Da cosa dipendono le fluttuazioni di intensit&agrave di un fascio laser rivelato sulla luna ad esempio con un ideale fotorivelatore?

La domanda cos&igrave come &egrave formulata appare un po’ ambigua, per cui tenter&ograve di interpretarla: immagino si chieda di immaginare un fotorivelatore privo di rumore, che d&agrave letture “esatte” e un altrettanto ipotetico fascio laser di intensit&agrave perfettamente stabile e costante, il primo situato sulla superficie della Luna e il secondo generato da Terra, e di discutere quali fenomeni possono comportare fluttuazioni di intensit&agrave luminosa captati dal rivelatore.

L’esperimento immaginato &egrave molto simile ad uno gi&agrave condotto negli anni ’70 del secolo scorso: nel corso delle missioni Apollo vennero lasciati sulla superficie lunare alcuni “specchi” prismatici, che vennero poi utilizzati per misurare la distanza della Luna: si colpiva lo specchio con un fascio laser e si misurava il tempo di ritorno della luce (che &egrave di circa 2,5 secondi). Nel corso di successive misurazioni &egrave stato cos&igrave possibile accertare che la Luna &egrave in lento allontanamento dal nostro pianeta.

Se cos&igrave descritto l’esperimento pu&ograve sembrare piuttosto semplice; in realt&agrave non fu affatto banale “colpire” lo specchio con un laser da Terra e la ragione, che &egrave la stessa che fornisce la risposta alla tua domanda, mi accingo a descrivere.

Contrariamente a quanto si tende a pensare, un fascio laser, anche con perfetta coerenza spaziale, non si propaga parallelo e collimato all’infinito, per limiti fisici imposti dall’ottica: un fascio di luce che si propaga perfettamente piano e parallelo deve avere estensione spaziale infinita, mentre un fascio laser &egrave necessariamente, alla fonte, di un certa dimensione. Per questa ragione la sua luce tende ad allargarsi come un cono.

Per quanto possa sembrare contro-intuitivo, quanto pi&ugrave alla fonte (o meglio nel fuoco) il laser ha estensione spaziale maggiore, tanto pi&ugrave esso tende ad allargarsi poco. Per questa ragione, se uno deve colpire con la massima intensit&agrave luminosa possibile un oggetto vicino, risulta conveniente avere un laser con un fascio molto sottile, ottenendo cos&igrave la massima densit&agrave di energia per unit&agrave di superficie, ma quanto pi&ugrave il bersaglio si allontana, tanto pi&ugrave fasci molto sottili diventano sconvenienti, perch&egrave a grandi distanze si “sparpagliano” di più.
Questa premessa serve a mostrare come, nel corso degli esperimenti condotti negli anni ’70, bench&eacute si fosse ottimizzato il fascio laser per ottenere il miglior segnale riflesso dalla Luna, il raggio che colpiva la superficie del nostro satellite era di qualche decina di metri di diametro, e anche alla fonte era largo alcuni cemtimetri.
Ora, per poter raggiungere la Luna, il fascio laser deve attraversare l’atmosfera terrestre, ed &egrave qui che il segnale viene “degradato”: la nostra atmosfera si comporta pressappoco come l’acqua increspata di una piscina, per cui osservando gli oggetti nell’acqua li vediamo continuamente ondeggiare ed essere distorti dalla rifrazione sulla superficie irregolare dell’acqua. Allo stesso modo, il moto di correnti calde e fredde nell’atmosfera deviano e distorcono il segnale luminoso che l’attraversa.

Per questa ragione, anche possedendo un fascio laser puntato fisso su un punto della superficie lunare, a causa della turbolenza atmosferica esso subisce due tipi di distorsioni:
il primo, causato dal moto di “celle” d’aria pi&ugrave grandi delle dimensioni del fascio, fa s&igrave che esso devii dalla direzione in cui &egrave puntato in modo casuale; la seconda, causata da celle pi&ugrave piccole della dimensione del fascio, fa s&igrave che il suo profilo spaziale di intensit&agrave, che all’origine ha forma gaussiana, diventi molto pi&ugrave irregolare, e pu&ograve dare luogo, all’altezza del bersaglio, anche a fenomeni di interferenza che rendono alcune aree del fascio pi&ugrave luminose ed altre meno.

In definitiva, e veniamo cos&igrave alla risposta, quello che lo specchio sulla superficie lunare, o l’ipotetico fotorivelatore, vedrebbero, non &egrave un fascio di intensit&agrave luminosa costante, costentemente puntato su di essi, ma un fascio dal profilo perennemente mutevole, che ondeggia e si sposta di continuo, molto spesso mancando totalmente il bersaglio.
Questa &egrave la ragione per cui l’esperimento della misura della distanza della Luna fu estremamente difficile da compiere: ci vollero diversi giorni di “messa a punto” per riuscire a colpire in modo abbastanza sicuro e ripetibile il bersaglio posto sulla Luna!