Vi sarei grato se mi voleste spiegare quale fu la sequenza di ragionamenti che indusse i fisici, all’epoca dell’esperimento di Michelson e Morley (quindi ben dopo la scoperta delle equazioni di Maxwell), a ritenere che ci si doveva aspettare che la luce viaggiasse alla velocità c – v nel senso del moto terrestre, e c+v in senso contrario. Mi sembra che, se in conseguenza delle equazioni di Maxwell (1) la velocità della luce era sempre la stessa in qualunque sistema di riferimento e (2) ciò implicava la non applicabilità della composizione delle velocità per i fenomeni e.m., essendo l’etere presente anche nel laboratorio, anche lì ci si doveva aspettare la velocità c in qualunque direzione e con qualunque velocità v del laboratorio.

L’idea
che la luce potesse propagarsi nel vuoto, senza l’ausilio di nessun mezzo
materiale, è entrata nella fisica con molta difficoltà.

Si deve alla
teoria della relatività ristretta la scomparsa definitiva del concetto
di “etere”, divenuto oramai ridondante e non più necessario. Il
percorso che ha portato all’abbandono di questo concetto è assai
lungo ma anche molto interessante.

Agli inizi
del diciassettesimo secolo furono proposti due punti di vista per spiegare
la natura della luce; uno corpuscolare, sostenuto da Newton e un altro
ondulatorio sostenuto da Huygens. Quest’ultimo in analogia con quanto
succedeva con le onde sonore introdusse un mezzo mediante il quale le
onde si potevano propagare: l’etere.

Il diciannovesimo
secolo suggella il trionfo della teoria ondulatoria della luce. Purtroppo
i fisici del tempo non riuscivano a pensare ad oscillazioni che potessero
trasmettersi in assenza di un mezzo: l’idea dell’etere introdotta da Huygens
ritornò così fortemente alla ribalta. In base a studi condotti
sull’aberrazione della luce si suppose che la luce si propagasse in un
etere a riposo rispetto al sistema eliocentrico (quello di Newton!).

Il ruolo
di un mezzo così fatto è analogo da quello di qualsiasi
mezzo materiale che trasmette vibrazioni; se allora immaginiamo che rispetto
a questo mezzo le vibrazioni viaggino a velocità v, allora in ogni
altro sistema di riferimento che si muove rispetto al mezzo con velocità
V, la velocità di propagazione dell’oscillazione sarà data
dalla somma delle due velocità: v+V.

Immaginiamo
adesso il seguente esperimento mentale.

Supponiamo
di avere un banco ottico costituito da una sorgente luminosa, S, e da
due rivelatori fotoelettrici A e B. Supponiamo che il nostro banco ottico
sia posto parallelamente alla direzione della velocità, V, della
Terra lungo la sua orbita (vedi figura)

Se la luce
si propaga nell’etere stazionario allora essa viaggia dalla sorgente S
alla cellula fotoelettrica A con velocità c + V mentre viceversa
viaggia verso la cellula B con velocità c- V.

Nel 1878
Maxwell suggerì uno schema per un esperimento di questo tipo che
usava l’interferenza della luce. Tre anni più tardi Michelson costruì
un esperimento sufficientemente preciso in grado di scoprire il moto della
terra rispetto all’etere se effettivamente quest’ultimo era il mezzo utilizzato
dalla luce per propagarsi. Inutile dire che non si misurò nessun
vento d’etere; tuttavia il risultato negativo fu spiegato ingegnosamente
con la “contrazione delle lunghezze “di Lorentz e Fitzgerald. L’etere
era ancora una volta salvo. Dall’esperimento di Michelson non segue necessariamente
che l’etere non esiste (come la contrazione delle lunghezze voleva dimostrare)
ma dimostrava che la velocità della luce su un cammino chiuso misurata
sulla Terra è la stessa in tutte le direzioni, cioè isotropa.
Occorrerà aspettare il 1905 e il lavoro di Einstein “Sull’elettrodinamica
dei corpi in movimento” il definitivo abbandono del concetto di etere
(e il ritorno della contrazione di Lorentz ora però spiegata in
altra maniera).

Da notare
che quando si parla di velocità della luce, l’ipotesi dell’etere
si riduce soltanto all’affermazione che esiste un solo unico sistema di
riferimento nel quale la velocità della luce nel vuoto sia c. E’
un riferimento questo privilegiato e in tutti gli altri riferimenti la
velocità della luce assume la forma consueta dettata dalle trasformazioni
classiche galileiane. Questo riferimento privilegiato è solidale
con l’etere cioè solidale con il sistema di riferimento in cui
la velocità della luce nel vuoto è c.

Le equazioni
di Maxwell predicevano l’esistenza di onde e.m. che si propagassero a
velocità uguale a c nel vuoto; suggerì allora, in base anche
agli esperimenti di Fizeau (1848) e Focault (1865) che la luce potesse
essere un’onda e.m di lunghezza d’onda piuttosto piccola. Queste equazioni
presentavano la spiacevole caratteristica di non essere invarianti per
trasformazioni di Galileo. Queste equazioni in altre parole cambiano forma
passando da un sistema di riferimento ad un altro; questo significa che
solo in un sistema di riferimento in cui le equazioni di Maxwell sono
scritte in forma convenzionale, la velocità della luce è
uguale a c, mentre in tutti gli altri cambia. Questo sistema di riferimento
era appunto l’etere.