La domanda è molto semplice (la risposta… beh lascio a voi deciderlo). Ad oggi appare più corretta la visione dell’evoluzione secondo Dawkins e gli ultra-darvinisti o quella degli equilibri punteggiati secondo il compianto Gould? Quali sono i punti di contatto e quelli agli estremi delle 2 teorie?

La biologia evoluzionistica non ha avuto un attimo di quiete da quando più di 150 anni fa Darwin pubblicò la sua opera sull'origine della specie. Ciò è comprensibile in quanto è assai difficile osservare direttamente la formazione di nuove specie e l 'evoluzione in ambienti naturali, anche se alcuni casi sono stati documentati, raccogliendo dati per decine di anni. Ma anche attraverso la documentazione fossile, un certo numero di evoluzionisti non concorda sul fatto che questa possa contribuire a fornire delle prove sulla velocità con cui procede l'evoluzione. Alcuni biologi, infatti, hanno riconosciuto da molto tempo come nei reperti fossili manchino molte forme di transizione; i punti d'inizio (specie ancestrale) e i punti finali (nuove specie) sono presenti, ma gli stadi intermedi nell'evoluzione di una nuova specie da una precedente sono spesso “mancanti”. Questa osservazione viene tradizionalmente spiegata con l'incompletezza dei reperti fossili, quindi non siamo in grado di vedere il lento cambiamento evolutivo perchè possiamo studiare solo un numero limitato di passaggi. Il cambiamento ci appare improvviso perchè ci mancano i dati relativi ai passaggi intermedi. Lo stesso Darwin dimostrò perplessità proprio a causa della scarsità di forme fossili di transizione; paragonava i resti fossili ad un libro nel quale sono rimaste solo poche pagine, e di ogni pagina poche righe, e di ogni riga poche parole. E scrisse: “Perchè dunque ogni formazione geologica e ogni strato non sono pieni di questi legami intermedi? Certo è che la geologia non rivela una tale catena organica perfettamente graduata; e questa è forse la più ovvia e seria obiezione che si possa fare alla teoria. La spiegazione si trova, io credo, nell'imperfezione estrema di documenti geologici.” Il celebre biologo evolutivo Richard Dawkins, in uno dei suoi libri sull'argomento cita questo paragone: “La fossilizzazione è un processo dominato in gran parte dal caso e il ritrovamento dei fossili esistenti è non meno casuale, è un po' come se noi possedessimo la pellicola di un film dalla quale mancassero la maggior parte dei fotogrammi. Quando proiettiamo il film della nostra documentazione fossile, possiamo vedere senza dubbio un qualche tipo di movimento, ma è un movimento più a scatti di quello di Charlie Chaplin, poiché neppure le più vecchie e malconce pellicole di Chaplin hanno perduto nove fotogrammi su dieci”.

