Mi sembra che la scienza si trovi sempre più di fronte a fenomeni anomali, e debba “aggiustare” le proprie teorie per spiegarli. Due esempi: il noto caso della materia oscura, ipotizzata per far “quadrare i conti” della cosmologia; il caso recente di due galassie vicine con doppler molto diverso. E’ il presagio di una prossima rivoluzione scientifica?

 L’astrofisico Halton Christian Arp

Se si studia la storia della scienza ci si rende facilmente conto che da sempre essa ha dovuto “aggiustare le proprie teorie” e che i “fenomeni anomali” che hanno determinato tali aggiustamenti non solo sono stati accettati, ma sono anche stati costantemente e ardentemente ricercati. Quindi mi sembra che in ciò che il lettore afferma non vi sia nulla di scandaloso. È nella natura della scienza rivedere continuamente se stessa qualora nuove evidenze sperimentali lo rendano necessario. La continua evoluzione che caratterizza il pensiero scientifico, e che lo contraddistingue da qualsiasi altra attività culturale umana, è proprio legata a questa sua straordinaria capacità di correggere se stesso. In ciò la scienza manifesta una profonda umiltà e apertura mentale. Il non accettare modifiche e il restare uguali a se stesse è al contrario tipico delle discipline pseudoscientifiche. Astrologia e omeopatia, ad esempio, sono oggi identiche a come erano nel momento in cui sono nate. Viceversa la chimica, la fisica, la biologia, la cosmologia odierne sono ben diverse da come erano anche soli pochi decenni fa.

Se l’evoluzione della scienza è sotto gli occhi di tutti, è altrettanto evidente che prima di mettere in discussione teorie consolidate, che hanno ripetutamente dimostrato buone capacità esplicative e predittive, occorre essere assolutamente certi della bontà delle prove a favore dell’esistenza dei fenomeni anomali che le stesse teorie non riuscirebbero a razionalizzare. Questo giustifica l’inevitabile sano scetticismo che la comunità scientifica manifesta nei confronti di quelle affermazioni che metterebbero in difficoltà teorie accettate da tempo. Questo scetticismo è tanto più giustificato quanto più numerose sono le prove a favore delle teorie che si vorrebbero mettere in discussione. Uno slogan caro agli scettici sostiene infatti che “affermazioni straordinarie richiedono prove altrettanto straordinarie”. È tuttavia ovvio che nel momento in cui le “prove straordinarie” venissero realmente presentate, anche la più accreditata teoria in contrasto con le nuove evidenze dovrebbe essere gettata alle ortiche. La storia della scienza, come già osservato, è ricca di casi del genere.

I due esempi citati dal lettore sono di natura piuttosto diversa tra loro e meritano ciascuno un commento specifico.

L’esistenza della cosiddetta “materia oscura” è stata ipotizzata per spiegare delle innegabili discrepanze sperimentali. Semplificando al massimo il problema, la discrepanza nasce confrontando la massa che si può calcolare basandosi sulla misura dell’emissione di radiazione da parte di galassie lontane e quella che si può dedurre basandosi sulla valutazione dei loro effetti gravitazionali. Questa seconda stima conduce a un valore della massa di gran lunga superiore a quello ricavabile dalla prima. Da qui si è dedotta l’esistenza della “materia oscura”, ovvero materia che non emette alcuna radiazione elettromagnetica. Secondo alcune stime, la materia oscura rappresenterebbe addirittura il 90% dell’intero universo e noi saremmo in grado di “vedere” solo un misero 10% dell’intera materia costituente l’universo. L’ipotesi della materia oscura, nonostante susciti indubbiamente ancora molti interrogativi, non mette sostanzialmente in discussione teorie consolidate ed è auspicabile (e tutto sommato abbastanza probabile) che ulteriori studi futuri ne confermeranno in modo diretto l’esistenza. Ipotizzare l’esistenza di “oggetti”, prima che essa venga dimostrata in modo diretto, è cosa comune nella scienza. Pensiamo ad esempio alla previsione dell’esistenza delle onde elettromagnetiche da parte di James Clerk Maxwell nel 1864, del germanio (ekasilicio) da parte di Dmitri Mendeleev nel 1871, o dell’esistenza del neutrino da parte di Wolfgang Pauli nel 1930.

Diverso è invece il discorso relativo alle presunte anomalie dell’effetto Doppler di galassie vicine. Non so bene a quale recente scoperta si riferisca il lettore. Il problema è stato tuttavia sollevato da tempo in campo cosmologico e il principale sostenitore di tali anomalie è l’astrofisico americano Halton Christian Arp. Arp è un rispettabile ricercatore sperimentale che da anni critica la legge di Hubble, secondo la quale esiste una relazione lineare tra il cosiddetto redshift (spostamento verso il rosso) delle galassie e la loro distanza. Tale legge è un caposaldo della moderna cosmologia e su di essa si basa il modello del Big Bang che gode di largo consenso tra i cosmologi. Alla base di queste critiche vi sono le osservazioni sperimentali condotte dallo stesso Arp che mostrerebbero redshift differenti tra certe quasar e le galassie a cui sono associate (i casi più significativi sono quelli del Markarian 205, dell’ NGC 7319 e del quintetto di Stephan). Se le critiche di Arp fossero valide indubbiamente rappresenterebbero una grande rivoluzione scientifica. Tuttavia le sue argomentazioni godono di scarso credito all’interno della comunità scientifica ed egli è generalmente considerato un astrofisico “eretico”. Questo non perché la comunità scientifica abbia verso di lui un atteggiamento di ostracismo preconcetto (altri suoi contributi sono infatti molto apprezzati), ma semplicemente perché le sue critiche mettono in discussione teorie che sono in grado di razionalizzare moltissimi fenomeni e che sono largamente supportate da molte altre evidenze sperimentali. Le sue osservazioni hanno inoltre ricevuto interpretazioni compatibili con le teorie cosmologiche attualmente accettate. Occorre tuttavia osservare che alcuni dati raccolti da Arp suscitano sicuramente interessanti interrogativi ai quali non si è ancora completamente risposto.
Siamo in procinto di una prossima rivoluzione scientifica, come chiede il lettore? È difficile dare una risposta. Ipotecare il futuro è sempre rischioso e in campo scientifico lo è particolarmente. L’unico giudice sarà il tempo. A tale proposito, mi sembrano quanto mai appropriate le parole che Tullio Regge dedica ad Arp: “Nessuno contesta la sua bravura professionale ma pochi accettano le sue conclusioni […] Francamente penso che le polemiche astiose siano inutili e che alla fine contino i fatti. Se c’è qualcosa di vero in quello che dicono Arp, Hoyle e altri, dato l’enorme progresso tecnico realizzato negli ultimi anni nella strumentazione, gli astronomi incontreranno ben presto oggetti inspiegabili la cui struttura non lascerà adito a dubbi” (T. Regge, L’universo senza fine, Mondadori, Milano 1999).

Nota: desidero ringraziare i “colleghi” di Vialattea Irene Torre, