Qual’è la principale causa della rotazione di un pianeta? e quali le cause che rendono ugualmente possibili una rotazione in 24 h. o migliaia di rotazioni al secondo, anche per corpi di massa spaventosamente maggiore di quella terrestre?

Per rispondere alla domanda è necessario compiere un breve excursus preliminare sullo stato dell’arte relativo alle teorie di formazione dei sistemi stellari e planetari.

La teoria oggi più accreditata, in quest’ambito, è la cosiddetta "teoria nebulare", la quale venne proposta per la prima volta, in forma qualitativa, da Immanuel Kant nella sua opera “Storia universale e teoria del cielo” del 1755. In base a questa teoria (vedi anche la risposta di Alessio Bartolini http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=6528 ) le stelle e i relativi sistemi planetari, quando presenti, si formano per contrazione gravitazionale a partire da vaste nubi relativamente fredde e rarefatte, composte prevalentemente di polveri e gas di elementi leggeri (idrogeno ed elio) e dotate di momento angolare iniziale non nullo.

Il dettaglio dei fenomeni fisici connessi con i primi stadi di contrazione della protonube è tuttora in gran parte da chiarire, tuttavia a grandi linee, almeno per quanto riguarda il sistema solare, si ritiene che la formazione del protosole abbia lasciato come residuo un disco composto prevalentemente di gas e polveri da cui per successiva accrezione, prima tramite forze di natura elettrostatica poi gravitazionale, si sarebbero formati dei planetesimi solidi con dimensioni dell’ordine del km, i quali si sarebbero successivamente uniti, per via delle mutue interazioni gravitazionali, andando a costituire infine i pianeti che vediamo oggi.

La notevole diversità di composizione tra i “pianeti rocciosi” (Mercurio, Venere, sistema Terra-Luna, Marte) e i “giganti gassosi” (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) è determinata in questo scenario dalle differenti condizioni fisiche presenti nelle diverse zone del disco protoplanetario all’epoca della formazione del sistema solare, caratterizzate da temperature più alte vicino al centro e più basse in periferia, le quali avrebbero favorito la concentrazione delle sostanze meno volatili nelle regioni più vicine al protosole e di quelle maggiormente volatili nelle regioni più lontane.

Un importante vincolo di natura fisica che sovrintende alla progressiva contrazione della protonube, consentendoci di realizzare un legame con le proprietà di rotazione dei pianeti, è costituito da una legge di conservazione fondamentale valida per i sistemi meccanici: il principio di conservazione del momento angolare.

Per un sistema meccanico costituito di N punti materiali, P1, … PN il momento angolare è espresso dalla relazione vettoriale:

L =   =                            (1)   

dove posizioni (ri), quantità di moto (pi) e velocità (vi) si riferiscono a un sistema di riferimento inerziale.

Se il sistema meccanico è dotato di simmetria sferica e ruota attorno a un asse istantaneo passante per il centro di massa (in prima approssimazione è il caso dei pianeti) l’espressione per il momento angolare assume la forma più semplice:

L =                                                                    (2)

dove I indica il momento d’inerzia e  il vettore velocità angolare del corpo, entrambi riferiti all’asse istantaneo di rotazione.

La seconda equazione cardinale della dinamica newtoniana stabilisce le condizioni di variazione del momento angolare di un sistema meccanico tramite la seguente relazione vettoriale:

                                     (3)

dove Nest indica il momento delle "forze esterne", ovvero di quelle forze che non sono riconducibili alle mutue interazioni tra i punti materiali costituenti il sistema. 

Dalla (3) segue immediatamente che condizione necessaria e sufficiente perché il momento angolare di un sistema meccanico si conservi è l’annullamento del momento delle forze esterne  (quelle interne sono ininfluenti).

Dal momento che, come s’ipotizza normalmente, le forze agenti durante la contrazione della protonube originaria dovrebbero essere state essenzialmente forze interne, possiamo affermare con ragionevole certezza che il momento angolare totale di quest’ultima deve essersi conservato pressoché inalterato sino ai nostri giorni.  

La conservazione del momento angolare totale non implica tuttavia che non vi siano stati, durante i primi stadi della formazione, fenomeni locali di ridistribuzione del momento angolare all’interno del disco protoplanetario. In effetti delle semplici considerazioni quantitative effettuate sulla base delle caratteristiche fisiche dei corpi del sistema solare dimostrano chiaramente che tale ridistribuzione si è verificata. Lo possiamo constatare stimando il momento angolare complessivo del sistema solare come somma di una componente “rotazionale” (di spin) e di una componente “orbitale” (relativa al moto di rivoluzione attorno al centro di massa dell’intero sistema, che coincide in buona approssimazione con il centro di massa del Sole) dei principali corpi che ne fanno parte.