Per questa ragione sono stati sviluppati due diversi modelli teorici per spiegare l'evoluzione così come la si osserva nei reperti fossili: il modello degli equilibri punteggiati e quello del gradualismo. Il primo fu proposto dai paleontologi, che si chiedevano se i reperti fossili fossero davvero così incompleti come si riteneva. In accordo con il modello dell'equilibrio punteggiato, proposto da Stephen Jay Gould e Niels Eldredge nel 1972, i resti fossili riflettono fedelmente l'evoluzione così come si è verificata all'interno di una specie, con lunghi periodi di stasi (nessun cambiamento evolutivo) “punteggiati” o interrotti da brevi periodi di rapida speciazione, scatenati probabilmente da cambiamenti nell'ambiente. Quindi l'evoluzione avverrebbe normalmente per “scatti”. Questi periodi relativamente brevi di evoluzione attiva (per esempio, centomila anni) sono seguiti da lunghi periodi (per esempio, due milioni di anni) di stabilità (vedi fig. 1). Con questo meccanismo la speciazione può verificarsi in un periodo relativamente breve. Si tenga comunque presente che un “breve” periodo di tempo per la speciazione può significare anche un intervallo di migliaia di anni, tuttavia è breve se paragonato con i diversi milioni di anni di esistenza di una specie. L'analisi dei resti fossili ha dimostrato infatti che la durata media della “vita” delle specie sulla Terra è di alcuni milioni di anni. Si supponga, ad esempio, che una specie riesca a sopravvivere per 5 milioni di anni, ma che la maggior parte del suo cambiamento morfologico sia avvenuto nel corso dei primi 50000 anni. In questo caso, la differenziazione della specie di origine ha richiesto soltanto l'1% della storia di quella specie. Uno scenario evolutivo di questo tipo, in cui lo sviluppo rapido di una specie è preceduto da un periodo di stasi morfologica di durata molto maggiore, spiegherebbe perchè sono così rari i fossili di transizione tra una forma e l'altra. In effetti, i sostenitori di questo modello attualmente possono avvalersi di due meccanismi evolutivi che portano alla formazione di nuove specie in periodi relativamente brevi: la speciazione simpatrica e quella allopatrica (che tuttavia non verranno spiegate in questa sede).

Fig. 1

In contrasto, la visione tradizionale sostiene il modello del gradualismo, in cui l'evoluzione procede in modo continuo per lunghi periodi di tempo (vedi fig. 2). Le popolazioni si differenziano le une dalle altre per accumulo graduale di caratteristiche adattative sorte sotto differenti pressioni selettive incontrate in ambienti diversi. In sostanza, i grandi cambiamenti vengono visti come il risultato del graduale accumulo di numerose piccole modifiche. Tra i suoi fautori il già citato R. Dawkins, che spiega la sua posizione di antitesi al puntuazionismo in un capitolo del libro: L'orologiaio cieco. Anche Darwin considerava l'evoluzione come un processo regolare e ordinato, operante a velocità così bassa che nessun essere umano può sperare di osservarne l'opera nel corso della vita. I progenitori e discendenti, secondo Darwin, devono essere collegati da “legami di transizione infinitamente numerosi” formati da una successione di sottili passaggi graduali; solo un tempo lunghissimo a permesso a questo lento processo di ottenere tanto. Il gradualismo si osserva raramente nei reperti fossili a causa della loro incompletezza. Occasionalmente, tuttavia, un reperto fossile completo di una forma di transizione viene scoperto e citato come forte evidenza a sostegno del gradualismo. Per esempio, si vedano i numerosi reperti rinvenuti in Cina di rettili piumati in questi ultimi anni che attestano numerose forme intermedie tra i rettili e gli uccelli; si veda anche un'altra mia risposta a tal proposito (http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=13447).

Fig. 2

I gradualisti sostengono che, in realtà, i lunghi periodi di stasi dell'evoluzione siano soltanto una illusione, e che molte specie possano continuare a cambiare anche dopo essersi formate, anche se ciò non lascia traccia nei resti fossili. E nel caso siano presenti, invocano la selezione stabilizzante che è un tipo di selezione naturale che agisce contro i fenotipi estremi e favorisce le varianti intermedie; associata ad una popolazione ben adattata al suo ambiente. Inoltre, i lunghi periodi di stasi evolutiva testimoniati dai fossili sono ingannevoli perchè non rivelano tutti gli aspetti dell'evoluzione. Sebbene i fossili mostrino i cambiamenti nelle strutture esterne e scheletriche, i cambiamenti genetici nella fisiologia, nelle strutture interne e nel comportamento – che sono tutte soggetti all'evoluzione – non sono evidenti. I gradualisti ammettono una rapida evoluzione solo quando è in atto una forte selezione direzionale. Gould sostiene che la teoria dell'equilibrio punteggiato non trova ancora piena adesione tra i biologi perchè si preferiscono le spiegazioni gradualistiche: “Il gradualismo rappresenta un prodotto della cultura occidentale, piuttosto che un fatto di natura”.

