Spesso in astrofisica si parla di singolarità: non so bene che cosa sia.

Naturalmente ci sarebbe molto da scrivere sulle singolarità. Cercherò
di essere allo stesso tempo esaustivo e il più conciso possibile.
Una singolarità è un punto dello spazio-tempo (considerato come una stessa
entità geometrica) in cui la forza gravitazionale diviene infinita
e quindi la teoria della Relatività Generale di Einstein (che funziona
molto bene nel descrivere la struttura dell’Universo) non riesce più a
dirci nulla. Questo è stato ricavato per la prima volta partendo da certe
soluzioni alle equazioni del campo gravitazionale di Einstein trovate
da Karl Schwarzschild nel 1916. Nel punto di singolarità
avrò quindi una densità infinita. La singolarità si chiama
così perchè difronte ad essa la fisica descritta dalla Relatività si ferma.
Nelle soluzioni delle equazioni che descrivono il sistema fisico compaiono
degli infiniti (si dice che le soluzioni divergono) e la teoria viene
meno. Di conseguenza la dove appaiono degli infiniti la teoria attuale
smette di funzionare, e quindi probabilmente deve entrare in gioco una
diversa fisica. In realtà si riesce in qualche caso a maneggiare una teoria
di campo anche con gli infiniti (per esempio la rinormalizzazione nel
modello standard), quindi non è detto che si debba sostituirla radicalmente.Nucleo della galassia NGC 4261
Secondo la Relatività Generale le singolarità si formano in due modi.
Nel futuro, ad esempio attraverso il collasso gravitazionale delle stelle
molto massicce, che avviene inevitabilmente al termine della loro vita
dopo aver esaurito tutto il carburante per le reazioni termonucleari.
E nel passato, sotto certe ragionevoli condizioni, un universo che si
espande deve per forza essere iniziato con una singolarità. Nel 1965 Roger
Penrose
, che aveva una potente visione geometrica della Relatività,
analizzando il comportamento dei coni di luce (che rappresentano in pratica
il passato e futuro di un evento nell’universo) dentro forti campi gravitazionali,
giunse alla conclusione che se un astro in fase di collasso avesse raggiunto
un certo limite chiamato orizzonte degli eventi, allora
la singolarità sarebbe stata inevitabile. Egli in pratica
dimostrò che la teoria della Relatività Generale prediceva, attraverso
certe soluzioni alle equazioni di campo di Einstein, la sua stessa incompletezza,
affermando la sicura esistenza delle singolarità.
Le singolarità nel futuro, cioè quelle provocate dal collasso gravitazionale
di astri massicci, hanno l’interessante proprietà di non essere visibili.
Le singolarità infatti si presentano solo in opportune regioni dello spazio-tempo
chiamate buchi neri che non ne permettono l’osservazione
essendo questi ultimi delimitati da una superificie da cui nessuna particella
e informazione può uscire, l’orizzonte degli eventi.
Quando un corpo sufficientemente massivo implode, la superficie del materiale
collassa sotto il peso dell’attrazione gravitazionale delle sue parti
e non importa se questo collasso è perfettamente a simmetrica sferica.
La superficie del materiale collassante comincia a vibrare con modi che
poi si smorzano a poco a poco e si assestano nello stato sfericamente
simmetrico con rilascio di onde gravitazionali. Ogni volta che si forma
un buco nero, deve così formarsi al suo interno una singolarità.
Si possono scrivere le equazioni che regolano il comportamento della materia
fuori del buco nero senza che la singolarità possa influenzare gli andamenti
previsti da queste equazioni con la sua presenza. Questa assunzione è
detta del censore cosmico in forma debole.
Tale congettura protegge la predicibilità delle nostre osservazioni e
delle nostre misure fuori dal buco nero ma nulla ci dice su cosa possa
accadere dentro, quindi almeno come ipotesi tutto è possibile. Nei buchi
neri rotanti (detti di Kerr in onore di Roy Kerr che li definì nel 1963)
è possibile teoricamente l’esistenza di cunicoli (wormhole) che
potrebbero permettere l’attraversaversamento del buco nero e quindi l’osservazione
della singolarità e la riemersione in un altro universo, oppure nel passato
del nostro, tanto per fare degli esempi.