Per quanto riguarda la componente “rotazionale” emerge che i principali contributi provengono rispettivamente dal Sole, Giove e Saturno:

L(rot)Sole       = 1,6•1040 (kg•m2)/s
L(rot)Giove    = 4,5•1038 (kg•m2)/s
L(rot)Saturno = 7,7•1037 (kg•m2)/s
 
mentre relativamente alla componente “orbitale” i contributi dominanti sono quelli di Giove e Saturno:
 
L(orb)Giove    = 1,9•1043 (kg•m2)/s
L(orb)Saturno = 7,9•1042 (kg•m2)/s
 
Mettendo a confronto i numeri riportati sopra si deduce immediatamente che:
 
1)      la parte preponderante del momento angolare attuale del sistema solare è detenuta dai pianeti, con il Sole che contribuisce solo per una frazione minima al totale;

2)      in particolare, la gran parte del momento angolare attuale è contenuta nella componente “orbitale” dei pianeti, soprattutto Giove e Saturno.

Il moto di rotazione dei pianeti attorno al proprio centro di massa è quindi interpretabile (a posteriori) come una conseguenza diretta della ridistribuzione di una parte molto piccola del momento angolare iniziale della protonube da cui ebbe origine il sistema solare. La natura della specifica distribuzione delle rotazioni che osserviamo nei principali corpi del sistema solare non è tuttavia spiegabile quantitativamente sulla base di un modello fisico dettagliato e ci appare inevitabilmente come il risultato finale, realizzatosi attraverso un lungo processo storico-evolutivo, di una numerosa serie di fenomeni ed eventi succedutisi a partire dall’alba della formazione del sistema solare.
 
Esistono tuttavia alcune regolarità che caratterizzano le  differenti velocità di rotazione dei “pianeti rocciosi” e dei “giganti gassosi”, “rotatori lenti” i primi e “rotatori veloci” i secondi, le quali possono essere motivate sulla base di una pluralità di meccanismi fisici differenti:
 

1)      la risonanza spin-orbita per Mercurio (periodo di rotazione di 58,6 giorni);

2)      un probabile urto catastrofico con un planetesimo di grosse dimensioni per Venere (periodo di rotazione, retrogrado di 243 giorni) ;

3)      l’azione delle maree lunari, che sottraggono momento angolare al nostro pianeta, per il sistema Terra-Luna, con il momento angolare orbitale della Luna rende conto di circa l’80% del momento angolare complessivo dell’intero sistema, pari a circa 3,6*10^34 (kg*m^2)/s (periodo di rotazione della Terra di 1 giorno);

4)      ancora un urto catastrofico nel caso della particolarità del moto rotazionale di Urano (asse di rotazione fortemente inclinato sull’eclittica).

La conservazione del momento angolare è anche alla base della spiegazione dell’enorme velocità angolare di rotazione delle pulsar (con periodi di rotazione che possono raggiungere il millisecondo, ovvero una frequenza di circa 1000 giri al secondo), le quali sono interpretate come stelle di neutroni: oggetti compatti e ultradensi caratterizzati da un raggio di circa 20 km e una massa dell’ordine delle 2 masse solari (MSole = 2•1030 kg ), la cui origine viene ricondotta al collasso catastrofico del nucleo ferroso di stelle massicce alla fine della loro vita, accompagnato dalla contemporanea espansione esplosiva degli strati stellari più esterni (supernovae di tipo II).
 
Per ottenere una stima teorica dell’ordine di grandezza del periodo di rotazione delle stelle di neutroni, valutiamo il momento angolare attuale del nostro Sole e, imponendo la conservazione del momento angolare (se le forze di compressione, pur essendo forze esterne, sono dirette radialmente il momento angolare complessivo si conserva), deduciamo il periodo di rotazione associato a una stella di neutroni con pari massa e con un raggio di 20 km.
 
Se supponiamo il Sole come un corpo a simmetria sferica possiamo esprimere il suo momento angolare complessivo tramite la formula seguente:
 
LSole = •MSole•R2SoleSole = •MSole•R2Sole•(2•)/TSole          (4)
 
dove è un fattore numerico inferiore all’unità (vale 0,4 nel caso di una sfera perfettamente omogenea) e MSole , RSole Sole indicano rispettivamente la massa, il raggio e il vettore velocità angolare della nostra stella relativamente all’asse istantaneo di rotazione, mentre TSole è il periodo di rotazione del Sole all’equatore .
 
Il momento angolare della stella di neutroni dopo la contrazione è espresso dalle relazioni seguenti:
 
LSN = (2/5)•MSole•R2SNSN = (2/5)•MSole•R2SN•(2•)/TSN                 (5)

Imponendo l’uguaglianza delle relazioni (4) e (5), in ragione della conservazione del momento angolare, ricaviamo il rapporto tra i periodi di rotazione dei due corpi:

 
(TSN/TSole) ~ (R2SN/R2Sole) ~ (20 km/7•105 km) 2  ~ 8•10-10
 
ovvero poiché TSole ~ 25 giorni si ricava  

TSN ~ 1,7 ms (millisecondi)

Considerando che le pulsar hanno mediamente una massa circa doppia di quella solare ne discende che il momento angolare iniziale delle stelle genitrici non solo risulta sufficiente a spiegare le enormi velocità di rotazione osservate, ma potrebbe essere addirittura eccessivo, al punto che sembrerebbe necessario ipotizzare qualche meccanismo fisico in grado di consentirne una parziale dissipazione durante il collasso.