A lezione la professoressa ci ha parlato della teoria dell’ottetto per spiegare il legame chimico, ma io francamente non ho capito quali ne siano le basi chimiche. Potete chiarire per favore?

Caro Riccardo,

un anglosassone direbbe oggi che la regola dell'ottetto "is just a useful bookkeeping system": senz'altro utile per predire il numero di legami che un dato elemento può formare con altri atomi all'interno di una molecola, ma niente più di quello. In effetti la regola dell'ottetto non ha particolari basi chimico-fisiche o, almeno, per come viene riportata in molti testi, razionalizzata e giustificata non è neppure molto corretta, e non spiega nulla.

Non è vero che, ad esempio, un atomo di sodio sia poco stabile e tenderebbe a cedere il proprio elettrone più esterno o, come spesso si dice, sia particolarmente soddisfatto di perdere quell'elettrone per giungere alla configurazione elettronica del gas nobile che lo precede: infatti il potenziale di ionizzazione per un simile processo è positivo, il che vuol dire che dobbiamo fornire energia per ionizzare un atomo di sodio:
 
Na + energia –> Na+ + e
 
Lo stesso accade per un non metallo che acquisisca un elettrone, con la sola eccezione del fluoro: le affinità elettroniche sono tutte positive (solo quella del fluoro è negativa), il che vuol dire che dobbiamo fornire energia per aggiungere un elettrone a un atomo, per esempio di cloro.          
 
Il punto è che a partire da un gas nobile, per passare all'elemento successivo (metallo alcalino) dobbiamo aggiungere un protone al nucleo, più un elettrone: questo porta a un aumento della carica nucleare, che attrae maggiormente gli elettroni, ma l'elettrone aggiunto risulta schermato dagli elettroni di core più interni, per cui quello stesso elettrone aggiunto risulta relativamente poco legato. Continuando a spostarsi lungo il periodo passando agli elementi via via più pesanti, si aggiungono protoni ai nuclei (aumentando la carica nucleare) mentre gli elettroni vanno a riempire orbitali della stessa shell di quel primo elettrone aggiunto (nel metallo alcalino). Secondo le regole di Slater (regole che riassumono i risultati di calcoli espliciti), elettroni che appartengono alla stessa shell non si schermano reciprocamente e la carica nucleare che ciascuno di essi sente non dipende dalla presenza di altri elettroni nella shell medesima. Questo vuol dire che passando da Na a Mg, i due elettroni di valenza di Mg sono attratti dal nucleo di Mg più di quanto lo sia l'unico elettrone di valenza al nucleo di Na (e quindi il potenziale di ionizzazione aumenta). In virtù di questo fatto, mano mano che ci si avvicina al gas nobile successivo, l'attrazione degli elettroni di valenza verso il nucleo aumenta sempre di più (cosa confermata anche dal fatto che le dimensioni atomiche, in qualunque modo vengano definite o misurate, si contraggono lungo il periodo).
Le stesse regole di Slater ci dicono anche perchè l'aggiunta di un elettrone alla shell esterna di un alogeno sia relativamente poco costosa in termini energetici: l'elettrone aggiunto non è schermato dagli altri sette presenti nella stessa shell e risente invece di una carica nucleare relativamente alta, rispetto a quanto accade per un metallo alcalino, dove la schermatura nei confronti di quell'elettrone aggiunto è comunque piccola, ma pure la carica nucleare lo è.
 
Nel caso di un legame ionico, il bilancio energetico complessiva non si può limitare alla cessione e all'acquisto di un elettrone da parte dei due atomi coinvolti: come detto, con l'eccezione del fluoro, queste cessioni e acquisti sono costosi da punto di vista energetico, e un processo
 
Na + Cl –> Na+  +  Cl
 
richiede energia. In realtà (almeno in una visione non modernissima del legame ionico), l'energia spesa nelle ionizzazioni è più che compensata dall'attrazione tra i due ioni di carica opposta che si sono formati, con un abbassamento dell'energia potenziale alla distanza di equilibrio tra Na+ e Cl: è il potenziale Coulombiano tra i due ioni di carica opposta che determina la stabilità del sistema. 
 