Rappresentazione a due dimensioni di una singolarità nello spazio-tempo e di un wormhole che collega due universi

Se la Relatività non è in grado di dirci nulla sulla singolarità, è chiaro
che molte ipotesi esotiche sono possibili quanto indimostrabili: cunicoli
tra due universi, cunicoli/scorciatoie tra due due punti dello stesso
universo, cunicoli come macchine del tempo, un universo che termina con
un Big Cruch (grande collasso finale in un unica singolarità) e simmetricamente
nascita di un nuovo universo con una nuova singolarità, il Big Bang. Queste
due singolarità di inizio e fine dell’universo in un punto sono dette
anche singolarità alle due estremità del tempo.
Esiste anche una forma forte della congettura del censore
cosmico: essa afferma che queste strutture sono instabili quindi non è
possibile attraversare un buco nero o vedere una singolarità. Risultato
della congettura del censore cosmico è che la singolarità si trova sempre
nel futuro di un eventuale viaggiatore e che quindi rimane sempre inosservabile.
Quella nel passato che dovrebbe aver dato origine all’universo con la
sua esplosione nel Big Bang, rimane per ovvi motivi ugualmente inosservabile.
Quando si applica il principio del censore cosmico in forma forte, tutti
i buchi neri di Kerr, Reissner-Nordstrøm et similia (che hanno le interessanti
stranezze di tipo worm-hole) risultano tutti vietati perche’ in tali buchi
neri e’ falso che la singolarita’ si trovi nel futuro dell’osservatore.
Recentemente si è scoperto che sono ammissibili anche buchi neri con orizzonte
degli eventi non sferico, con una topologia arbitraria e con più di una
singolarità (per esempio in alcune soluzioni compare una singolarità usuale
e una singolarità a stringa detta stringa di Misner che è tagliata in
almeno un punto dalla superficie dell’orizzonte degli eventi).

Prima di dare una conclusiva e brevissima cronologia dei fatti e scoperte
salienti fatte attorno al fenomeno buchi neri-singolarità, vorrei accennare
al fatto che si parla di singolarità ogni volta che una determinata formula
matematica diverge, cioè tende all’infinito. Se tale
formula matematica rappresenta qualche processo, fisico,
tecnologico
, economico, sociologico,
etc. allora si parla di singolarità in quel campo.

Ad esempio recentemente si sta parlando di singolarità
tecnologica
. La repentina accelerazione del
progresso tecnologico porta ad una sempre maggiore velocità nell’elaborazione
del processo azione-conseguenza. Il cervello umano può risolvere la maggior
parte dei problemi mille volte più velocemente di quanto non possa fare
la selezione naturale. Nel creare i mezzi tecnologici
in aiuto al cervello per eseguire tali simulazioni ad una velocità molto
maggiore, si potrebbe entrare in un regime che è tanto radicalmente diverso
dal nostro passato umano quanto noi lo siamo dagli animali
inferiori, che invece simulano tale processo alla velocità della selezione
naturale. Questo cambiamento può rappresentare una dissipazione di tutte
le regole naturali e dell’identità umana in una fuga esponenziale al di
là di ogni controllo. Certamente, almeno per i più allarmisti, questa
divergenza dello sviluppo tecnologico, non viene considerata meno pericolosa
di una singolarità contenuta in un buco nero!

 

Breve cronologia delle scoperte fatte nel campo dei buchi neri
e singolarità.

1783: il pastore
anglicano John Michell rettore di Thornhill nello Yorkshire,
in un discorso alla Royal Society di Londra dichiara che se esistessero
in natura corpi con densità pari a quello del sole e diametro di 500 volte
maggiore, la loro luce (intesa allora come corpuscolo materiale e quindi
soggetta all’attrazione gravitazionale della terra) non potrebbe raggiungerci.

1796: il matematico
francese Pierre-Simon de Laplace esponeva idee molto
simili a quelle di Michell, anche se poi ritrattate in seguito alla scoperta
di Young nel 1801 della natura ondulatoria della luce.

1915: Albert Einstein
presenta all’accademia Prussiana delle scienze quei straordinari risultati
contentuti nella sua Teoria della Relatività Generale, che gli avrebbero
garantito fama immortale. Nelle sue equazioni dimostra che la materia
e l’energia curvano lo spazio-tempo, e che la curvatura determina la dinamica
della materia. Le equazioni del campo gravitazionale contengono sia la
geometria dello spazio tempo che le sorgenti del campo stesso.

1916: Karl Schwarzschild,
direttore dell’osservatorio di Potsdam, in Polonia, presenta la prima
soluzione esatta alle equazioni di Einstein della Relatività Generale.
Egli prende in esame una situazione abbastanza semplice, il campo gravitazionale
esternamente ad una sfera uniforme di materia non carica ma, nonostante
la semplicità, il modello descrive perfettamente cosa accade nelle vicinanze
di corpi come il Sole o a grandi distanze, dove il campo gravitazionale
è debole e la Relatività si riconduce alle equazioni di Newton. Esiste
un punto nelle soluzioni di Schwarzschild in cui l’andamento diverge,
cioè ad un valore uguale al raggio detto di Schwarzschild, si presenta
un infinito e quindi la soluzione possiede una singolarità.

Negli anni successivi Sir Arthur Eddington
dichiara che tale valore limite determina una barriera oltre la quale
un astro non può più comprimersi. Chiamò tale limite un “cerchio
magico”, impenetrabile a qualunque osservazione.

1918: il tedesco
H. Reissner e il danese G. Nordstrøm
risolvono le equazioni di campo Einstein-Maxwell per sistemi carichi sfericamente
simmetrici.

1923: George
Birkhoff
prova che la geometria dello spazio-tempoproves di Schwarzschild
è l’unica soluzione delle equazioni di campo di Einstein nel vuoto.

1930: l’allora
giovanissimo Subrahmanyan Chandrasekhar (che sarà chiamato
universalmente “Chandra”), una presenza costante, eclettica
e di straordinaria produttività nella fisica del ‘900, durante il viaggio
dall’India a Cambridge che lo porterà ad essere allievo di Eddington,
comiciò a fare dei calcoli sulle stelle nane bianche. Trovò che le stelle
con massa sopra le 1.4 volte quella del sole, sarebbero collassata in
un oggetto ancora più compatto delle nane bianche.

1931: Lev Davidovic
Landau
ricavò un risultato analogo a quello di Chadra, ipotizzando
l’esistenza delle stelle di neutroni, corpi molto ridotti in dimensioni,
che rappresentavano un ulteriore stadio finale per le stelle. Da notare
che il primo astro di tale tipo, nella nebulosa del Granchio, sarà osservato
solo molti anni dopo, precisamente nel 1968.

1934: anche
due astronomi di Pasadena, Walter Baade e Fritz
Zwicky
, conclusero che probabilmente potevano esistere due tipi
di stati finali degeneri per le stelle, le nane bianche e le stelle di
neutroni.

1933: un serio
attacco alla divergenza che si presentava al raggio di Schwarzschild sopraggiunse
con il lavoro di un prete belga che divenne presidente della Pontificia
Accademia delle Scienze, Georges Lemaitre. Egli ha dimostrato
come, con un opportuno cambiamento di coordinate, fosse possibile eliminare
il problema. La metrica, con le nuove coordinate, non manifestava più
alcun comportamento patologico ma, anzi, funzionava benissimo. Questi
scritti attrassero l’attenzione di un cosmologo, Howard Percy
Robertson
, il quale osservò che il tempo scorre normalmente per
un osservatore che decidesse di attraversare l’enigmatico orizzonte
degli eventi; questo tempo però apparirebbe man mano sempre più rallentato
ad un osservatore che, ben lontano dal buco nero, osservasse il viaggio
dell’astronauta. Questi lavori però non ebbero molta fortuna e lo
stesso Einstein non perse tempo nel criticarli assieme al concetto di
singolarità, affermando che la materia non poteva concentrarsi arbitrariamente.

