Quale è il criterio scientifico per stabilire quando un insieme di cellule comincia a diventare un essere UMANO?

Non esiste a tutt’ora un metodo scientifico che sia considerato decisivo per stabilire quando un insieme di cellule diventi veramente un essere umano. Un articolo completo sull’argomento si trova sul mensile “Quark” di maggio, dove si esaminano anche le posizione delle singole religioni. Il problema è particolarmente sentito  in questi giorni, dato che ci si avvicina al referendum sulla fecondazione.

Anche all’interno del gruppo di esperti della via lattea le opinioni sono discordi e se pure la risposta che segue riflette soprattutto il mio punto di vista, alcuni punti mi sono stati suggeriti nell’ambito di una discussione comune.

La difficoltà consiste soprattutto nel fatto che  “vita” o “essere umano” sono parole estremamente vaghe: tutti abbiamo la sensazione di sapere di cosa stiamo parlando (esattamente come in quasi tutte le parole che hanno un significato comune ma sono usate in accezioni molto specifiche in diversi campi della scienza).
Quando però poi si cerca di delineare un confine netto, ci si accorge che non esiste, che ci sono un sacco di casi particolari o situazioni indecidibili e più la tecnologia progredisce e più questi casi aumentano, proprio perché le parole del linguaggio comune sono nate in contesti in cui molti di questi casi non erano nemmeno immaginabili.

La mancanza di certezze scientifiche permette una varietà di opinioni, che tra l’altro sono cambiate e molto durante il corso della storia. Ciccando sul link http://bfp.sp.unipi.it/rec/palazzan.htm si possono leggere delle opinioni, di tipo più filosofico.

Nel passato, per esempio, anche un bambino non era considerato realmente un essere completo e in certe culture un padre aveva potere di vita o di morte sui propri figli, come sui  propri animali domestici. Per non parlare dello stato di “non-uomini” in cui erano tenuti gli schiavi o delle varie forme di razzismo ancora presenti nel mondo.  

Come se la dignità di persona fosse separata dalla vita fisica.

Gli embrioni sono stati considerati, e ancora lo sono, come degli esseri imperfetti e la loro dipendenza fisica dal corpo materno li rende in qualche modo ancora inferiori. Il fatto poi di “non vederli” facilita questa sensazione soprattutto per i primi mesi della gravidanza, quando ancora il feto non si sente perché non si muove.

Potremo stabilire, per esempio, che un embrione è umano solo dopo la nascita, perché a quel punto è indipendente dal fisico materno. Oppure che il feto diventi persona quando inizia a battere il cuore. Oppure potremo stabilire l’inizio della persona attorno ai sei mesi di gestazione, che attualmente  sono il periodo minimo sotto il quale è difficile salvare un bimbo prematuro. E se la tecnologia sarà sempre più perfezionata e riusciremo a salvare embrioni con esistenza inferiore ai sei mesi, si diventerà umani prima? La nostra umanità dipenderà dalla tecnologia? In un certo senso già adesso la tecnologia e le tecniche analitiche, come le ecografie, fanno “vedere” il bambino come non era mai successo nei secoli scorsi e lo rendono più reale. 

Personalmente, da genetista, sono portata a considerare l’individuo già completo al momento della fecondazione, quando con la fusione di ovulo e spermatozoo, si riforma il genoma 2n. Infatti tutti i geni che servono e serviranno fino alla morte dell’individuo sono già presenti e, immediatamente dopo la fecondazione, inziano ad esprimersi e a differenziarsi. Ad esempio, la formazione dei tre foglietti nella gastrula non è un punto di partenza, ma uno dei momenti più visibili di uno sviluppo continuo.

http://embryo.soad.umich.edu/ e 
http://www.exploratorium.edu/exhibits/embryo/embryoflash.html

da: http://www.exploratorium.edu/traits/fate.html