Salve, cosa rappresentano intuitivamente la connessione lineare ed il trasporto parallelo? (I calcoli formali mi sono chiari ma mi sfugge il significato geometrico-intuitivo).

Il modo più chiaro, secondo me, per capire a fondo i concetti di base di geometria riemanniana è ragionare in coordinate locali, proprio seguendo i conti dei vecchi fondatori del calcolo tensoriale1.

L’idea che sta alla base della connessione (affine) e del trasporto parallelo è quella, più generale, della derivazione di un campo di vettori tangenti ad una varietà riemanniana (M,g), dove con gij denotiamo il tensore metrico su M, tensore di tipo (2,0), simmetrico e definito positivo. Sia quindi dato un campo di vettori tangenti di componenti vi (controvarianti) rispetto ad un sistema di coordinate locali. Supponiamo di assegnare una curva su M data, in coordinate, dal continuo xi=xi(t), per t che varia in un certo intervallo aperto (a,b). Il nostro scopo è quello di derivare il campo di vettori vi lungo l’arco di curva assegnata (si pensi al caso in cui il campo vi sia un campo di velocità, e quindi si vuole determinare l’accelerazione). Il problema di fondo in questa operazione è che non siamo autorizzati, nel computare la derivata del campo vi, ad effettuare la differenza tra vettori tangenti componente per componente, come invece possiamo fare in Rn: infatti nel caso di una varietà M generica vettori tangenti applicati in punti distinti non appartengono, in generale, allo stesso spazio tangente, e dunque non ha senso operare una differenza tra vettori tangenti semplicemente componente per componente, otterremmo come derivata del campo vi un oggetto che non è più interpretabile sulla varietà M, dal momento che "uscirebbe" dallo spazio tangente. Per ovviare a questo problema dobbiamo capire quindi come "spostare" i vettori tangenti parallelamente a se stessi lungo una curva tracciata su M; per quanto visto questo spostamento in generale modificherà le componenti vi.

Spostamento per parallelismo

L’idea è quella di operare prima su una superficie S immersa in R3, in modo da visualizzare meglio come si procede. Sia quindi S una superficie regolare in R3, immagine di una mappa regolare r : A →R3, con A aperto di R2. Denotiamo con ∂i la derivata parziale rispetto alla variabile xi. Diamo come prima un campo V di vettori tangenti dato da

V = ∑iviir    (1)

e una curva xi=xi(t), per t che varia in (a,b). Allora si trova, derivando la (1) con un conto abbastanza semplice,

dV/dt = ∑k (dvk/dt + ∑ijvi Γijk dxj/dt) ∂kr + n ∑ij vi aij dxj/dt    (2)

dove gij = <∂ir,∂jr> (tensore metrico indotto dal tensore euclideo standard di R3),

Γijk = 1/2 ∑h ghk (∂jgih+∂igjh-∂hgij)       (simboli di Christoffel)

n è il versore normale alla superficie S e aij sono opportuni coefficienti che non ci interessano. La decomposizione (2) esplicita quale sia la componente di dV/dt lungo il piano tangente (generato dai vettori ∂kr) e la componente ortogonale al piano tangente. Il campo di vettori V si sposta per parallelismo lungo la curva xi=xi(t) se la derivata dV/dt non ha componente tangenziale, ovvero il campo V non varia "rispetto al piano tangente": questo è il modo corretto di generalizzare l’idea di trasporto parallelo al caso di una superficie. In formule vi si sposta per parallelismo lungo la curva xi=xi(t) se

dvk/dt + ∑ijvi Γijk dxj/dt=0    per k=1,2.   (3)

