Per Hume, la relazione di causa ed effetto ci autorizza a pensare solo ad una congiunzione tra fenomeni: all’ uno segue l’ altro, ma l’ idea di una connessione necessaria è del tutto arbitraria. Insomma, nulla nella causa noi conosciamo che corrisponda a un potere da cui si possa inferire quel che seguirà. Per le scienze è ancora valida questa critica?

Dell’interessante e complessa tematica proposta dal lettore nella sua domanda mi ero occupato diversi anni fa in un articolo pubblicato sulla rivista Nuova Secondaria (S. Fuso, “Il concetto di causa tra filosofia e scienza”, Nuova Secondaria n. 3-XV, p.87, 1997). Mi permetto pertanto di rispondere al lettore riportando per intero detto articolo.
 
A distanza di oltre 13 anni, ritengo solo di dover un po’ ridimensionare il ruolo delle scienze del caos e della complessità di cui parlo verso la fine dell’articolo. All’epoca in cui lo scrissi, il “nuovo paradigma della complessità” sembrava molto promettente e appariva imminente una vera e propria rivoluzione epistemologica. Oggi, nonostante gli indubbi e interessanti contributi forniti dalle scienze del caos e della complessità, certe estrapolazioni epistemologiche di essi appaiono un po’ forzate.
 
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IL CONCETTO DI CAUSA TRA FILOSOFIA E SCIENZA
 
Silvano Fuso
 
Nuova Secondaria n. 3-XV, p.87, 1997
 
 
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Ogni tentativo di comprensione del mondo, sia esso scientifico, filosofi­co o teologico, fa necessariamente uso del concetto di causa. Qualsiasi spiega­zione dei fenomeni si riduce alla ricer­ca di una catena di causalità e la diversa interpretazione che si fornisce di tale catena determina le diverse concezioni del mondo che possiamo elaborare.
II filosofo francese Hippolyte Taine, nel 1857. scrisse: «Se voi intendete per causa una certa cosa, avrete una certa idea dell’universo, e se voi intendete per causa una cosa differente, avrete un’i­dea differente della scienza e dell’uni­verso»1.
Se il ruolo centrale svolto dal concetto di causa nei tentativi di costruire una «weltanschauung» è fuori discussione, ben più opinabile è il significato che dobbiamo attribuire a tale concetto. Data troppo spesso per scontato e per auto-evidente, il concetto di causa è ben lungi dall’avere un’interpretazione uni­voca.
In uno dei suoi ultimi scritti, Ludovico Geymonat, di fronte alla domanda «che cosa vuol dire causa?» rispondeva: «Io credo che su questo punto noi siamo molta incerti perche non sappiamo neanche noi quale sia la risposta giusta, anche perche diverse risposte si sono in­trecciate fra di loro»2.
 
Nel presente articolo ci proponiamo di analizzare le principali problematiche sollevate dal concetto di causa, riferen­doci alle diverse concezioni che sono state elaborate storicamente. In partico­lare. dopa aver sottolineato le principali differenze tra interpretazioni filosofiche e scientifiche, si cercherà di illustrare quale concetto di causa possa emergere dalle più recenti conquiste della scienza moderna.
 
Le concezioni filosofiche
 
Dal punto di vista etimologico, il ter­mine causa sembra derivare dal lati­no «caveo» che, a sua volta, traduce il greco «aitia»3. Tale termine, di natura giuridica, significa imputazione, accusa, ovvero azione volontaria di cui l’autore è responsabile (l’uso giuridico del ter­mine causa riproduce ancora oggi l’an­tico significato). Ampliandone il signifi­cato, il pensiero filosofico (soprattutto ad opera degli atomisti greci) estende il termine causa al mondo dei fenomeni, per indicare una correlazione necessaria tra l’esistenza di due eventi.
La prima trattazione sistematica del concerto di causa si ritrova in Aristotele. Nella «Fisica» egli individua quattro tipi di causa che, nella successiva tratta­zione medievale, verranno indicati come: causa efficiente, causa finale, causa formale e causa materiale. Particolarmente importante e la distin­zione tra causa efficiente e causa finale. La prima sta a indicare l’agente che pro­duce il fenomeno, mentre la seconda rappresenta lo scopo ultimo per cui un dato evento si verifica.
La filosofia medievale riprende e arric­chisce le concezioni aristoteliche di causa. Ai quattro tipi vengono aggiunte molte altre distinzioni quali: cause di­rette e indirette, univoche ed equivoche, universali e particolari. Viene inoltre posta in risalto la differenza, di origine platonica, tra «cause prime» e «cause seconde». La causa prima, spiegazione ultima di ogni fenomeno, viene identifi­cata con Dio. Tale nozione viene posta dagli scolastici alla base della «prova cosmologica» dell’esistenza di Dio e della «contingenza del mondo». Le «cause seconde» rappresenterebbero in­vece dei semplici anelli intermedi della catena causale che da Dio arriva sino ai singoli eventi.
La distinzione tra «cause finali» e «cause efficienti» e tra «cause prime» e «cause seconde» è di fondamentale im­portanza. Potremmo dire che su di essa è possibile individuare il confine tra fi­losofia e scienza. Mentre la scienza si è tradizionalmente limitata alla ricerca delle cause efficienti e delle cause se­conde, al contrario la filosofia si propo­ne di indagare sulle cause finali e sulle cause prime. Tale schematizzazione, tuttavia, risulta eccessivamente sempli­cistica e, come vedremo, la scienza con­temporanea sembra condurre a un suo superamento.
 
II pensiero moderno anziché preoccu­parsi della classificazione sistematica dei diversi tipi di causa, caratteristica dell’antichità e del medioevo, concentra l’attenzione su un’altra problematica. Quando tra due eventi individuiamo un rapporto di causalità, tale rapporto esprime un legame necessario o, al con­trario, solo una connessione di fatto? In altre parole la causalità è insita nell’esi­stente o è una pura ipotesi da noi formulata, proiettando nella realtà quella che sarebbe soltanto un’abitudine psico­logico-associativa umana?
Una critica al concetto di causa inteso come connessione necessaria era già stata avanzata dai filosofi scettici dell’antichità e, nel Medioevo, da Gugliel­mo di Occam e al-Ghazali. Nel Sette­cento tale critica viene sviluppata dalla scuola empirista e, in particolare, da David Hume4. Per il filosofo scozzese l’idea di causa non ha altra origine se non l’esperienza e non può in nessun modo essere dedotta per mezzo del ragionamento astratto o della riflessione. Quando affermiamo che «l’evento A causa l’evento B», siamo legittimati sol­tanto dall’evidenza empirica che, ogni volta che si verifica A, ci fa constatare il verificarsi di B. L’origine empirica del concetto di causa crea notevoli problemi alla generalizzazione e universalizza­zione di un nesso di causalità. Infatti per numerose che siano le osservazioni che ci fanno associare il verificarsi di A a quello di B, esse saranno sempre neces­sariamente finite. Che cosa ci autorizza quindi ad affermare che «tutte le volte» che si verifica A si verifica anche B? Queste considerazioni fanno emergere lo stretto rapporto di parentela esistente tra il concetto di causa e il principio di induzione5, considerato tradizionalmen­te il fondamento di tutte le scienze em­piriche. Tale rapporto è stato chiaramen­te evidenziato, già nel secolo scorso, da John Stuart Mill.
 
La concezione scientifica classica
 
Mentre le concezioni dell’idea di causa sono state numerose nella sviluppo del pensiero filosofico, in am­bito scientifico (almeno nella scienza classica) si assiste a una sostanziale unanimità di interpretazione.
Si è già detto che l’approccio scientifi­co, ignorando la ricerca delle cause prime e finali, si limita allo studio delle cause efficienti e seconde. Una esposi­zione particolarmente chiara del concet­to scientifico classico di causa si ritrova già in Galileo: «Causa e quella, la quale posta, seguita l’effetto. Ora, una palla di piombo va al fondo; fatta in forma di ca­tino non va: domando la causa del non andare»6. Nel seguito del brano, nel ten­tativo di rispondere alla domanda che si è posto, Galileo illustra il procedimento empirico («sensata esperienza») e i ragionamenti («dimostrazioni. necessa­rie») che gli fanno identificare nell’aria contenuta nel catino la causa del suo non andare a fondo.
 
L’idea di causa nella scienza classica è definita in modo sostanzialmente opera­tivo e non viene indagata nella sua natu­ra. Ciò nonostante essa viene eretta a paradigma dell’intero edificio della meccanica, che rappresenta la più pode­rosa creazione della scienza classica e che fungerà a lungo da modello per gli altri settori dell’impresa scientifica.
 
