La domanda non specifica l’uso che se ne farà della clorofilla, una volta estratta.
L’estrazione è una metodica “preparativa”, che permette di separare una sostanza da una miscela di altre sostanze. Si utilizza un solvente che abbia la maggior affinità possibile con la sostanza che ci interessa e invece una bassa affinità con le altre.
Il solvente così arricchito viene poi raccolto e sottoposto ad altri trattamenti. Normalmente, a livello didattico, sulla clorofilla (meglio sulle clorofille) si eseguono delle cromatografie su carta o delle osservazioni con luce ultravioletta (luce nera o di Wood). Questi due metodi rivelano i diversi tipi di clorofilla presenti nelle cellule vegetali.
Per estrarre la clorofilla, possiamo utilizzare delle comuni foglie. In un mortaio, queste vanno sminuzzate accuratamente e diluite con poco acetone durante il processo. Filtrando la soluzione ottenuta, con carta da filtro, si ottiene un liquido dal colore verde, dato appunto dalla quantità di clorofilla in esso sciolta. Poichè l’acetone è infiammabile e anche tossico, deve essere utilizzato solo all’aperto o sotto una cappa aspirante.
Se si vuole preparare l’estratto per la cromatografia, si deve fare un passo ulteriore, che consiste nell’estrarre ulteriormente le clorofilla dall’acetone con benzina e tirarla poi a secco.
Per concentrarlo, si può utilizzare la comune benzina per accendini, aggiunta alla soluzione in proporzione 1:4, in una provetta.
Tappata la provetta, ed agitata, si assisterà alla formazione di uno strato di verde intenso nella parte superiore, composto dalla benzina in cui la clorofilla è più solubile.
Si raccoglie lo strato superiore e lo si essica, si fa cioè evaporare la benzina. Questo va fatto rigorosamente in laboratorio.
Risulta evidente che in tutto questo processo si deve mantenere la massima attenzione. Si deve soprattutto lavorare LONTANO da fiamme di qualunque genere
http://www.funsci.com/fun3_it/esper1/esper1.htm#clorofilla
