Vorrei sapere che cosa si intende dire esattamente quando si afferma che una tal cosa “esiste”. Oggi, ritenendo valida una certa teoria si afferma che la tal cosa esiste; domani, ritenendola non più valida si afferma che la stessa cosa “non esiste”. A me non sembrano soddisfacenti queste locuzioni.

Il problema dell’esistenza viene affrontato in filosofia da quella branca specialistica chiamata “ontologia” (dal greco οντος, genitivo singolare del participio presente ων di ειναι, il verbo essere). Riassumere, anche in modo sintetico, i principali problemi e gli sviluppi dell’ontologia significherebbe ripercorrere l’intera storia della filosofia e quindi me ne astengo.

In questa sede vorrei semplicemente limitarmi a discutere del problema dell’esistenza in campo scientifico perché, mi sembra di capire, a questo si riferisce la domanda del lettore.

La scienza ha ambizioni più modeste rispetto alla filosofia. Ho già esaminato questi aspetti in una mia precedente risposta su Vialattea, alla quale rimando il lettore:

I criteri di raggiungimento dell’accordo intersoggettivo di cui parlo nella precedente risposta, penso si possano anche considerare criteri per stabilire l’esistenza di un ente in campo scientifico.

In pratica nella scienza un ente esiste se esso può essere rilevato direttamente a livello empirico, cioè attraverso i nostri organi di senso eventualmente amplificati da strumenti di misura. Oppure se esso deriva da una necessità di ordine logico matematico.

Enti del primo tipo possono essere, ad esempio, i pianeti medicei scoperti d Galileo attraverso le sue osservazioni con il telescopio, le cellule del sughero osservate da Robert Hook con il microscopio, i raggi catodici (elettroni) scoperti da William Crookes con il suo tubo a vuoto, ecc.

Esempi del secondo tipo possono essere invece le onde elettromagnetiche, previste teoricamente da James Clerk Maxwell dalle sue famose equazioni, le particelle di antimateria, dedotte da Paul Dirac dalla sua trattazione relativistica dell’equazione di Schroedinger, il neutrino, ipotizzato da Wolfgang Pauli per interpretare lo spettro continuo del decadimento beta, ecc.

Gli enti del secondo tipo hanno, per così dire, un’esistenza provvisoria finché non emergono prove empiriche a loro favore. Così l’esistenza delle onde elettromagnetiche venne definitivamente accettata in seguito agli esperimenti di Rudolf Hertz, le antiparticelle furono effettivamente osservate da Carl David Anderson (positrone o antielettrone) e da Emilio Segré e Owen Chamberlain (antiprotone) e il neutrino venne osservato direttamente dagli esperimenti condotti di Clyde Cowan e Fred Reines.

Può benissimo accadere che un ente previsto teoricamente, e nella cui esistenza si creda, risulti invece successivamente inesistente, di fronte a nuove evidenze sperimentali. Un caso celebre è quello dell’etere cosmico (o luminifero), presunto supporto materiale delle onde elettromagnetiche. Ritenuto reale per molto tempo, l’etere cosmico venne poi dimostrato inesistente dall’esperimento di Michelson e Morley, prima, e dalla teoria della relatività di Einstein poi. Anche enti la cui esistenza era stata dedotta empiricamente possono poi cadere di fronte a nuove e più accurate osservazioni. Un esempio celebre sono i famosi “canali di Marte” che l’astronomo Giovanni Virgilio Schiapparelli credette di individuare sulla superficie del pianeta e nella cui esistenza credettero anche molti altri illustri studiosi. I canali tuttavia risultarono essere solamente il frutto di una illusione ottica, come venne dimostrato definitivamente dalle fotografie scattate dalla sonda spaziale Mariner 4 nel 1965 e dalla prima mappatura della superficie marziana realizzata da Mariner 9 nel 1971.

Quindi, anche se al lettore può apparire non soddisfacente, la scienza funziona proprio così: per tentativi ed errori, per congetture e confutazioni, per successive approssimazioni, per continue autocorrezioni. Ed è proprio questa sua grande capacità autocorrettiva il grande punto di forza della scienza che la differenzia da qualsiasi altra branca del sapere. Capacità autocorrettiva che consente alla scienza di evolversi continuamente e di allargare continuamente i propri orizzonti.