L’affermazione della causalità nella scienza classica conduce necessaria­mente a una visione del mondo rigida­mente deterministica che trova la sua massima espressione nell’opera di P.S. de Laplace.
II rigido determinismo della scienza classica, nonostante i suoi numerosi successi in molti campi, creava tuttavia non poche difficoltà. Alla sua estensione in campo filosofico, attuata soprattutto dal positivismo, si opposero numerosi autori. Da un lato il contingentismo, con E. Boutroux, negava valore assoluto alla causalità poiché di origine esclusiva­mente empirica e poiché incapace di spiegare gli elementi di «novità» che si riscontrano nel reale. Dall’altro l’empi­riocriticismo, soprattutto ad opera di E. Mach, proponeva di sostituire il concet­to di causa con quello, meno carico di significati metafisici, di funzione mate­matica. Sulla stessa linea si muoverà B. Russell che afferma: «Indubbiamente il motivo per cui la vecchia "legge di cau­salità" ha continuato così a lungo a per­vadere i libri dei filosofi è semplice­mente questo: l’idea di una funzione non è familiare alla maggior parte di loro … La costanza delle leggi scientifi­che non consiste in nessuna analogia di cause ed effetti, bensì in una analogia di rapporti. E anche "analogia di rapporti" è una frase troppo semplice; "analogia di equazioni differenziali” è l’unica frase corretta»7. Ancora più drastica fu la posizione di L. Wittgenstein che, nella proposizione 5.1361 del Tracta­tus, afferma: «La credenza nel nesso causale è la superstizione»8.
 
L’idea di causa nella scienza moderna e contemporanea
 
La scienza del nostro secolo è stata, ed è, protagonista di profonde trasfor­mazioni che hanno completamente rivo­luzionato le nostre conoscenze sulla realtà. La teoria della relatività e la mec­canica quantistica agli inizi del secolo hanno dimostrato l’illusorietà e il sem­plicismo insiti nell’immagine del mondo costruita dalla scienza classica. Ai nostri giorni, poi, si assiste a un’ul­teriore rivoluzione rappresentata dalle nascenti «scienze del caos e della com­plessità» che consentono lo studio di fe­nomeni tradizionalmente considerati «non trattabili» dalla scienza.
È quindi inevitabile che il dibattito sui concerto di causa abbia ricevuto nuovi stimoli e impulsi dai pili recenti risulta­ti scientifici9.
La relatività, nonostante l’abbattimento dei concetti di spazio e tempo assoluti, non ha prodotto grossi cambiamenti sull’idea di causalità. La coordinazione spazio-temporale dei diversi osservatori, infatti, sebbene comporti numerose conseguenze lontane dal senso comune, non può in nessun caso rovesciare la sequenza causale tra due eventi. Di conse­guenza la relatività è perfettamente compatibile con una visione determini­stica del mondo.
Ben diverso e il discorso per la mecca­nica quantistica. Essa e assolutamente incompatibile con una rigida visione de­terministica e mette fortemente in crisi I’idea tradizionale di causa. Questo suc­cede non perche la meccanica quantisti­ca sia una teoria intrinsecamente inde­terministica, come sovente viene affer­mato. Essa infatti a livello di singola funzione d’onda è perfettamente in grado di predire la stessa negli istanti successivi. Tuttavia la conoscenza della funzione d’onda ci consente solamente di calcolare una distribuzione di proba­bilità dei valori delle singole grandezze osservabili. L’impossibilita di previsioni certe e la necessita di ricorrere a previ­sioni statistiche non eliminano comple­tamente la causalità, ma ne modificano fortemente il significato. In meccanica quantistica si parla di «determinismo statistico»10 ed è stato proposto di sosti­tuire il termine «causa» con quello di «influenza». «Gli eventi A influenzano (in modo apprezzabile) gli eventi B se e solo se la frequenza con cui questi si ve­rificano differisce (in modo apprezzabi­le) a seconda che si imponga o meno agli eventi di A di esistere»11.
Altre serie difficoltà nel conservare il concetto tradizionale di causa si incon­trano di fronte alla cosiddetta «non se­parabilità» quantistica12. II concetto tra­dizionale di causa presuppone infatti la possibilità di isolare i singoli eventi e vedere quali tra essi sono correlati da un rapporto causale. La meccanica quanti­stica dimostra sostanzialmente l’impos­sibilita di concepire un evento isolato. Se «tutto influenza tutto», si capisce come il concetto di causa svanisca.
 
