Quali sono i maggiori vulcani attivi e non attivi presenti oggi in Italia?

Gli studiosi delle scienze della Terra considerano estinto un vulcano
solo quando non esistono indizi e testimonianze di una sua attività in
tempi storici(*); in caso contrario si
preferisce parlare di “quiescenza”. Sotto questo punto di vista, i vulcani
“attivi” italiani sono più numerosi rispetto a quelli comunemente noti.
I vulcani attivi italiani si trovano tutti nella parte meridionale del
paese e possono essere inquadrati in tre aree principali: l’area dei Campi
Flegrei-complesso Somma-Vesuvio, l’area vulcanica delle isole Eolie e
l’area dell’Etna.

L’area dei Campi Flegrei, presso Napoli, non è caratterizzata
da uno o più vulcani come solitamente li intendiamo. Si tratta di 19 crateri
distribuiti in un’area di circa 64 chilometri quadrati, crateri in parte
ricoperti dall’acqua (es. il lago d’Averno). Non esiste in realtà un apparato
centrale, ed il magma non fuoriesce attraverso una via preferenziale.
I vulcanologi parlano del complesso Flegreo come di un “campo vulcanico”,
formato da una moltitudine di punti deboli e di linee di cedimento della
crosta. Si tratta, non di meno, di un’area piuttosto attiva. La prima
eruzione nota si ebbe nel 1198, ma l’attività è proseguita, anche se in
modo meno spettacolare, sino a tempi recenti.

Fonte: Esplora i vulcani italiani, sito di UniRoma Tre a cura di R. Scandone e L. Giacomelli)

Il complesso dei Campi Flegrei si formò probabilmente 50.000 anni fa.
Qui, circa 34 mila anni fa si ebbe una spaventosa eruzione, probabilmente  il massimo evento vulcanico dell’Italia quaternaria, che dette origine  alle vulcaniti campane. La più importante eruzione avvenuta in tempi storici  si verificò invece nel settembre del 1538, quando l’effusione produsse  un piccolo vulcano, alto circa 130 metri, cui venne dato il poco fantasioso  nome di Monte Nuovo. Una serie di terremoti e deformazioni del suolo,  con altri effetti più o meno visibili, si ebbe negli anni Ottanta. Nel 1983-84 si registrarono le fasi più preoccupanti, che fecero temere l’evacuazione forzata dell’area. In realtà da allora, trascorsa la fase parossistica, l’attività è andata dissipandosi ed è attualmente sotto lo stretto controllo
dei sismologi e dei geofisici.

L’attività vulcanica dei Campi Flegrei è strettamente connessa a quella del Vesuvio. E’ quest’ultimo il più noto al mondo tra i vulcani, e dal 1944 è anche il più studiato in Europa (prima del ’44 questo primato spettava all’Etna).

I vulcanologi più che di un singolo vulcano preferiscono parlare di complesso Monte Somma-Vesuvio, in quanto l’attuale cratere è quanto resta di un edificio maggiore smantellato dall’eruzione del 79 d.C., i cui resti formano il monte Somma.

Il Vesuvio, uno strato-vulcano alto 1279 metri che domina il Golfo di Napoli, si è formato probabilmente in mare circa diecimila anni fa. Attualmente la camera magmatica si stima si trovi a circa 5 chilometri di profondità.

Nell’antichità lo si credeva una semplice montagna, ricoperto com’era  di fitta vegetazione e spesso silenzioso e tranquillo. Tuttavia sono state  ritrovate le tracce di almeno sette eruzioni precedenti la triste e devastante  eruzione del 79 d.C., che cancellò dalla faccia della Terra e dalla storia,  per secoli, le città di Pompei ed Ercolano (e altre, come Stabia). E’  di quella data inoltre la prima descrizione scientifica di un’eruzione vulcanica, attribuita a Plinio il Giovane. Tra il 1694 ed il 1944 sono state registrate almeno 18 grandi eruzioni importanti del Vesuvio, le ultime nel 1872, 1906, 1929 e 1944.

Quest’ultima eruzione mutò il tipico aspetto anteguerra del Vesuvio, con il tipico pennacchio di fumo, e gli conferì gli odierni connotati. L’eruzione del 1944 produsse una sorta di enorme tappo che maschera l’attività
del grande vulcano partenopeo. Al di sotto di tale occlusione, il vulcano sonnecchia da cinquantasei anni, un tempo così lungo da lasciar presagire un’eruzione di una certa violenza entro i prossimi venticinque anni. Nel
1841 presso il Vesuvio fu fondato il Regio Osservatorio Vesuviano, la prima istituzione scientifica al mondo per lo studio dei vulcani.

Le isole Eolie formano un arcipelago a nord della Sicilia. Le isole maggiori ospitano vulcani in parte attivi, in parte quiescenti. Tra i vulcani attivi il più inquieto è Stromboli, nell’isola omonima. Si tratta di uno strato-vulcano alto 924 metri, (ma che si eleva ben duemila metri al di sopra del fondale marino), la cui ultima grande eruzione si ebbe nel 1996, ma si può dire che i fenomeni eruttivi non siamo mai cessati. Come il Vesuvio e l’Etna, Stromboli è visitatissimo e mantenuto sotto controllo dagli studiosi, che ne monitoraggiano continuamente il comportamento.