1939: curiosamente
appena due mesi dopo la sopracitata critica di Einstein, uscì un lavoro
di Robert Oppenheimer e del suo allievo Hartland
Snyder
, che è riconoscituo universalmente come il primo
vero e fondamentale passo verso la scoperta dei buchi neri. Studiando
con la fluidodinamica relativistica il collasso di una stella di massa
non molto superiore a quella del sole, che abbia esaurito il combustibile
per le reazioni termonucleari, essi hanno predetto la contrazione inarrestabile
e continua che avrebbe fatto spostare la frequenza della luce verso il
rosso fino a che l’astro sarebbe diventato invisibile. L’inarrestabilità
del processo di contrazione avrebbe poi portato alla creazione di una
singolarità temporale infinita, tagliata fuori da possibilità di comunicazione
con il resto dell’universo. Inoltre un altro allievo di Oppenheimer, George
Volkoff
contribuì ad usare le conoscenze dell’epoca sulla fisica
atomica e nucleare (siamo in pieno progetto Manhattan da cui sarebbe uscita
la bomba atomica) per calcolare a che cosa sarebbe dovuta assomigliare
una stella di neutroni.

Dopoguerra e anni ’60.
Dopo la divisione politica nei due blocchi, si è verificato anche una
diverso interesse per i buchi neri. All’Est i lavori di Oppenheimer erano
citati regolarmente nei testi accademici di fisica, ad esempio, mentre
ad ovest la questione fu apparentemente dimenticata. Negli anni ’60 la
scuola di Mosca di cosmologia e relatività ha portato a tante interessanti
scoperte anche nel campo dei buchi neri. Yakov Zel’dovic affermò
che essendo la natura dei buchi neri essenzialmente passiva, la sola speranza
di rilevarli era quella di riuscire a localizzarli in base agli effetti
gravitazionali sulle stelle o nubi di gas circostanti. Come tesi egli
ha posto che l’osservazione del cielo in raggi-X doveva permetterci di
osservare le strutture più ricche di energia dell’universo, i gas più
caldi, la gravità più forte, e quindi indirettamente anche i buchi neri.
Negli Stati Uniti l’interesse rifiorì grazie ad un brillante scienziato,
George Wheeler. Lui insieme a, David Finkelstein,
Martin Kruskal
e George Szekeres osservarono,
è bene sottolinearlo tutti quanti separatamente, che con un opportuno
cambiamento di coordinate si poteva eliminare la singolarità di Schwarzschild,
dimostrando così che si tratta di una singolarità apparente dovuta ad
una cattiva scelta di coordinate. I tre ricercatori, quasi quarant’anni
dopo Schwarzschild, riuscirono nella mirabile impresa di “abbattere”
il cerchio magico eretto da Eddington. Quando Kruskal arrivò a questo
risultato, gli sembrò troppo banale per essere pubblicato e fu proprio
grazie a Wheeler, che poté essere conosciuto dalla comunità scientifica.
In questi anni, grazie alle scoperte astronomiche sulle radiogalassie
e quasar sopratutto, si parlava ormai pure di buchi neri supermassivi,
cioè di oggetti oscuri con masse di milioni o miliardi di volte la massa
del sole e delle dimensioni un sistema solare. Le prove osservative della
loro esistenza, oggi sono persino più cogenti di quelli di taglia stellare.
Galassie giganti vicine come M 87 (Virgo-A), o galassie attive (i cosidetti
nuclei galattici attivi) sono le migliori possibilità di scoprire gli
effetti della presenza di questi buchi neri giganti.
Con questa impresionate serie di scoperte astrofisiche e con l’affinamento
delle tecniche matematiche più potenti fiorirono così gli studi teorici.
Si può dire che per la relatività e buchi neri si sono delineate dopo
la guerra tre scuole principali: quella di Cambridge fondata da Eddington
e proseguita con Dennis Sciama, Chandrasekhar, Roger Penrose e Stephen
Hawking, l’altra a Mosca guidata da Zel’dovic e la terza a Princeton guidata
da Wheeler che può reputarsi il padre del termine buco nero.

1963: il fisico
neozelandese Roy Kerr, ha risolto le equazioni di Einstein
nel vuoto per campi gravitazionali generati da sistemi massivi rotanti.
Queste soluzioni sono piuttosto intriganti poichè come già detto sopra
nel corpo della risposta, presentano una struttura tale da poter teoricamente
permettere l’esistenza dei wormhole, e quindi di viaggi nel tempo
e osservazioni della singolarità.

1964: il matematico
Roger Penrose a Cambridge prova che una stella implodente
necessariamente deve produrre una singolarità una volta che abbia formato
l’orizzonte degli eventi.

