Presupposto che il sistema solare si sia formato da un disco di gas in rotazione, perché gli elementi pesanti, che hanno permesso la vita sulla terra, si trovano sui pianeti mentre il sole, baricentro del disco di gas in rotazione, è composto prevalentemente da elementi leggeri quali l’idrogeno e l’elio? non dovrebbe essere il contrario?

Il Sistema Solare si è formato dal collasso gravitazionale di una nube interstellare di gas e polvere (nube presolare) che, per effetto della rotazione, ha dato luogo ad un disco posto intorno ad una condensazione centrale (il protoSole). I pianeti si sono formati in tale disco, a partire da microscopiche particelle solide, i cosiddetti grani di polvere, in parte originariamente presenti nella nube presolare (e sopravvissuti al riscaldamento della struttura dovuto alla sua contrazione gravitazionale ed all'"accensione" del Sole), in parte condensati direttamente nel disco, secondo un meccanismo che vedremo tra breve.
Questi grani solidi per effetto di mutue collisioni binarie di tipo costruttivo, hanno dato luogo a aggregati via via più grandi, fino a raggiungere dimensioni confrontabili con quelle dei pianeti terrestri e dei probabili nuclei solidi dei grandi pianeti gassosi. Questi ultimi si sarebbero poi accresciuti fino alle gigantesche dimensioni attuali nel seguente modo: al crescere della massa del nucleo solido, il gas del disco venne concentrato gravitazionalmente nei pressi del corpo stesso; con la crescita continua di quest’ultimo la quantità di gas concentrato intorno al nucleo aumentò più rapidamente della massa del nucleo stesso e così, ad un certo punto, il nucleo solido raggiunse una massa critica (dipendente dalle condizioni di temperatura del gas circostante e che ad esempio nel caso di Giove e Saturno deve essere stata di 10 o 20 masse terrestri) tale che il gas divennne idrodinamicamente instabile e collassò sul nucleo planetario dando luogo ad un pianeta gigante, prevalentemente gassoso. Per maggiori dettagli sul processo di formazione planetaria si veda questa risposta.

Un interessante meccanismo che ha riguardato le fasi finali della formazione dei corpi rocciosi più massivi (dagli asteroidi e satelliti più grandi ai pianeti terrestri) è la cosiddetta differenziazione chimica. In realtà è successo che nel corpo quasi completamente formato, ma ancora allo stato fluido, gli elementi più pesanti (quali il ferro ed il nichel) per effetto della della gravità sono "sprofondati" al centro, separandosi così da quelli più leggeri, quali il silicio, il sodio, il magnesio e l'alluminio. Questi ultimi sono andati a costituire invece un mantello circondato da uno strato più esterno che poi si è solidificato dando luogo alla cosiddetta crosta (per maggiori dettagli si veda questa risposta).

A questo punto, però, ci si potrebbe aspettare, come in realtà immaginato dal nostro lettore, che anche nel disco protoplanetario  si sia realizzato un processo di differenziazione chimica, analogo a quello operante all'interno dei pianeti, in grado di addensare tutti gli elementi più pesanti al centro della struttura, cioè nel Sole, e lasciando quelli più leggeri nelle parti esterne del Sistema Solare. Una tale distribuzione è però del tutto diversa da quella che si osserva nel nostro Sistema Solare. Perché?

Il motivo risiede nel fatto che la materia del disco non era in caduta libera verso il Sole, ma era in orbita intorno ad esso, per cui essa non poteva risentire del meccanismo di differenziazione chimica per gravità operante all'interno dei pianeti rocciosi e degli asteroidi e satelliti più grandi. In effetti, almeno inizialmente, il disco non mostrava variazioni di composizione chimica al suo interno; in altre parole nei vari punti del disco protoplanetario la composizione era sostanzialmente omogenea, rispecchiando quella della nube presolare di partenza [1]. Persino al centro, cioè nel protoSole, le abbondanze elementali erano di fatto quelle della nube presolare [2].

Tuttavia questa omogeneità composizionale del disco (con elementi volatili e refrattari mischiati insieme) non è durata molto a lungo. La contrazione gravitazionale del disco (che al passar del tempo si è ristretto radialmente e soprattutto si è appiattito) ha fatto diminuire le distanze medie tra le particelle della componente gassosa, aumentando la probabilità di collisione e favorendo la coagulazione di queste particelle in grani solidi; ciò si deve essere realizzato soprattutto in prossimità del centro del disco dove la densità era più elevata [3]. Se la temperatura del disco fosse rimasta costante durante il processo di condensazione, quest'ultimo avrebbe provocato il passaggio da una fase gassosa omogenea (con elementi volatili e refrattari mischiati insieme) ad una fase particolata con composti volatili e refrattari ancora omogeneamente distribuiti.
Quando però all'interno dell'oggetto centrale, ormai divenuto il nostro Sole, si sono innescate le reazioni termonucleari, esse hanno provocato un riscaldamento del disco caratterizzato da forti differenze di temperatura, a seconda della distanza dalla stella centrale. Ciò ha perturbato pesantemente il processo di condensazione, portando ad una rimozione dell'omogeneità composizionale del disco ed all'instaurarsi di una differenziazione chimica della struttura.

