Curiosità, sul funzionamento della propagazione delle informazioni provenienti da telescopi e sonde inviate nel nostro sistema solare; in particolare vorrei sapere bande di frequenza e potenze di trasmissione. Si appoggiano anche a satelliti orbitanti per poi venire “rimbalzati” su ricevitori a Terra? Grazie per le eventuali risposte Saluti

La scelta di come comunicare a terra, con quali bande e antenne, dipende in larga parte da scelte di progetto delle agenzie e delle industrie che realizzano il sistema spaziale.
Vediamo quali vincoli vengano presi in considerazione dai progettisti: nel prosieguo considererò solo le sonde interplanetarie e i satelliti scientifici, trascurando quelli per telecomunicazioni, meteorologici, di telerilevamento e spionaggio, che hanno bande loro assegnate.

Tanto per cominciare, la banda di frequenza, da scegliersi tra quelle che la International Telecommunications Union (ITU) assegna alle comunicazioni con lo spazio profondo, dipenderà dalla disponibilità di ricevitori e trasmettitori sufficientemente potenti, qualificati per applicazioni spaziali, inoltre si cercherà di non sovrapporsi in frequenza con altri satelliti che si trovano nella stessa zona di cielo. Molto dipende inoltre dalla disponibilità delle grandi antenne a terra che costituiscono il Deep Space Network e dalla quantità di dati da dover trasmettere a Terra.
Per fare un esempio, data la quantità di dati da dover scambiare ogni giorno, si dovrà valutare il numero di ore giornaliere di disponibilità delle antenne a terra (e il costo dell’infrastruttura da addebitare al programma) per stimare il data-rate da garantire e da esso le dimensioni dell’antenna sul satellite e la potenza del trasmettitore. Queste scelte vanno ovviamente ad impattare anche su altri sotto-sistemi, per esempio minore disponibilità del link telemetrico verso terra comporta dover trasmettere più velocemente nei pochi momenti di disponibilità, e dunque antenne più grosse e trasmettitori più potenti, che impattano sulla massa del satellite, sul suo ingombro e sulla potenza consumata; massa e dimensioni che a loro volta sono un vincolo imposto dalla capacità del lanciatore. E’ possibile operare una compressione dei dati, ma questo comporta un incremento dei costi e della potenza consumata dal processore che eseguirà l’operazione…
Insomma, come si sarà capito, non esiste una soluzione univoca, ma si dovrà cercare il giusto compromesso con i vincoli imposti al satellite: costo, lanciatore, infrastruttura a terra, ecc…

Nelle missioni degli anni ’70 e ’80 si tendeva a usare la banda X mentre oggi, a causa della continua domanda di banda e dell’avanzamento della tecnologia, sono sempre più frequenti le missioni che usano le bande K e Ka, anche se la banda X non è stata affatto abbandonata, come dimostrano alcune missioni relativamente recenti come Cassini e New Horizons.
Permane l’utilizzo inoltre di canali “di servizio” a frequenze più basse (per esempio banda L ed S), a pochi Mbps di velocità.

Quanto alla potenza, i trasmettitori usati in campo spaziale hanno tipicamente potenze che vanno da qualche watt a poche decine di watt, mentre il data-rate massimo disponibile è di qualche centinaio di Mbps.

Per quanto riguarda i “rover” marziani, i vincoli di peso e di spazio sono così stringenti da non consentire di adottare delle antenne di guadagno elevato sul veicolo, inoltre le condizioni al suolo potrebbero rendere problematico puntare esattamente verso terra un’antenna direttiva. Perciò una soluzione molto pratica è quella di usare le sonde in orbita marziana come transponder per il segnale: in orbita intorno a Marte i segnali del rover sono ancora sufficientemente intensi da poter essere captati in modo affidabile e ad elevato bit-rate anche usando antenne a basso guadagno, e si può poi usare l’orbiter per rilanciare il segnale a terra, usando la sua parabola ad alto guadagno. Una soluzione del genere deve essere naturalmente studiata in anticipo, in modo che le frequenze e le modulazioni usate dal rover e dalla sonda orbitale siano compatibili; inoltre bisogna far combaciare le esigenze scientifiche e la vita operativa dei due sistemi, imponendo ulteriori vincoli operativi alle missioni.