Da poco più di vent’anni in ambito scientifico si sta assistendo a una ulte­riore rivoluzione concettuale, che sta modificando profondamente il modo in cui tradizionalmente la scienza ha con­siderato la realtà13.
Uno degli assunti di base della scienza classica, che ha tuttavia resistito anche all’impatto della relatività e della mec­canica quantistica, è l’ottimistica fidu­cia di poter dominare i fenomeni e di poterne prevedere pertanto l’evoluzio­ne, sia pure in modo statistico. Tale fi­ducia ha come suo fondamento la con­vinzione che nella natura regni un ordi­ne sostanziale e che tale ordine possa essere messo in evidenza dall’attività scientifica. Si è da sempre ritenuto che eventi semplici debbano avere cause semplici e che eventi complessi debba­no la loro origine a cause altrettanto complesse. La scienza moderna ha tut­tavia dimostrato come tale fiducia deri­vi semplicemente dal fatto che si è sem­pre fatto riferimento a modelli ipersem­plificati dalla realtà. La maggior parte dei fenomeni naturali sono ben lontani dall’astratta idealità costruita tradizio­nalmente dalla scienza. Anche fenomeni descritti da leggi semplici possono in realtà seguire evoluzioni future assolu­tamente imprevedibili e finire pertanto per essere completamente caotici. Anticipazioni ante litteram di ciò che la scienza contemporanea sta sviluppando si ritrovano già nell’opera di un autore degli inizi del ‘900: l’illustre matematico francese Henri Poincare. Poincare si rese perfettamente conto dell’esistenza di fenomeni caotici e cercò di conciliare caos e determinismo con il concetto di «imprevedibilità a lungo termine». Egli così si esprime: «Una causa così picco­la da sfuggire alla nostra attenzione può determinare un effetto considerevole che non possiamo ignorare; in una tale situazione noi diciamo che l’effetto e dovuto al caso. [ … ] può infatti accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali producano un errore enorme in quelle successive. La predizione diventa impossibile [ … ]»14.
L’esistenza dell’imprevedibilità condu­ce Poincare a pronunciarsi con molta cautela sulla tendenza alla generalizza­zione tipica delle scienze empiriche che, come abbiamo visto, risulta strettamen­te legata al concetto di causa e al princi­pio di induzione. Egli afferma: «Così, grazie alla generalizzazione, ogni fatto osservato ce ne fa prevedere un gran nu­mero; solamente non dobbiamo dimen­ticare che solo il primo e certo e che tutti gli altri non sono che probabili». E conclude: «Ma la probabilità e spesso molto grande per cui praticamente noi possiamo accontentarci. Meglio prevedere senza certezza che non prevedere affatto»15.
La scienza e in generale la cultura tradi­zionale hanno sempre attribuito al caos una connotazione negativa, la scienza moderna ha invece mostrato come il caos possa, al contrario, essere profon­damente fecondo.
L’ordine porta a evoluzioni prevedibili ed è pertanto piuttosto sterile. II caos in­vece consente scelte impreviste e con­duce a novità. I sistemi complessi, che costituiscono la totalità del reale, pos­siedono il giusto equilibrio tra caos e determinismo e ciò consente loro conti­nue diversificazioni e adattamenti che conducono alla miriade di forme che ci circonda.
A questa proposito va anche ricordata la fondamentale opera del fisico-chimico belga Ilya Prigogine sulla termodinami­ca di non equilibrio16. Sistemi aperti, lontani dall’equilibrio, possono condur­re a situazioni altamente ordinate in se­guito a fluttuazioni che, in condizioni di equilibrio, verrebbero invece rapida­mente smorzate («ordine mediante flut­tuazioni»). Questa nuova concezione consente di osservare con luce diversa quei tipici sistemi aperti, lontani dall’e­quilibrio, che sono gli organismi viven­ti, da sempre considerati enigmi fisici. Si capisce come di fronte al nuovo pa­norama culturale proposto dalle scienze del caos e della complessità, il tradizio­nale concetto di causa debba essere profondamente rivisto. L’antica illusio­ne dell’uomo di inquadrare la realtà in un rigido schema di causalità appare de­finitivamente infranta. Tuttavia tale con­statazione, anziché farci precipitare in una cupa ignoranza nei confronti della realtà, aumenta paradossalmente la no­stra capacita di comprensione del mondo17. Le scienze del caos e della complessità hanno infatti permesso di interpretare e razionalizzare in un unico quadro concettuale tutta una serie di fe­nomeni diversissimi tra loro e tradizio­nalmente esclusi dal dominio scientifico.
 