Una situazione non troppo dissimile si ha per le interazioni di tipo covalente: quello che tiene insieme due atomi in un legame covalente è sempre l'attrazione Coulombiana tra gli elettroni e i nuclei. Il legame è a coppia di elettroni per ragioni legate all'antisimmetria della funzione d'onda del sistema (che vieta che due elettroni con lo stesso spin occupino una stessa regione di spazio) e alla repulsione Coulombiana che esiste tra carica dello stesso segno.
 
Per approfondimenti, una discussione soddisfacente di questo tema la si può trovare nel libro di Gillespie e Popelier: Chemical bond and molecular geometry. Gillespie è il l'ideatore del modello VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion model) e lo stesso autore trova un parallelismo perfetto che razionalizza il suo stesso modello nei termini della teoria di Bader del legame chimico (Atoms in Molecules: a Quantum Theory), sviluppata a partire dagli anni '70, e che costuisce oggi la base delle moderne teorie del legame chimico:
 
 
In sintesi, nessuno oggi parla più di teoria dell'ottetto se vuole spiegare il perchè il legame chimico si formi secondo certe modalità e caratteristiche.
 
Detto questo, una discussione più tradizionale del legame chimico, nei termini in cui la materia viene spesso presentata, facendo essenzialmente riferimento alle idee di Linus Pauling, per la verità un po' datate, vede il legame chimico fra due atomi come dovuto alla condivisione (nel caso di un legame covalente), o alla cessione/acquisizione (come nel caso del legame ionico) di elettroni da parte degli atomi in gioco. Essendo gli elettroni i protagonisti principali di questo fenomeno basilare della chimica, è necessario comprendere come essi orbitino attorno al nucleo dell’atomo. Tale premessa consentirà di comprendere come mai essi vengano condivisi, acquistati o ceduti.

Un elettrone è una particella subatomica piuttosto particolare: è talmente piccola che ha qualità fisiche sia particellari che di onda. Heisenberg, nel 1927, dimostrò che il suo moto intorno al nucleo non consente di poter determinare contemporaneamente la sua posizione precisa nello spazio e la sua esatta velocità. Per questa ragione i chimici hanno individuato determinate regioni dove le probabilità di trovare l’elettrone orbitante sono piuttosto alte, dell’ordine del 90%. Dobbiamo ringraziare Schrödinger se conosciamo la forma di questi orbitali: infatti introdusse un’equazione matematica detta “funzione d’onda” che, grazie a tre parametri denominati n, l ed m, stabilisce in che regione di spazio intorno al nucleo si colloca l’elettrone.

Se potessimo vedere ad occhio nudo un atomo, esso ci apparirebbe come una tenue nube tremolante dai contorni sfumati, esattamente come in questa immagine artistica:

 

Atomo ed orbitali annessi

 

Il parametro n è detto numero quantico principale, assume valori interi positivi (1, 2, 3…) ed indica il livello energetico dell’orbitale. Più l’orbitale è lontano dal nucleo, più l’energia negli elettroni dovrà essere alta per potervi orbitare intorno. Tale energia, a scale così piccole, può avere solo quantità ben definite dette “pacchetti quantici”. Quindi gli elettroni si troveranno solo a determinate distanze dal nucleo.

 

Livelli energetici definiti dal numero quantico principale n. Si notino le distanze crescenti dal nucleo dell’atomo.

 

Il parametro l invece è il numero quantico azimutale, assume valori fra 0 ed n-1 e definisce che forma deve avere l’orbitale. Tali valori di l sono denominati sottolivelli, e sono indicati con la lettere s (sharp), p (principal), d (diffuse), f (fundamental). Questi primi due numeri definiscono l’energia complessiva dell’orbitale. Le forme di s, p, d ed f sono mostrate nella seguente figura.

 

Forme di orbitale definite dal parametro l e orientate secondo il numero quantico m, esse sono la rappresentazione dello spazio in cui orbitano gli elettroni

 

Il numero quantico m, che assume valori fra –l ed l, definisce l’orientamento dell’orbitale nello spazio, l’orientamento degli orbitali è ben visibile nella figura precedente (0 per s; -1, +1 per p; -2, +2 per d; -3, +3 per f).

Esiste anche un quarto numero quantico che indica in quale direzione l’elettrone ruota su se stesso, ed è detto di spin.