Osserviamo che l’equazione del parallelismo (3) può anche essere data su una varietà riemanniana generica, dal momento che sono coinvolte solo le coordinate locali xi e il tensore metrico (nei simboli di Christoffel). Dunque la formula (3) diventa la definizione di spostamento parallelo anche su una varietà riemanniana (M,g). Svincolandosi dalla curva di trasporto la (2) può anche essere scritta nel modo più suggestivo

dvk = -∑ijvi Γijk dxj   (4)

la quale dice che per spostare il vettore vk nel vettore ad esso parallelo ed infinitamente vicino, dobbiamo applicargli un incremento dvk pari a -∑ijvi Γijk dxj: tale incremento in generale non è nullo, quindi lo spostamento parallelo nel caso generale, come è giusto che sia per quanto abbiamo osservato all’inizio, cambia le componenti del vettore tangente. Osserviamo che nel caso di Rn riferito a coordinate cartesiane ortogonali dal momento che si ha Γijk=0 ovunque ritroviamo che un vettore tangente si sposta per parallelismo se dvk=0, ovvero se le sue componenti non variano.

Derivata covariante (connessione affine)

Finalmente siamo pronti per analizzare come derivare un campo di vettori tangenti vi ad una generica varietà riemanniana (M,g) lungo una curva xi=xi(t), per t che varia in (a,b). Per capire la definizione faremo un ragionamento euristico. Consideriamo il vettore tangente vi(t) ed il vettore vi(t+dt) applicati rispettivamente nel punto p(t) e nel punto p(t+dt). Allora come detto all’inizio del discorso non possiamo operare la differenza vi(t+dt)-vi(t) componente per componente ma dobbiamo prima spostare il vettore vi fino a portarlo, parallelamente a se stesso, applicato nel punto p(t+dt). Ne segue che la vera differenza da operare è data da

vk(t+dt) – (vk(t) – ∑ijvi(t) Γijk dxj) = vk(t+dt) – vk(t) + ∑ijvi Γijk dxj = ∑jjvkdxj + ∑ijvi Γijk dxj =

= ∑j (∂jvk + ∑ijvi Γijk) dxj.

La quantità ∂jvk + ∑ijvi Γijk è quindi un tensore di tipo (1,1), detto derivata covariante del campo vi, e viene anche denotata con ∇jvk. Nel caso della superficie quindi la derivata covariante di un campo di vettori tangenti coincide con la proiezione ortogonale sul piano tangente della derivata totale ordinaria; nel caso invece di Rn riferito a coordinate cartesiane ortogonali si ha ∇jvk=∂jvk ovvero la derivata covariante, come è giusto che sia, coincide con la derivazione ordinaria.

Osservazione. Spesso in letteratura, specie la più moderna, si attribuisce alla derivazione covariante il termine connessione affine. Questo termine è dovuto al fatto che la derivata covariante permette di caratterizzare quali curve hanno come vettore tangente un vettore che si sposta per parallelismo lungo la curva stessa; infatti in tal caso deve essere, dalla (3), 

d2xk/dt + ∑ij Γijk dxi/dt dxj/dt=0,   k=1,2

che è l’equazione delle geodetiche, ovvero le linee che su M "equivalgono" a ciò che in Rn sono le rette. Dunque lo spostamento infinitesimo parallelo (4), che è ciò che caratterizza lo "spostamento" della derivazione covariante rispetto alla derivata ordinaria, fornisce l’elemento infinitesimo (connessione) di una geodetica se il vettore che si sta spostando è il vettore tangente alla curva di trasporto. 

 


1Oggi, sui testi più moderni di geometria riemanniana, si tende a presentare la teoria della derivazione covariante e conseguenze (trasporto parallelo, geodetiche, curvatura) in modo puramente algebrico e completamente intrinseco, senza alcun riferimento, nelle definizioni, alle coordinate locali. Si tratta senza dubbio del modo più corretto di presentare oggi la teoria, ma a volte a scapito di una comprensione effettiva delle idee che stanno sotto alle definizioni intrinseche.

Un commento

  1. Sono un ex insegnante di matematica ora in pensione e , in tempi ormai molto lontani,studiai la geometria differenziale spiegata con gli strumenti formali moderni il cui utilizzo lascia poco spazio all’intuizione.
    Mi congratulo,perciò, con la tua esposizione chiara ed esaustiva che ogni studente, alle prese con la derivata covariante,dovrebbe leggere.

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