Ma ora, all'interno di un dibattito come potremmo sostenere il modello del gradualismo?

Innanzitutto ciò che caratterizza l 'evoluzione è che i tassi di cambiamento sono mediamente molto lenti. Esistono documenti fossili, in realtà, che dimostrano un mutamento graduale nel tempo all'interno delle linee. Un buon esempio è rappresentato dallo studio condotto da Peter Sheldon su circa 15000 fossili di trilobiti, un gruppo di artropodi oggi estinto, provenienti da depositi di scisti del Galles. Questi fossili erano stati attribuiti a diverse linee evolutive in base a differenze morfologiche come il diverso numero di segmenti dell'estremità posteriore (vedi fig. 3). Lo studio, tuttavia, ha dimostrato che a un più attento esame è praticamente impossibile tracciare limiti così netti fra le varie specie, poiché all'interno di ciascuna linea evolutiva il numero medio di segmenti varia in maniera graduale e non discontinua, nella successione degli strati di rocce. In questo caso, quindi, i lunghi periodi di stasi sono più apparenti che reali e derivano dalla necessità dei paleontologi di stabilire un limite netto tra le diverse specie.

Fig. 3

Come potremmo, invece, sostenere il modello dell'equilibrio punteggiato?

Esistono specie, chiamate “fossili viventi”, la cui morfologia è cambiata poco durante milioni di anni. Per esempio, la forma delle foglie di alcune piante è cambiata pochissimo nel tempo; foglie fossilizzate di alberi appartenenti al genere Ginko risalenti al Triassico sono molto simili a quelle degli alberi attuali (vedi fig. 4). Oppure i granchi a ferro di cavallo viventi oggi sono quasi identici nell'aspetto a quelli che vissero 300 milioni di anni fa. In maniera analoga, i nautilus “a camere” del tardo Cretaceo sono quasi indistinguibili dalle specie attuali. Questi animali vivono nelle acque profonde dell'oceano, risalendo al riparo dell'oscurità per nutrirsi nelle acque superficiali ricche di cibo. Le loro complesse conchiglie forniscono ben poca protezione contro i pesci attuali che cacciano “a vista”, essi riescono comunque a sopravvivere perchè sono adattati a condizioni ambientali precise e relativamente stabili in cui i predatori evoluti di recente non sopravvivono.

Fig. 4

Da questi esempi si evince che l'evoluzione della vita ha seguito andamenti assai vari. Alcune specie mutano pochissimo durante i milioni di anni, mentre altre si sono trasformate solo gradualmente, e altre ancora hanno subito cambiamenti rapidi seguiti da lunghi periodi di mutamento lento. E' probabile che alterazioni dell'ambiente fisico e biologico stimolino il cambiamento evolutivo, quindi è verosimile che gli organismi in ambienti in fase di trasformazione evolvano più velocemente di quelli che popolano ambienti relativamente costanti.

E' anche ipotizzabile che popolazioni con un elevato numero di individui che occupano immensi territori fisicamente omogenei e con bassa competizione interspecifica evolvano lentamente, mentre piccoli gruppi di animali in elevata concorrenza e con un ambiente assai mutevole, cambino morfologia più rapidamente. Per esempio, la Russia è un paese immenso dove è più probabile che la competizione metta un organismo in lotta contro il suo ambiente piuttosto che mettere gli organismi in lotta fra loro. Se Darwin e Wallace avessero visitato queste regioni piuttosto che quelle ai tropici, è probabile che il concetto di selezione naturale, che porta gli organismi ad adattarsi e a mutare, avrebbe ritardato la sua enunciazione.

Bibliografia

 

  • Gould S. J.; 1980; Il pollice del Panda; il Saggiatore

  • Dawkins R,; 1986; L'orologiaio cieco; Oscar Mondadori

  • Campbell N. A.; 1993; Zanichelli

  • Darwin C.; 2011; L'origine della specie; Bollati Boringhieri