In effetti, in prossimità del Sole, dove le temperature erano comprese tra 2000 e 1150 K solo pochissime particelle, costituite da elementi refrattari quali alluminio, titanio e calcio, avrebbero potuto essere presenti allo stato solido, sotto forma di silicati ed ossidi [4]. I successivi elementi che condensarono dalla fase gassosa sono stati poi magnesio, silicio, sodio, potassio e ferro che hanno dato luogo a silicati, ossidi e metalli nelle regioni con temperatura T ≲ 1100 K [4]. Più in generale, fino a distanze dal Sole simili a quelle degli asteroidi della Fascia Principale, la polvere presente nel disco avrebbe dovuto essere composta da grani di materia ferro-silicatica a bassissimo contenuto di sostanze volatili [4]. Al di là della regione attualmente occupata dalla Fascia Principale, invece, la temperatura del disco dovrebbe essere stata abbastanza bassa (minore di 150 K) da permettere la condensazione di particelle solide di ghiaccio di acqua, metano, ammoniaca [4], come pure di ossido di carbonio ed di anidride carbonica.

La coagulazione delle particelle solide all'interno del disco ha quindi comportato un processo di differenziazione chimica non guidato dalla gravità, ma dalla temperatura di condensazione dei vari elementi, come mostrato in Tabella 1. Come conseguenza di questa differenziazione chimica del disco, i pianeti formatisi entro la fascia degli asteroidi sono tutti rocciosi, mentre quelli originatisi all'esterno di tale fascia sono praticamente tutti giganti gassosi.

 

Tabella 1 – Abbondanze relative dei principali elementi presenti nel disco protoplanetario (Fonte [1]); sono riportate sia le abbondanze in massa (rispetto a quella totale di tutti gli elementi), che quelle in numero di atomi (rispetto a quello degli atomi di silicio).

Occorre notare che solo una piccola percentuale del gas interstellare, originariamente presente nel disco, è condensata in materiale solido o è andata a formare i pianeti giganti. La maggior parte è stata infatti espulsa dal Sistema Solare, letteralmente spazzata via quando il Sole è entrato nella cosiddetta fase T Tauri, caratterizzata da un'intensa emissione di vento solare. Siccome tale flusso di particelle altamente energetiche era più violento in prossimità del Sole, questo fenomeno, unito alle precedenti considerazioni sulla temperatura di condensazione, spiega come l'attuale Sistema Solare risulti virtualmente privo di volatili fino alla fascia degli asteroidi, mentre nelle regioni periferiche i ghiacci abbondano.

Il modello ora descritto è quindi in grado di spiegare la distribuzione chimica a grande scala dei vari materiali a diverse distanze dal Sole. Esistono però aspetti particolari di tale distribiuzione di cui il modello non riesce a dar conto. Uno di questi riguarda la scoperta all'interno di alcuni nuclei cometari, ossia di corpi ghiacciati che si sono formati ben oltre la fascia degli asteroidi, di quantità non trascurabili di silicati cristallini di magnesio e ferro [5] che, come abbiamo visto, si formano invece in ambienti dove T ≲ 1100 K. Diverse ipotesi più o meno "ad hoc" sono state avanzate per spiegare questa palese incongruenza [5, 6]. E' sicuramente improbabile che questi grani cristallini fossero già presenti al momento della formazione del disco protoplanetario, essendosi formati nella nebulosa interstellare da cui il nostro Sistema Solare ha avuto origine. Tale ipotesi risulta irrealistica in quanto i silicati cristallini sono estremamente rari nel mezzo interstellare [7] e la loro irrisoria abbondanza non è compatibile da un punto di vista probabilistico con la loro individuazione in un numero non trascurabile di comete.
Rimangono due altre possibilità. La prima è che questi grani cristallini si siano formati proprio nei luoghi di origine dei nuclei cometari, e prima di questi ultimi, a causa di un evento di anomalo e repentino riscaldamento di quelle regioni probabilmente prodotto da un fronte d'urto, innescato da instabilità gravitazionali [6]; l'evento sarebbe stato poi seguito da un lento raffreddamento che avrebbe provocato la cristallizzazione dei silicati in questione ed il loro successivo inglobamento nei nuclei cometari.
Alternativamente i grani silicatici cristallini potrebbero essersi formati proprio dove previsto dal modello sopra discusso, ossia in prossimità del Sole e poi potrebbero essere stati inviati nelle fredde regioni di formazione cometaria per effetto di meccanismi di trasporto radiale verso l'esterno, legati a correnti turbolente a larga scala in grado di coinvolgere gran parte del disco [6,8].
La questione è quindi ancora aperta, poiché, come fatto notare da Wooden e colleghi [6], entrambe le ipotesi soffrono della attuale mancanza di conoscenze approfondite sulla causa delle turbolenze e dei fronti d'urto nel disco.

Bibliografia
[1] Coradini, A., Federico, C., Magni, G.: 1980, Giorn. di Astron. 6, 175.
[2] Savage, B.D., Sambach, K.R.: 1996, Annu. Rev. Astron. Astrophys. 34, 279.
[3] Natta, A.: 2000, in "Infrared space astronomy, today and tomorrow", Eds. F. Casoli, J. Lequeux, and F. David
    Les Houches Summer School, vol. 70, pag. 193.
[4] Casacchia, R.: 1978, in "La Planetologia", Newton Compton, Roma, pag. 104.
[5] Nuth, J.A., Johnson, N.A.: 2006, Icarus 180, 243.
[6] Wooden, D., et al.: 2007, in Protostar and Planets, vol. V, Eds. V.B. Reipurth, D. Jewitt, and K. Kiel, University of Arizona Press, Tucson, pag. 815.
[7] Kemper, F., Vriend, W.J., Tielens, A.G.G.M.: 2005, Astrophys. Jou. 633, 534.
[8] Boss, A.P., Durisen, R.H.: 2005, Astrophys. Jou. 621, L137.