1965: Ezra
Newman
, insieme a E. Couch, K. Chinnapared, A. Exton, A. Prakash,
e Robert Torrence risolve le equazioni di Einstein-Maxwell per sistemi
massivi rotanti e carichi.

1967: Werner
Israel
dimostra che tutti i buchi neri non rotanti sono oggetti
semplici e la sola proprietà necessaria a caratterizzarli e a differenziarli,
è la massa.

1968: Brandon
Carter
usa la teoria di Hamilton-Jacobi per derivare equazioni
del moto al primo ordine per il moto di particelle cariche immerse nel
campo gravitazionale esterno di un buco nero di tipo Kerr-Newman.

1969: Roger
Penrose
discute il processo (che porterà il suo nome) per l’estrazione
dell’energia rotazionale da un buco nero di tipo Kerr. Questa sarà un’intuizione
molto importante che dimostra che i buchi neri sono un po’ meno neri di
quanto si creda e che culminerà pochi anni dopo nei lavori di Hawking.
Nondimeno sarà importante per le ricadute sulle osservazioni e teorie
astrofisiche dei nuclei galattici attivi, sulla loro energetica e sulla
effettiva osservabilità dei buchi neri grazie alla loro attività. Nello
stesso cruciale anno Penrose enuncia inoltre i suoi famosi teoremi sulla
congettura del censore cosmico, e sulla conseguente invisibilità delle
singolarità.

1971: le osservazioni
che da anni erano state fatte con i satelliti nei raggi-X della sorgente
Cygnus X-1, portano tale sorgente ad essere considersata il primo esempio
di probabile candidato per un sistema stellare binario in cui una delle
due compagne è un buco nero. Edwin Salpeter afferma in
proposoto che un buco nero in Cygnus X-1 è l’ipotesi più prudente.

1972: a Cambridge
un allievo di Penrose, Stephen Hawking in collaborazionme
con George Ellis fa entusiasmanti scoperte nel campo
dei buchi neri. Egli prova che l’orizzonte degli eventi classico non può
decrescere. Nello stesso anno Hawking enuncia insieme a James
Bardeen
e Brandon Carter, quattro leggi per
la dinamica dei buchi neri in analogia alle leggi della termodinamica
e due principi analoghi al primo e secondo principio della termodinamica.
Sempre in quell’anno Jacob Bekenstein suggerisce che
un buco nero abbia una entropia proporzionale alla superficie dell’orizzonte
degli eventi dovuta ad effetti di perdita di informazione e conseguente
aumento di disordine sotto l’orizzonte.

1973: David
Robinson
, partendo dal lavoro di Carter del ’68 e quelli di Hawking,
dimostra la congettura di Wheeler, oggi conosciuta come Teorema No Hair.
Lo stadio finale di una stella collassante è ristretto a sole sole quattro
possibilità e queste sono le quattro soluzioni delle equazione di Einstein
per buchi neri rotanti (di Kerr), e fatto fondamentale, i parametri che
intervengono in queste soluzioni sono solo la massa la velocità di rotazione
e la carica.

1974: Stephen
Hawking
applicando la teoria quantistica dei campi ai buchi neri
dello spazio-tempo, mostra che essi irradiano particelle con uno spettro
di corpo nero, e che questo processo può portarli all’evaporazione. E’
la più importante delle sue scoperte e che gli ha valso la laurea honoris
causa a Cambridge, nonchè la cattedra di fisica che un tempo era stata
di Sir Isaac Newton.

1975: le notevoli
scoperte sui buchi neri dei primi anni ’70 portarono di nuovo Chandrasekhar
a riversare la sua energia intellettuale su questi oggetti. Ne è scaturito,
anni dopo, un trattato sulla matematica dei buchi neri pieno di virtuosismi
matematici ed elaborate manipolazioni teoriche, autodisciplinate dalla
sua consueta precisione e che uscì in stampa quando lui aveva 72 anni.
Il recente satellite spaziale americano per osservazioni del profondo
cielo nei raggi-X e dedicato principalmente a cercare prove stringenti
dell’esistenza dei buchi neri è stato chiamato Chandra in suo onore.

Mi sembra bello far terminare quindi questa cronistoria,
che è partita da Michell, con il telescopio spaziale Chadra.