Finalismo in ambito scientifico
 
Nei paragrafi precedenti abbiamo sommariamente delineato le princi­pali problematiche sollevate dal concet­to di causa, che sono via via emerse nel pensiero filosofico e scientifico. Si e visto che in ambito scientifico e sempre stata dominante la ricerca delle cause efficienti e seconde, evitando di interro­garsi sulle cause prime e finali, di dominio del pensiero filosofico e teologico. Ciò non esclude che residui di finalismo siano occasionalmente comparsi anche in ambito scientifico.
In campo biologico, ad esempio, dove sembra dominare una certa «progettua­lità» o «teleonomia»18 dei sistemi, sono costantemente emerse interpretazioni fi­nalistiche e teleologiche. La stessa termodinamica, con il suo secondo princi­pio, sembra suggerire che il raggiungimento di uno stato di equilibrio rappre­senti l’inevitabile destino ultimo di ogni sistema.
Manifestazioni ancora più palesi di un ritorno di finalismo si sono avute recen­temente in campo cosmologico. II di­scusso «principio antropico»19 sostiene che l’universo è fatto in un certo modo solamente perche, altrimenti, non ci sa­rebbe nessuno in grado di osservarlo e di porsi domande su di esso.
Ora, alla luce delle recenti conquiste delle scienze del caos e della comples­sità, la rigida distinzione tra causa effi­ciente e causa finale appare sfumare. La stessa diade «causa ed effetto» manifesta sintomi di vetustà e appare forse più pro­ficuo sostituirla con quella di «vincolo e possibilità». Anche il concetto di legge scientifica perde il suo carattere «pre­scrittivo» e «necessitante» per acquista­re il significato di espressione dei vinco­li e dell’insieme di «possibilità» consen­tite a un sistema in evoluzione20.
II «caos deterministico» (curioso, ma efficace; ossimoro) sembra dominare il mondo. Un rigido determinismo porte­rebbe l’universo incontro a un destino programmato. Un caos totale impedireb­be ad alcunché di realizzarsi. Per qual­che oscura ragione l’universo presenta una oculata miscela di caos e determini­smo che garantiscono l’insorgere di no­vita e il loro successivo adattamento.
Le scienze del caos sono solo agli inizi. Molta strada deve essere ancora percor­sa. I sistemi studiati sino a oggi sono prevalentemente macroscopici e, come tali, trattabili nell’ambito della fisica classica. Poco si sa di come agisca il caos deterministico a livello microsco­pico. L’incontro tra scienza del caos e meccanica quantistica si preannuncia gravido di conseguenze innovative. Nonostante le scienze del caos siano di­scipline molto giovani, il loro impatto culturale e già evidente. Il nuovo «para­digma della complessità»21, imponendo una revisione dell’antico concetto di causa e delle sue tradizionali distinzioni, decreta inevitabilmente una revisione della rigida distinzione tra scienze della natura e scienze umane. Esso permette in­fatti di superare anche la tradizionale di­cotomia tra il «riduzionismo» delle scien­ze della natura e l’«olismo» tipico delle scienze umane per giungere finalmente ad una visione unitaria della realtà. Sebbene il concetto di causa, alla luce delle profonde innovazioni prodotte dalla scienza contemporanea, risulti for­temente modificato, una sua completa rinuncia appare impossibile.
L’idea stessa di scienza, intesa come tentativo di esplicazione e predittività del reale, si basa su quello che Mario Bunge ha definito «principio di determi­nazione» il quale, però, non necessariamente coincide con un determinismo causale. Tale principio di determinazio­ne generale si limita ad affermare che la realtà non e un insieme anarchico di eventi e che, di conseguenza, la scienza ha la sua ragione di essere. La stessa scienza del caos, pur riconoscendo la caoticità di certi fenomeni, riesce in qualche misura a dominarla.
In quest’ottica sembrano ancora attuali le parole con cui il fisico ed epistemologo argentino (che al concetto di causa ha de­dicato tante energie) concludeva la sua importante opera sulla causalità: «Il prin­cipio causale non è quindi né una pana­cea né un mito; è un’ipotesi generale sus­sunta sotto il principio universale di de­terminazione e comportante, nel dominio che è il suo, una validità approssimata»22.
 
 
Riferimenti e note
 
1) H. Taine, Les philosophe classique de XIX siecle en France, Parigi 1901, p. VI.
 
2) L. Geymonat, “Considerazioni intorno al con­cetto di causa”. In: AA. VV. Pensiero scientifico e filosofico, Franco Muzzio, Padova 1993, pp. 85-91.
 
