Esiste il “caso”? O è semplicemente un effetto dovuto alla nostra ignoranza?

 Henri Poincaré

La domanda, apparentemente innocente, solleva in realtà un fondamentale problema di carattere scientifico e filosofico. La risposta che ognuno di noi fornisce a una simile domanda determina in gran parte la visione del mondo che ognuno di noi si è costruito.

Se si esamina la storia del pensiero filosofico si può osservare che si tratta di una vessata quaestio alla quale i vari autori hanno fornito una risposta che può essere ricondotta a due categorie: concezione soggettivistica del caso e concezione oggettivistica.

Secondo la concezione soggettivistica quello che noi chiamiamo caso è in realtà il frutto della lacunosità della conoscenza umana. Se noi avessimo una conoscenza più elevata, nulla ci sembrerebbe casuale, ma tutto sarebbe riconducibile a un quadro deterministico in cui ogni evento ha una sua causa. Questa concezione venne sostenuta da molti filosofi antichi, da molti pensatori cristiani e, in epoca più moderna, ad esempio, da Spinosa e Leibniz. Tale concezione è in qualche modo inevitabile per chi abbia una fede religiosa e concepisca la realtà frutto di un creatore che si occupi direttamente di ciò che accade. Significative a tale proposito le parole di Leibniz:

Dio non fa nulla fuori dell’ordine. Così, ciò che sembra straordinario lo è solo in relazione a qualche ordine particolare stabilito per le creature.

[G.W. Leibniz, Discorso di metafisica, in Scritti filosofici, Utet, 1967, pag. 68-9]

Secondo la concezione oggettivistica invece il caso sarebbe intrinseco alla realtà. Esisterebbero cioè eventi privi di causa o che, dipendendo dall’intrecciarsi di differenti serie di cause, seguono un’evoluzione assolutamente imprevedibile non solo all’intelletto umano, ma anche a qualsiasi eventuale intelligenza superiore. Tale concezione venne sostenuta dagli atomisti greci e da altri autori in età moderna. Ad esempio Stuart Mill esprime bene questo concetto nel seguente brano:

Un evento che avvenga per caso può essere meglio descritto come una coincidenza della quale non abbiamo motivo per inferire un’uniformità. Possiamo dire che due o più fenomeni sono congiunti al caso o che coesistono o si succedono per caso, nel senso che essi non sono in nessun modo connessi alla causazione (…)

[J. Stuart Mill, Logica, III, 17, pag. 2]

Solo in epoca recente, quelle che sembravano essere pure disquisizioni filosofiche e quindi opinabili hanno potuto essere trasferite sul piano scientifico e quindi sottratte al giudizio soggettivo.

Le scienze fisiche si sono occupate del caso principalmente in due ambiti: la fisica dei sistemi caotici e la meccanica quantistica.

L’esistenza dei sistemi caotici era stata predetta da Henri Poincaré, agli inizi del Novecento. Il grande fisico-matematico scriveva:

una causa così piccola da sfuggire alla nostra attenzione può determinare un effetto considerevole che non possiamo ignorare; in una tale situazione noi diciamo che l’effetto è dovuto al caso. …può infatti accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali producano un errore enorme in quelle successive. La predizione diventa impossibile…

[H. Poincaré, Science et méthode, Flammarion, Paris 1908, (cap. IV, p.68)]

Le anticipazioni di Poincaré, sia pur ignorate per parecchio tempo, sono state ampiamente confermate dalla fisica moderna. Anche sistemi poco complessi dal punto di vista strutturale possono avere una evoluzione caotica. Basti pensare che un semplice sistema gravitazionale costituito da tre corpi è già soggetto al tipo di imprevedibilità di cui parla Poincaré. Le incertezze minime sulle condizioni iniziali sono inoltre inevitabili. Infatti qualsiasi grandezza viene quantificata mediante valori numerici che, nella maggior parte dei casi, cadono nel campo dei numeri reali, che possono essere formati da infinite cifre significative. Per ovvie ragioni quando si opera con numeri di questo tipo è necessario effettuare “troncature” che introducono inevitabilmente incertezze.

Nella meccanica quantistica il caso è emerso prepotentemente soprattutto nel principio di indeterminazione di Heisenberg. Ho affrontato il problema dell’interpretazione di tale principio in una precedente risposta (http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=8752). Nell’interpretazione della meccanica quantistica è riemerso in modo evidente il dibattito tra concezioni soggettivistiche e oggettivistiche del caso. Il massimo esponente delle posizioni soggettivistiche è stato Albert Einstein il quale credeva in una realtà deterministica e rifiutava il concetto di caso intrinseco. La posizione oggettivistica era invece rappresentata dalla cosiddetta interpretazione di Copenaghen il cui principale esponente è stato Niels Bohr. Gli sviluppi successivi del dibattito (come ho cercato di mostrare nella risposta precedentemente citata) hanno consentito di trattare il problema dal punto di vista sperimentale e i risultati hanno dato essenzialmente ragione a Bohr e torto ad Einstein. Sulla scia di Einstein si possono collocare tutte le teorie delle cosiddette variabili nascoste, la più nota delle quali è quella di David Böhm di cui mi ero occupato in una precedente risposta (http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=7230).

Il dibattito sull’interpretazione della meccanica quantistica è tuttora abbastanza aperto. Tuttavia, allo stato attuale delle cose, si può dire che la maggior parte dei fisici accetta una concezione sostanzialmente oggettivistica del caso.

Uscendo dalle scienze fisiche, il caso gioca un ruolo importante anche all’interno delle scienze biologiche. La moderna biologia evoluzionistica attribuisce al caso un ruolo fondamentale e anch’essa propende sostanzialmente per una interpretazione oggettivistica di esso. A tale proposito il premio Nobel Jacques Monod, nel suo celeberrimo Il caso e la necessità, scriveva:

[…] l’evoluzione non è affatto una proprietà degli esseri viventi in quanto ha le sue radici nelle imperfezioni stesse del meccanismo conservatore che, invece, rappresenta il loro unico privilegio.
Si deve dire quindi che la stessa fonte di perturbazione, di “rumore” che, in un sistema non vivente, cioè non replicativo, abolirebbe a poco a poco ogni struttura, è all’origine dell’evoluzione nella biosfera e giustifica la sua totale libertà creatrice, grazie a questo “conservatorio” del caso – la struttura replicativa del DNA – sordo sia al rumore sia alla musica.

[…]

La vita è comparsa sulla terra: ma qual era, prima di questo avvenimento, la probabilità che esso si verificasse? La struttura attuale della biosfera non esclude l’ipotesi che l’avvenimento decisivo si sia verificato una sola volta, al contrario.
Ciò significherebbe che la sua probabilità a priori era quasi nulla.
[…] Il nostro numero è uscito alla roulette: perché dunque non dovremmo avvertire l’eccezionalità della nostra condizione, proprio allo stesso modo di colui che ha appena vinto un miliardo?

[J. Monod, Le Hasard et la néccessité, 1970; trad. it. di A. Busi, Milano, 1970, pag. 117]

Anche in campo biologico, tuttavia non mancano coloro che vogliono reintrodurre una concezione soggettivistica del caso interpretando la stessa evoluzione in chiave finalistica. L’esempio più recente è il cosiddetto “intelligent design” (W. A. Dembski, Intelligent Design: The Bridge Between Science & Theology, InterVarsity Press, Illinois, 1999). Si tratta tuttavia di posizioni minoritarie che hanno ricevuto pesanti critiche dalla comunità scientifica (e dalla stessa gerarchia ecclesiastica) che denuncia la pericolosa commistione tra scienza e metafisica che è alla base di tali concezioni.