Mi risulta che alcuni astronomi non proprio moderni avevano già stimato la velocità della luce (o almeno si erano resi conto che dovesse essere finita) osservando la posizione di alcuni pianeti diversa da quella che si aspettavano. Come potavano stimare questa posizione attesa?

La prima misura della velocità della luce è storicamente attribuita a Olaf Romer, un astronomo danese che compì la misura nel 1675-76. La cosa può apparire strana, dato che la misura della velocità della luce in laboratorio è tutt’altro che semplice, ma Romer fece uso di osservazioni astronomiche, che, come vedremo, sono facilmente replicabili da chiunque con l’uso di un semplice telescopio e di un orologio che commetta errori inferiori a qualche secondo entro un paio di giorni.

Romer si era accorto, osservando i satelliti di Giove scoperti da Galileo, che i loro periodi di rivoluzione attorno al pianeta sembravano non essere costanti nel corso dell’anno. Il periodo di questi satelliti, è abbastanza facilmente misurabile, guardando la loro posizione rispetto al pianeta, e in particolare, siccome il loro piano orbitale è molto vicino a quello dell’eclittica, presentano ad ogni orbita transiti ed eclissi rispetto a Giove, consentendo misure piuttosto precise.
Ora, dal punto di vista della meccanica celeste, il periodo dei satelliti dovrebbe essere costante(*), così il fatto che il periodo dei quattro satelliti galileiani variasse era un assurdo, tanto più che Romer si accorse che questo periodo si accorciava quanto la Terra era in avvicinamento a Giove e si allungava 6 mesi dopo, quando era in allontanamento. L’interpretazione dell’astronomo, che in effetti si rivelò corretta, fu la seguente: la luce si propaga con velocità finita, per cui, con la Terra in avvicinamento, dopo che un satellite ha compiuto una rivoluzione attorno a Giove, la Terra, ora più vicina, intercetta la luce in arrivo da una distanza minore, per cui viene “colpita” prima e il tutto appare come se l’orbita sia stata effettuata in meno tempo. Viceversa con la Terra in allontanamento.
Con qualche semplificazione, vediamo come si possa fare la misura della velocità della luce, onde ottenere una stima almeno dell’ordine di grandezza.
Per questa osservazione è utile servirsi di Io, il satellite più interno. Il suo periodo è di 42 ore, 27 minuti e 34 secondi. Ora per semplicità conviene eseguire la misura quando Giove è un quadratura, ovvero quando si trova a 90° dal Sole, perché in questo momento la Terra punta nel suo moto esattamente nella direzione del pianeta, per cui non bisogna perdersi in calcoli trigonometrici per sapere, dopo 42 ore e mezza, di quanto la Terra si sia avvicinata o allontanata. Siccome la Terra orbita a circa 30 Km/s intorno al Sole, nel tempo di una rivoluzione di Io si sarà avvicinata (allontanata) di 4.6 milioni di km. Ora, con la Terra in avvicinamento il periodo di Io apparirà circa 15 secondi più breve, mentre 6 mesi dopo circa 15 secondi più lungo, da cui si deduce una velocità della luce di circa 300000 Km/s che è il tempo che impiega la luce a compiere questa distanza.
La stima di Romer fu di 225000 Km/s, inoltre egli pervenne a questa misura in modo leggermente diverso, sommando numerosi periodi orbitali consecutivi di Io.  In questo modo non aveva la necessità di un cielo perfettamente sereno nell’instante di un particolare transito.
Riguardo all’errore che commise, non proprio trascurabile, bisogna tenere presente che l’esperimento non è poi così banale da compiere. Infatti, a parte il problema di reperire un orologio abbastanza preciso nel 1600 e un telescopio abbastanza buono da riuscire a vedere i transiti e le eclissi di Io con una nitidezza tale da fare una misura precisa al secondo, c’è anche da tenere presente che, nel nostro calcolo, abbiamo assunto la conoscenza di due grandezze che in realtà Romer possedeva con molta approssimazione. Innanzi tutto il periodo orbitale “vero” di Io, che oggi possiamo leggere su qualsiasi libro di astronomia, mentre l’astronomo danese dovette ricavarselo,  mediando molte osservazioni nel corso di diversi anni (ed è proprio nel corso di queste osservazioni che si rese conto della relazione tra il periodo apparente di Io e la posizione della Terra). In secondo luogo, ancora più importante, per conoscere la velocità orbitale della Terra è necessario conoscere a che distanza essa si trova dal Sole (in altre parole la misura dell’unità astronomica), dato che la velocità si calcola dividendo la lunghezza dell’orbita per un anno di tempo.
Per finire, si dovrebbero introdurre correzioni del secondo ordine, tipo il fatto che la velocità della Terra non è costante nel corso dell’anno, o che anche Giove orbita intorno al Sole, per cui la proiezione della sua ombra si sposta nello spazio, causando delle variazioni nell’istante delle eclissi dei satelliti, o ancora che la Terra si sposta rispetto a Giove, cambiando la prospettiva e quindi introducendo errori nel calcolo dell’istante dei transiti dei satelliti. Per una stima di massima, però, questi fattori si possono trascurare, almeno nel breve periodo di 42 ore relativo ad una singola orbita di Io, come nell’esperimento semplificato qui suggerito.

Su come si misurò la distanza Terra-Sole all’epoca di Romer, invece, si può vedere una precedente riposta su vialattea. Come vi si legge, la prima misura del genere e di una certa precisione fu eseguita da Cassini nel 1672. Non è un caso che la misura di Romer della velocità della luce è di solo qualche anno successiva: egli aveva bisogno di questo dato per poter intraprendere la sua ricerca.
Questo mi sembra, tra parentesi, un ottimo esempio di come il progresso della scienza sia una costruzione in cui ogni ricercatore mette un mattone, che consente poi agli altri di porne ulteriori al di sopra del suo.

(*) In realtà al tempo di Romer la meccanica di Newton ancora non c’era, visto che la pubblicazione dei “Principia” è del 1687, per cui non esisteva la dimostrazione fisica “formale”, ma era un fatto noto dall’osservazione degli altri corpi celesti, in tutta la storia dell’astronomia.