per l’elio che pure ha lo stesso tipo di configurazione elettronica esterna (ns2), potremmo forse invocare il mescolamento degli orbitali ns con quelli np (cosa impossibile per He 1s, poichè l’orbitale 1p non esiste) e quindi arrivare a un modello simile a una  ibridizzazione sp, in cui l’orbitale di antilegame sp* abbia un’energia più alta rispetto a quelli di non legame di tipo p, che si popolerebbero in luogo dell’sp*, incrementando l’ordine di legame (si tenga conto del fatto che il modello a orbitali ibridi nasce in un contesto VB; gli MO possono tuttavia essere letti nello stesso modo). In tal caso avremmo la formazione di un legame sigma dato dalla sovrapposizione di due orbitali ibridi sp, centrati sui due atomi, e orbitali di non legame di tipo p.

Ebbene, questo modello, pur rispondendo alla domanda iniziale ed essendo riportato su alcuni libri di testo, non è corretto! E la ragione fondamentale della sua non correttezza sta nel fatto il metodo HF-MO (o anche VB) non è in grado di predire l’esistenza stessa di un dimero Be2  e delle sue proprietà fondamentali sperimentalmente osservate (per esempio la distanza Be-Be). Questo vuol dire che il modello degli orbitali molecolari, con le sue categorie concettuali, basato com’è sul metodo HF, non è adeguato nel descrivere la situazione nel caso di Be2 (e di differenziarla da He2). La chiave di quel legame va ricercata oltre il metodo HF, attraverso tecniche CI, MCSCF o CC:  queste predicono le corrette proprietà della molecola Be2; il problema è che tali tecniche non offrono più alcun modello interpretativo semplice!