Come facevano i primi scienziati che si occupavano della misurazione dei diametri dei corpi celesti (come Ipparco) a misurare l’angolo che essi sottendevano mentre venivano osservati dalla Terra? Per esempio, si scoprì che la Luna vista dalla Terra sottende un angolo di mezzo grado; ma che strumenti usavano di preciso? Dei goniometri? E in quale modo arrivavano ad una misurazione così precisa?


Buona parte della curiosità del nostro lettore può essere soddisfatta da un precedente intervento su ViaLattea, e da una breve storia dell’astronomia, sempre su ViaLattea, per cui qui ci limiteremo ad aggiungere qualche nota.

Prima di tutto, le misure astronomiche degli antichi (diciamo, per ora, gli
antichi greci) non
erano tanto precise, se si esclude quella del diametro della Terra, che
è oggettivamente facile da replicare (il fatto che Eratostene ci abbia pensato per primo è tutt’altro paio di maniche). Ma di per sé l’esperimento è facile.

Le prime
stime sulle dimensioni del Sole, per esempio, gli affidavano un
diametro di qualche centinaio di km, sottostimando la realtà di almeno
un migliaio di volte (bisogna però ben tenere presente la difficoltà
“filosofica” di ammettere che un corpo molto più grande della Terra
girasse attorno ad essa).

La
precisione che si può ottenere misurando bastoni e ombre, con la
verticale fornita da un filo a piombo e simili, è facilmente entro
qualche percento, e di questo ordine risulta poi la nostra misura. I
guai cominciano quando si “stima” il diametro dell’ombra terrestre
guardando la Luna. Quando si cerca di valutare il momento esatto in cui
la Luna è illuminata a metà. E così via.

Per
comprendere l’alta precisione di Eratostene, bisogna ricordare che i
greci conoscevano bene la trigonometria, e quindi potevano stimare
anche distanze lunghe (come la distanza tra due posti di cambio, se non
proprio tra due città) con una approssimazione ragionevole.

Per la
misura degli angoli lo strumento principe è una semplice mira, ovvero
un’asta graduata con un braccio ortogonale mobile. Se so che il ramo
“corto”, diciamo lungo 10 cm, deve essere a 120 cm dal mio occhio per
coprire esattamente la distanza (angolare) tra due stelle in cielo,
basta una formuletta trigonometrica per ricavare questo angolo.
Eseguendo molte misure tra tantissime coppie di stelle e costruendo
triangoli di tre stelle, si costruisce un “reticolo” di coordinate reciproche
tra stelle molto preciso (in effetti le osservazioni “antiche” e il
lungo tempo trascorso permisero la scoperta del moto proprio delle
stelle da parte di Halley all’inizio del diciottesimo secolo).

Con una
mira casalinga ma ben fatta si può misurare il diametro della Luna
con la precisione di 1,5-2 minuti d’arco circa, compiendo un errore
attorno al 4-6%. Una misura “decente” e già perfettamente in grado di
evidenziare il variare del diametro lunare durante una lunazione
completa.

La mira
può evolvere (per esempio due forellini alle estremità del lato corto e
uno alla base della mira per traguardare meglio le due stelle e la
posizione dell’occhio) ma il principio resta lo stesso. Ovviamente un
sostegno meccanico di qualche tipo è essenziale per osservazioni
precise.

Lo
stesso principio è anche applicato al quadrante, un grosso quarto di
cerchio (prima in legno, poi in metallo), che è rimasto lo strumento
principale dell’astronomo sino all’avvento del telescopio. Con i più
precisi dell’epoca (siamo nel 1570-90) Brahe arrivò a misure angolari
con un errore di 2′ e talvolta anche di 1′, praticamente al limite
della risoluzione dell’occhio umano.

La…
morale della storia, se vogliamo, è che è sorprendente quante scoperte
astronomiche essenziali si possano fare con strumenti poverissimi,
usando tanto, tanto cervello!