3) Una approfondita trattazione del concetto di causa e della sua evoluzione storca si trova alla voce «Causa» dell’Enciclopedia Filosofica Sanso­ni, Firenze 1979 (8 voll.).
 
4) La critica humeana la concetto di causa viene soprattutto sviluppata nel Treatise on Human Nature (1739-1740), (traduzione italiana a cura di A. Carlini e E. Lacaldano in: D. Hume, Opere filosofiche, vol. I, Laterza, Bari 1993).
 
5) Per un’approfondita analisi della discussione sul principio di induzione nell’ambito dell’epistemologia contemporanea si veda: D. Gillies e G. Giorello, La filosofia della scienza del XX secolo, Laterza, Bari 1995 (parte prima, capp. 1-3, pp.5-90).
 
6) G. Galilei, Opere, Edizione Nazionale, III, Firenze 1890-1909. p. 27.
 
7) B. Russell, Misticismo e logica, Longanesi, Milano 1980. p. 183.
 
8) L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino 1974.
 
9) A questo proposito, un’opera fondamentale (scritta agli inizi degli anni Sessanta e quindi prima dello sviluppo delle scienze del caos e della complessità) è la seguente: M. Bunge, La causa­lità: il posto del principio causale nella scienza moderna, Boringhieri, Torino 1970.
 
10) B. D’Espagnat ha formulato nel modo seguen­te il principio di determinismo statistico: «Se due insiemi statistici di sistemi fisici sono sottoposti a trattamenti identici e se osservazioni successive rivelano tra essi significative differenze statistiche se ne trae l’implicazione che i due insiemi non erano identici all’inizio». (B. D’Espagnat, I fondamenti concettuali della meccanica quantistica, Bibliopolis, Napoli 1980, p. 46).
 
11) B. D’Espagnat, Alla ricerca del reale, Boringhieri, Torino 1981, p.225.
 
12) Si veda. ad esempio: B. D’Espagnat, I fondamenti concettuali della meccanica quantistica, op. cit. (parte terza, capp. VIII-XIII. pp. 103-208).
 
13) Un resoconto «giornalistico» della nascita e dell’evoluzione di questa «rivoluzione concettua­le» si trova in: J. Gleick, Caos, Rizzoli. Milano 1989. Si veda inoltre: G. Casati, «II caos: le leggi del disordine». in AA.VV. Pensiero scientifico e pensiero filosofico, op. cit. pp. 121-133 e D. Ruelle, Caso e caos, Boringhieri, Torino 1992. Infine un’utile introduzione agli aspetti matemati­ci che regolano i sistemi caotici si trova in: D.R. Hofstadter, “Strani attrattori: schemi matematici collocati tra l’ordine e il caos”, Le Scienze 162, febbraio 1982, pp. 96-105.
 
14) H. Poincaré, Science el Methode, Flamma­rion, Parigi 1908, cap. IV, p.68.
 
15) H. Poincarè, La Science et l’Hypothèse, Flammarion, Parigi 1902, parte IV. cap. IX, p. 171.
 
16) Si veda. ad esempio: I. Prigogine, La nuova alleanza. Uomo e natura in una scienza unificata, Longanesi, Milano 1981.
 
17) Per le conseguenze epistemologiche delle nuove scienze del caos e della complessità si veda:
M. Ceruti, Il vincolo e la possibilità, Feltrinelli, Milano 1992.
 
18) Una approfondita trattazione di queste pro­prietà dei sistemi biologici e delle diverse interpretazioni che tradizionalmente ne sono state for­nite si trova nel classico: J. Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano 1981. Per un esame del concetto di causa in biologia si veda anche il classico «La meccanica dell’evoluzione e il pro­blema causale in biologia» in E. Cassirer, Storia delia filosofia moderna, II Saggiatore, Milano 1969. vol. IV, libro II. cap. 5.
 
19) Si veda ad esempio: G. Gale, “II principia an­tropico”, Le scienze, 162, febbraio 1982, pp. 62-73.
 
20 Per un approfondito esame di questo nuovo paradigma e per una informazione bibliografica completa si veda: M. Marsonet, “II nuovo para­digma della complessità”, Nuova Secondaria, 4, anno XII, 15 dicembre 1994, pp. 55-58.
 
21) M. Ceruti, op. cit. cap. 4, § 3, pp. 127-134.
 
22) M. Bunge, op. cit., cap. 13, § 5, p. 381.