 

Fatta questa complessa ma doverosa introduzione, bisogna dire che ogni livello energetico può contenere fino a un massimo di otto elettroni accoppiati fra loro in un orbitale. Inizialmente gli elettroni occuperanno tutti orbitali diversi dello stesso sottolivello energetico (s, p, d o f per intenderci): gli elettroni nel livello energetico più esterno occuperanno prima gli orbitali vuoti disponibili, finendo per orbitare da soli in questi ultimi, tali elettroni sono detti spaiati; i successivi invece dovranno condividere uno degli orbitali già occupati con un altro elettrone e così via, fino ad avere il riempimento degli orbitali del sottolivello energetico considerato.

Soltanto il livello energetico più interno può contenere al massimo una sola coppia di elettroni, mentre i livelli immediatamente superiori, da n=2 in poi per intenderci, potranno ospitare fino a un massimo di otto elettroni.

 

Configurazione elettronica degli atomi di boro (B), carbonio (C), e azoto (N). Il livello energetico 1 è tutto occupato da due elettroni; il secondo livello energetico presenta due sottolivelli: s e p. Il sottolivello s è pieno; il sottolivello p invece si riempie a mano a mano che aumenta il numero di elettroni. Gli orbitali, in questo schema, sono rappresentati dai quadrati, le frecce sono invece rappresentano gli elettroni che li occupano. La punta indica la direzione di rotazione dell’elettrone. Si può notare come gli elettroni tendano ad occupare prima gli orbitali vuoti del sottolivello 2p, ma già partendo dall’elemento successivo all’azoto, ossia l’ossigeno, una coppia di elettroni sarà costretta a condividere un orbitale di 2p.

 

La regola dell’ottetto nasce da questo tipo di configurazione elettronica.

 

Un atomo infatti, per essere stabile, deve avere una configurazione orbitale quanto più stabile possibile: se l’orbitale esterno dell’atomo ha un solo elettrone, esso tenderà a cederlo per trovare l’equilibrio energetico. E’ il caso del sodio, che cede l’unico elettrone del suo livello energetico più esterno al cloro. Al cloro infatti ne manca uno per completare il suo livello energetico più esterno: infatti in esso orbitano sette elettroni. Una volta che il sodio cede l’elettrone al cloro, esso assume carica positiva, mentre il secondo carica negativa; i due ioni si attraggono e si uniscono formando così un legame ionico.

C’è ad esempio l’ossigeno che, nel suo livello energetico più esterno, ha sei elettroni orbitanti: quattro occupano due orbitali totalmente pieni, e altri due invece orbitano nei restanti orbitali che risultano semivuoti. L’ossigeno potrà allora condividere gli orbitali semivuoti con due atomi di idrogeno che hanno anch’essi un solo elettrone nel loro orbitale. Tale condivisione di elettroni consente a entrambi gli atomi di poter completare i loro sottolivelli energetici, raggiungendo così la stabilità energetica. In questo modo si ha una condivisione di orbitali che crea un legame detto covalente. Altro esempio di legame covalente sono due atomi di idrogeno che condividono i loro elettroni per completare il loro orbitale.

 

Legame covalente fra due atomi di idrogeno

 

Esistono anche atomi che non si legano ad altri elementi, in quanto il loro livello energetico più esterno ha otto elettroni ed è quindi completo. E’ il caso dei gas nobili come il neon, il cripton, l’argon, il radon e lo xeno. Sono definiti nobili proprio per questa loro caratteristica di elementi inerti, dovuta all’assenza di esigenza di completamento o dal non bisogno di cessione di elettroni isolati, come accade invece per sodio, calcio, potassio, rubidio, litio, francio o cesio, caratterizzati dalla presenza di un unico elettrone nel loro livello energetico più esterno e di cui devono disfarsi, divenendo così ioni positivi.

Il fine di tutto è trovare la stabilità energetica: un atomo dal livello energetico più esterno incompleto è instabile: un elettrone spaiato che vaga lontano dal resto della nube elettronica infatti è facilmente catturabile da un atomo di passaggio che deve completare il suo livello energetico più esterno. Tali interrelazioni sono anche favorite da geometrie orbitali piuttosto articolate e complesse, che portano gli elettroni spaiati ad arrivare in regioni estremamente lontane dello spazio intorno al nucleo.

 

Si conclude che è la configurazione elettronica a decidere il carattere interattivo di un atomo con un altro atomo e quindi il suo modo di interagire. In tutto questo la regola dell’ottetto è un riferimento pratico che consente di comprendere quale può essere la strategia adottata da quest’ultimo, sia essa l’inerzia, o la creazione di un legame covalente o ionico.