Gradirei sapere se la normativa di legge attuale prevede una distanza minima delle abitazioni o degli uffici da un elettrodotto o dal suo pilone e nel caso questa non sia rispettata a quali rischi per la salute l’uomo può andare incontro.

La distanza minima

La prima parte della domanda (quella sulla distanza
minima) è più di carattere giuridico che scientifico,
comunque ho alcuni dati a disposizione e rispondo
volentieri.

Mi perdonerete però le eventuali lacune e se la
terminologia in burocratese non sarà sempre perfetta.

Prima dell’aprile 1992 gli elettrodotti erano
costruiti osservando norme tecniche emanate dal CEI
(Comitato Elettrotecnico Italiano) a cui veniva spesso
data una qualche veste legislativa o giuridica.

In questo ambito si collocano innanzitutto la legge 28
giugno 1986, n.339 e il decreto interministeriale 21
marzo 1988, n.449 che recepivano la normativa CEI 11-4.
Esse ripartivano innanzitutto le linee elettriche aeree
nelle seguenti quattro classi:

Classe 0
Linee telefoniche, telegrafiche, di segnalazione
o comando a distanza.
Classe I
Linee di trasporto o distribuzione di energia
elettrica la cui tensione nominale è inferiore o
uguale a 1000 V.
Classe II
Linee di trasporto o distribuzione di energia
elettrica la cui tensione nominale è superiore a
1000 V ma inferiore o uguale a 30 kV.
Classe III
Linee di trasporto o distribuzione di energia
elettrica la cui tensione nominale è superiore a
30 kV.

Inoltre, in queste disposizioni venivano specificate
le distanze minime dei conduttori dal terreno e dagli
edifici mediante formule, nelle quali la tensione
nominale di esercizio compariva come parametro; questo
approccio sarà conservato anche nella normative
successive. È importante osservare che le distanze
erano basate esclusivamente sulla necessità di evitare
il cosiddetto
rischio di scarica, cioè
la possibilità di innesco di una scarica elettrica tra
il conduttore sotto tensione ed un oggetto a tensione
zero.

All’inizio del 1991, un Decreto del Ministero dei
Lavori Pubblici (DMLP 16 gennaio 1991) introduceva
un’importante novità: citando testualmente veniva
“riconosciuta la necessità di apportare modifiche
agli articoli 2.1.05 e 2.1.08 del citato regolamento in
riferimento a possibili effetti sulla salute derivanti
dai campi elettromagnetici prodotti dalle linee
elettriche aeree
“.

In conseguenza di questo mutato atteggiamento,
venivano fissati nuovi valori minimi per “l’altezza
dei conduttori sul terreno a sulle acque non
navigabili” (articolo 2.1.05) e per le
“distanze di rispetto dai fabbricati” (articolo
2.1.08). Esemplificando e semplificando un po’, la
situazione per alcune tipologie di elettrodotti di classe
III molto comuni in Italia è schematizzata nella tabella
seguente:

  380 kV 220 kV 132 kV
Altezza minima sul terreno e su specchi
d’acqua non navigabili [m]
7.78 6.82 6.29
Altezza minima sul terreno in aree adibite ad
attività ricreative, impianti sportivi, luoghi
d’incontro, piazzali di deposito e simili [m]
11.34 6.82 6.29
Distanza minima dai fabbricati [m] 6.80 5.20 4.32
Altezza minima su terrazzi e tetti piani [m] 11.34 4.00 4.00

Tabella 1

Il DPCM 23 aprile 1992

La situazione restava questa fino al sopraggiungere di
un importante DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri 23 aprile 1992) che fissava i “limiti
massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico
generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz)
negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno
“.

In questo decreto si stabilivano le seguenti
intensità massime di campo elettrico e di induzione
magnetica “in aree o ambienti in cui si possa
ragionevolmente attendere che individui della popolazione
trascorrano una parte significativa della giornata”:

Campo elettrico Induzione magnetica
5 kV/m 0,1 mT

Tabella 2

Mentre “nel caso in cui l’esposizione sia
ragionevolmente limitata a poche ore al giorno” i
limiti suddetti possono essere rilassati come segue:

Campo elettrico Induzione magnetica
10 kV/m 1 mT

Tabella 3

Oltre a ciò il DPCM del 1992 fissava le seguenti
nuove distanze minime tra i conduttori delle linee
elettriche aeree ed i “fabbricati adibiti ad
abitazione o ad altra attività che comporta tempi di
permanenza prolungati”:

380 kV 220 kV 132 kV
28 m 18 m 10 m

Tabella 4

Questo aspetto del decreto fu oggetto di numerose
critiche da parte di alcuni esponenti tanto dell’Azienda
Elettrica quanto del mondo accademico. Esse erano basate
sulla considerazione (che io condivido pienamente) che lo
specificare sia limiti di intensità dei campi sia
distanze minime non solo avrebbe potuto portare a
situazioni di possibile contraddizione, ma soprattutto
avrebbe mortificato qualunque tentativo di innovazione
tecnologica che mirasse ad abbattere le emissioni di
campo elettrico e magnetico degli elettrodotti, a parità
di tensione e corrente sulla linea.

Le critiche ebbero forse qualche risultato, visto che
pochi anni dopo (DPCM 28 settembre 1995) è stata
pubblicata una guida tecnica secondo la quale,
nell’eseguire il risanamento degli elettrodotti esistenti
non in regola con la norma del 1992, è sufficiente
limitarsi al solo rispetto dei valori dell’intensità dei
campi ed ignorare la questione delle distanze minime,
purché queste siano conformi alle normative precedenti,
espresse nella Tabella 1.

Gli aspetti sanitari

Per questa parte della domanda, preferisco rimandare a risposte a domande precedenti e ad altre risorse
disponibili sul Web: