Perchè la centrale di Chernobyl esplose?

(risposta preparata in collaborazione con Dino Pezzella)

INTRODUZIONE

Il 26 aprile 1986 uno dei quattro reattori nucleari della centrale di Chernobyl, nell’allora Unione Sovietica, esplose e si incendiò.
Secondo il rapporto ufficiale emesso
l’incidente fu causato da un esperimento non autorizzato sul reattore effettuato dagli operatori addetti: venne perso il controllo del reattore e si verificarono due esplosioni;
il tetto del reattore saltò via e il nucleo si incendiò, bruciando a temperature estremamente alte (intorno a 1500 °C) mentre i residui radioattivi (gas e particelle di materiale) si sparsero sulla Scandinavia e sul Nord Europa.

A differenza di tutti gli impianti in funzione nei paesi occidentali, quello di Chernobyl non aveva un edificio di contenimento, che avrebbe potuto evitare che il materiale radioattivo si diffondesse al di fuori della zona del reattore.

A Chernobyl erano localizzati in un unico sito 4 reattori nucleari (e due erano in costruzione al momento dell’incidente), tutti e quattro BMRK 1000. Le unità 1 e 2 erano state costruite tra il 1970 ed il 1977, mentre le Unità 3 e 4, con stesso disegno, erano state completate nel 1983.

L’Unità 4 di Chernobyl era un reattore che funzionava ad uranio naturale leggermente arricchito (intorno al 2%), utilizzava la grafite come moderatore e l’acqua per il raffreddamento;
La diversità tra moderatore e refrigerante ha giocato un ruolo di primo piano in quanto è avvenuto: nei reattori a pressione, quando si perde l’acqua di raffreddamento, diminuiscono le reazioni nucleari a catena perché non vengono più rallentati i neutroni (in questo caso le barre di controllo sono un secondo sistema di sicurezza); ma quando il moderatore è grafite e si perde l’acqua di raffreddamento, i neutroni continuano ad essere rallentati dalla grafite stessa e le reazioni a catena proseguono indisturbate.
In questo caso è decisivo l’inserimento rapido delle barre di controllo che assorbono neutroni.
La velocità di inserimento delle barre dipende dalla fornitura elettrica, ma la perdita improvvisa di acqua può originare un black-out, cosicché diventa indispensabile un secondo sistema elettrico di emergenza che controlli separatamente ogni gruppo di barre di controllo (dalle 30 alle 36 barre per ogni gruppo).

Questo reattore aveva una lentezza esagerata nell’inserimento delle barre di controllo (20 secondi contro meno di 2 secondi di tutti gli altri reattori nucleari al mondo) e inoltre non aveva barre di emergenza ad inserimento rapido (senza l’ausilio di energia elettrica, inserite per gravità [lasciate cadere]).

Le barre di controllo, costituite di carburo di boro, avevano all’estremità una punta in carbonio che, nella fase iniziale di inserimento delle barre, iniziavano ad aggiungere reattività, invece di diminuirla.

La più importante caratteristica di questo reattore è di possedere una grande instabilità a basse potenze: ciò significa che, se la potenza aumenta o il flusso dell’acqua diminuisce, c’è un aumento di produzione del vapore nei canali in cui è contenuto il combustibile, cosicché i neutroni che sarebbero stati assorbiti dall’acqua più densa ora danno il via ad un numero maggiore di fissioni nel combustibile.
All’aumentare della potenza, aumenta la temperatura del combustibile e questo ha l’effetto di ridurre il flusso di neutroni (coefficiente di combustibile negativo).

L’effetto complessivo di queste due opposte tendenze varia con il livello di potenza.
Quando si opera normalmente, ad alta potenza, predomina l’effetto temperatura, di modo che non hanno luogo escursioni di potenza per eccessivo surriscaldamento ma, a potenze più basse (a meno del 20% di quella massima) l’instabilità è dominante ed il reattore diventa  propenso ad improvvisi sbalzi di potenza.
Questo sarà il maggior fattore che influirà sull’incidente

L’INCIDENTE
In accordo con il programma dell’esperimento, furono chiusi gli ECCS (sistemi di sicurezza) con il reattore che continuava ad operare a mezza potenza.

Intorno alle ore 23 del 25 aprile il controllore della rete acconsentì ad una ulteriore riduzione di potenza. 
Per realizzare il test il reattore si sarebbe dovuto stabilizzare a circa 1000 MW termici prima di fermarlo ma, a seguito di un errore procedurale (dovuto probabilmente a cattiva taratura degli strumenti), le barre di controllo scesero più del previsto e la potenza del reattore precipitò a circa 30 MW termici, dove l’instabilità diventa dominante.
In questo momento la turbina era a minima potenza e forniva intorno ai 10 MW elettrici, quantità insufficiente per far funzionare le pompe del sistema di refrigerazione (due, ciascuna delle quali richiedeva una potenza di 5,5 MW elettrici).
Gli operatori confidarono però di poter elevare la potenza  termica chiudendo i regolatori automatici e passando tutte le barre di controllo ad operazioni manuali.
Verso l’una del 26 aprile si riuscì a stabilizzare il reattore a circa 200 MW termici e non c’era verso di aumentare questa potenza a causa dello Xenon che "mangiava" i neutroni.

Questa potenza era insufficiente per realizzare l’esperimento.

Contro ogni direttiva di sicurezza, per realizzare il test si passò ai comandi manuali e furono alzate altre barre di controllo, lasciandone solo 6-8 dentro il nocciolo: ciò significa che se ci fosse stato un innalzamento di potenza, sarebbero occorsi circa 20 secondi per abbassare tutte le barre di controllo e spegnere il reattore.
Nonostante ciò si decise di continuare il test programmato e, per farlo, fu aumentato il flusso di refrigerante mettendo in funzione la pompa collegata alla rete elettrica principale, fatto che provocò una caduta della pressione del vapore.

Il disinnesto automatico che avrebbe dovuto spegnere il reattore quando fosse scesa la pressione del vapore risultava escluso.

Si era ora nelle condizioni di fare il test.
Ogni indicazione da manuale indicava che il reattore doveva essere spento immediatamente.

INIZIO DEL TEST
All’una e 23 minuti vennero chiuse le valvole regolatrici di emergenza del turbo-generatore numero 8, con ciò scollegando la turbina dal vapore: il rendimento elettrico del turbo-generatore scese e quando il flusso di vapore cessò di arrivare alla turbina in un momento di tale instabilità, lo stesso vapore restò nel nucleo e formò rapidamente delle bolle dentro di esso.

La potenza del reattore cominciò a crescere piano piano.

Crebbero le bolle e con esse la temperatura del nocciolo e la pressione del vapore.
Diminuiva il flusso totale dell’acqua di refrigerazione perché 4 delle 8 pompe che la facevano circolare erano sottoalimentate a seguito della decelerazione del turbo-generatore.
Ma la diminuzione dell’acqua di raffreddamento aumentò la condizione di instabilità del reattore aumentando la produzione di vapore nei canali di raffreddamento.
Quando la potenza iniziò ad aumentare visibilmente, gli operatori si resero conto che era iniziata l’emergenza.
Iniziarono a suonare le sirene di allarme per emergenza grave al reattore.
Solo pochi secondi dopo l’inizio della prova … già troppo tardi.

Tutte le barre di controllo si trovavano alzate ed il segnale di allarme avrebbe dovuto farle abbassare automaticamente in modo da abbassare la potenza di un 5% al secondo. Non bastava!
La potenza continuò ad aumentare spettacolarmente: in soli 3 secondi era arrivata a 530 MW.
Gli operatori non furono in grado di prevenire questo eccezionale aumento, stimato in 100 volte la potenza nominale di uscita nei 4 secondi successivi .
Le barre in discesa si bloccarono a metà strada, dopo che si udirono una serie di colpi.

L’operatore tolse la corrente al servomeccanismo, in modo che le barre potessero cadere per gravità. Niente.

La forte pressione e l’elevatissima temperatura avevano distrutto i canali nei quali scivolavano le barre.
A questo punto l’acqua di refrigerazione non aveva più dove circolare liberamente, ma solo attraverso pezzi di combustibile rotti e surriscaldati. Piccole parti di combustibile ad alta temperatura, reagendo con l’acqua, provocarono una esplosione del vapore che distrusse il nocciolo della centrale.
L’esplosione danneggiò il tetto e fece sollevare il coperchio monoblocco di acciaio della centrale, del peso di circa 2000 tonnellate.
Per maggiore disgrazia, nel ricadere, questo coperchio si adagiò di fianco incastrandosi tra le opere murarie e nei suoi violenti spostamenti strappò cavi e varie tubature provocando svariati danni, ormai a catena. 

Passarono solo 2 o 3 secondi e seguì una seconda esplosione, molto più violenta.

Questa volta era l‘idrogeno il responsabile,prodotto dalla reazione ad alta temperatura tra vapore e zirconio (il materiale che faceva da camicia ai tubi che contenevano le barre) e tra vapore e grafite.
Circa il 25% dei blocchi di grafite fu sparato all’aria in fiamme.
Furono scagliati lontano anche pezzi di elementi di combustibile, parti del nocciolo e delle strutture portanti.

Le spaccature nel tetto fecero da effetto camino con l’estensione ulteriore dell’incendio.

Questo fu l’inizio della catastrofe.

Il pennacchio di fumi, contenenti isotopi radioattivi, si alzò per oltre un chilometro sopra la centrale.
I componenti pesanti di questi fumi ricaddero più o meno nelle vicinanze della centrale, ma i componenti leggeri, i gas, iniziarono la loro marcia per l’Europa iniziando dal Nord-Est della centrale, dove i venti prevalenti spingevano.
Sparito il refrigerante, sparito ogni controllo, sconvolta la geometria del reattore, in qualche parte proseguiva la reazione a catena perché vi era Uranio 235 ed un moderatore (grafite) ancora efficienti
Saliva la temperatura ed il nocciolo stava fondendo in una massa unica nella quale proseguiva e sarebbe proseguita per molto tempo la reazione a catena.

Il nocciolo intanto penetrava nel suolo per oltre 4 metri.
Ormai c’era solo da tentare qualche operazione che alleviasse il completo disastro.
Oltre cento incendi erano scoppiati nelle adiacenze della centrale.
Occorreva fermarli, spegnere la grafite.

Non si dimentichi che, a lato dell’Unità 4 vi erano altri 3 reattori funzionanti e che una estensione del disastro sarebbe stata un’apocalisse.
Inoltre tutti sapevano che non si aveva a che fare con semplici esplosioni di natura chimica: ora ad esse si sarebbe accompagnata una radioattività incontrollabile e disastrosa.

Negli elementi di combustibile dei 4 reattori vi erano oltre 3000 Kg di Plutonio e 700 tonnellate di Uranio, oltre ad una infinità di isotopi radioattivi ottenuti come prodotti di fissione delle successive reazioni nucleari.
Nessuno sapeva bene come impedire o arginare la catastrofe.
Centinaia di pompieri intervenuti dalla vicina Pripyat si sacrificarono, essendo esposti per primi ad enormi dosi di radioattività per tentare lo spegnimento degli incendi.

Per ulteriori informazioni, rimandiamo la lettura al seguente link:

http://www.iaea.org/Publications/Booklets/Chernobyl/chernobyl.pdf

documento della iaea sul forum sull’incidente.