Un esercizio nega che R^2 sia sottospazio vettoriale di R^3, anche identificando il vettore (a,b) con (a,b,0) in quanto sono “elementi distinti che appartengono a insiemi distinti e separati”. È facile cadere nell’errore, ma si potrebbe avere una spiegazione più esauriente?

L’effermazione riportata dall’esercizio menzionato dall’autore della domanda è corretta: R2 non è un sottospazio vettoriale di R3, in quanto, banalmente, non ha semplicemente senso chiedersi la cosa, dal momento che R2 non è un sottoinsieme di R3. Infatti, dato uno spazio vettoriale V un sottospazio vettoriale W di V è, in parole povere, per definizione un sottoinsieme di V che, con le stesse operazioni ereditate da V, diventa a sua volta uno spazio vettoriale. L’identificazione proposta dallo stesso autore però mette a posto le cose in modo rigoroso. Infatti, l’applicazione L : R2 R3 data da

L(x,y) := (x,y,0)

è lineare e iniettiva: per ogni a,b ∈ R e per ogni (x1,y1),(x2,y2) ∈ R2 si ha

L(a(x1,y1)+b(x2,y2)) = (ax1+bx2,ay1+by2,0) = a(x1,y1,0)+b(x2,y2,0) = aL(x1,y1)+bL(x2,y2)

L(x1,y1) = L(x2,y2) ⇒ (x1,y1,0) = (x2,y2,0) ⇒ (x1,y1) = (x2,y2).

Ne segue che, per noti risultati di algebra lineare, L(R2) è un sottospazio vettoriale di R3 isomorfo a R2, e quindi questo sottospazio è sostanzialmente una copia di R2. Va da sé che le stesse considerazioni valgono per una qualsiasi applicazione lineare e iniettiva L : R2 R3 : in ogni caso L(R2) risulta un sottospazio vettoriale di R3 isomorfo a R2, e questo sottospazio è ancora una copia di R2; la scelta fatta è solo quella più semplice che uno potrebbe pensare.