L’isola di Vulcano ospita il vulcano omonimo, cui spetta l’onore di aver battezzato tutti gli altri. Ben noto nell’antichità, come anche Stromboli, la sua ultima eruzione risale al 1888-1890, ed attualmente si trova in
stato di quiescenza anche se questo breve sonno, come già detto, non fa di lui – per i geologi – un vulcano spento. Vulcano in realtà è costituito, come accade sovente, da più crateri: il più noto è il così detto Gran
Cratere (Monte Lentia), che si innalza sino a 380 metri di altezza, circondato nella parte meridionale dai resti di un cratere più vasto o cono antico.
A nord dell’isola si trova il piccolo cratere di Vulcanello (123 metri), sino al 1550 un’isoletta staccata dall’isola madre; attualmente il vulcano dorme, mantenendo soltanto una debole attività di solfatara. La maggiore
delle isole Eolie è Lipari (603 m. nel Monte Chierica). Anche Lipari naturalmente ospita il suo vulcano, non più attivo dall’epoca romana. Il vulcanismo delle isole Eolie prosegue nei fondali circostanti, con diversi monti
sottomarini, come ildimostrata dai geologi marini. I magmi eruttati dai vulcani eoliani presentano un chimismo alcalino-potassico, il che li rende quasi unici.

L’Etna, con 40 chilometri di diametro basale ed un’altezza di 3.350 metri, è il più grande vulcano attivo europeo (del resto, i vulcani attivi in Europa li troviamo solo in Italia, in Islanda e in Grecia). La sua origine
risale a 500-700 mila anni fa (la grande caldera chiamata Valle del Bove ha almeno 10-20 mila anni di età). Le prime testimonianze dell’attività dell’Etna risalgono al 693 a.C., e da allora l’attività non è mai cessata.
Non si deve pensare al’Etna come ad un singolo, grande vulcano; in realtà si tratta di una sorta di crivello attraverso il quale il magma trova infinite vie di uscita. Esistono alcune vie privilegiate, quali il cratere
centrale, o il cratere di nordest, ma in realtà l’imponente vulcano siciliano è costituito da centinaia e centinaia di crateri grandi e piccoli, conetti e fratture eruttive, dai quali fuoriescono spesso imponenti (e preoccupanti, giacchè le pendici dell’Etna, come anche quelle del Vesuvio, sono intensamente popolate) colate di basalto alcalino. L’ultima grande fase effusiva dell’Etna risale al 1996 ma anche di recente si è registrata una ripresa dell’attività vulcanica, che in ogni caso si presenta tranquilla, prevedibile e quasi
bonaria, al contrario di quella (esplosiva) dei vulcani come Stromboli, o il Vesuvio.

I vulcani attivi italiani sono quindi costituiti dallo Stromboli , dall’Etna e dal Vesuvio, e, per estensione, da Lipari, Vulcano e dal complesso dei Campi Flegrei. La lista sarebbe ben più lunga, se aggiungessimo vulcani
molto meno noti, per esempio il piccolo vulcano dell’isola d’Ischia, nel Golfo di Napoli, la cui ultima eruzione risale al 1302 ma che sembrerebbe ancora in attività profonda, almeno a giudicare dal potente terremoto
che colpì Casamicciola ancora nel 1883. Estinti anche per i geologi sono invece i vulcani alcalino-potassici laziali, ormai collassati e ricoperti dalle acque alluvionali, dando luogo così a laghi craterici quali i laghi
di Bracciano e di Martignano, il lago di Vico, di Nemi, di Albano. Altre caldere conseguenti al collasso di vulcani spenti sono: i crateri dei Monti Volsini (Lazio) alcuni dei quali occupati dal lago di Bolsena; il
complesso di Roccamonfina, il Vulture. Nelle isole, le caldere delle isole di Ventotene e di Ischia, e la caldera di Pantelleria.

L’attività vulcanica sottomarina dei fondali dell’Italia meridionale è evidenziata dalla nascita repentina di piccole isole di ceneri, lapilli e lava. Si può citare l’isola Amendolara nel mar Ionio, ma la più famosa è senz’altro l’isola detta Fernandina (in onore del Re Ferdinando di Borbone) o di Graham. Si trattò della più importante eruzione sottomarina del Mediterraneo.
L’isola di Graham comparve emergendo dalle acque nel 1831, a 50 km a sudovest di Sciacca, tra la Sicilia e l’Africa. Costituita dall’effusione di scorie e ceneri basaltiche, in poco tempo l’isola raggiunse l’altitudine massima di 60 metri ed una circonferenza di cinque chilometri. In parecchi vi sbarcarono tra cui diversi studiosi. L’isola ebbe vita breve: cessata l’attività effusiva del vulcano sottomarino, l’isola venne in breve demolita dall’azione erosiva delle onde e scomparve pochi mesi dopo essersi formata.
Scorie, ceneri e lapilli non erano stati sufficientemente cementati da successive effusioni laviche (come invece è accaduto nell’isola di Surtsey, comparsa nel 1963 al largo delle coste islandesi). Al suo posto oggi si
trova un bassofondo, il banco Graham, profondo meno di venti metri.

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(*) In realtà un vulcano è realmente estinto quando la camera magmatica sottostante, che lo alimenta, è ormai “vuota” o talmente ridotta da non poter più rifornire di magma i condotti superficiali. Questo quando
è (o è stato, in passato) possibile localizzare e registrare l’attività della camera magmatica. In mancanza di dati più precisi, si può considerare virtualmente estinta l’attività di un vulcano che non mostra alcun segno
di vita da diversi secoli, in linea di massima 500 o 600 anni.

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