Come si ricavano le equazioni per la curvatura e il raggio di curvatura? Quali utilizzi hanno esse in elettrostatica?

Una linea nel piano, o piu’ in generale nello spazio, ad andamento come
sul dirsi “regolare” (cioè senza cuspidi) puo’ essere approssimata, nelle
zone in cui essa curva, a porzioni di circonferenza. Si parla in questo
caso del cosiddetto cerchio “osculatore”, ossia il cerchio (con un suo
proprio raggio, detto appunto raggio di curvatura) col quale la linea
in quella porzione può essere approssimato. Il discorso è esattamente
analogo per le superfici regolari nel qual caso si parla di sfera osculatrice.
Il raggio di curvatura può essere allora calcolato ad esempio con metodi
geometrici: Si prendano due punti distinti P1 e P2 sulla curva (ovvero
sul cerchio osculatore) e si considerino le tangenti t1 e t2 rispettivamente
in P1 e P2, poi le perpendicolari ad esse che passano per i due punti
in questione; in tal modo avremo ottenuto le normali n1 ed n2, la cui
intersezione rappresenta il centro di curvatura ed una qualsiasi delle
distanze da esso a P1 o P2 il raggio. La formula chiusa per il raggio
di curvatura è:

Si ragiona in modo analogo per le superfici ad ottenere il raggio di
curvatura della sfera approssimante.

In elettrostatica è noto il fenomeno del “potere dispersivo delle punte”
di un conduttore. Possiamo, in virtù del ragionamento svolto prima, pensare
alla zona “appuntita” di un conduttore come ad una sfera approssimante
il cui raggio sia piccolissimo. E’ tuttavia noto che il potenziale sulla
superficie di un conduttore è costante per cui, ricordando l’espressione
che lega il campo elettrico di un conduttore sferico al suo potenziale,
ci rendiamo conto che a parità di potenziale il campo elettrico è più
elevato se il raggio diminuisce. In definitiva il campo elettrico è elevatissimo
in prossimità di zone con piccolo raggio di curvatura e viceversa. Se
ne deduce che, essendo il campo elettrico elevato in tali zone, vi è un
forte accumulo di cariche elettriche che evidentemente, dato l’ “affollamento”,
appena possono cercano di sfuggire via, ad esempio trovando un percorso
favorevole attraverso un contatto esterno o attraverso l’aria (ionizzata
nelle vicinanze per induzione).

Si puo’ sfruttare tale effetto di “fuga” dalle punte impiegandolo nei
cosiddetti “scaricatori”, elementi che servono appunto a scaricare il
flusso di cariche in presenza di un elevato campo elettrico, dovuto ad
esempio ad una sovratensione per un guasto su una linea a causa di un
corto circuito. Essi entrano in funzione solo se il campo è così elevato
da superare la barriera di potenziale imposta dall’artmosfera circostante,
ionizzando l’aria attorno e provocando una forte scarica elettrica (ovviamente
se il fenomeno continua a persistere interverranno le protezioni a monte,
ossia gli interruttori automatici, ma questo esula dai contenuti del discorso).
Un’altra possibile applicazione del potere dispersivo delle punte è la
possibilità di mantenere un arco elettrico tra due punte di carbone (il
cosiddetto arco voltaico). Fu Humphrey Davy ad osservare, nel 1800, che
dalla scarica di una tensione elettrica si poteva produrre luce. A differenza
della luce ad incandescenza, racchiusa in una lampadina vuota d’aria,
la luce ad arco “brucia” all’aria aperta sugli elettrodi. Un ulteriore
applicazione sono i saldatori ad arco voltaico in cui un grosso flusso
di cariche (l’arco) è mantenuto da due punte di carbonio. Il grosso flusso
di corrente serve per saldare generalmente laminati o simili.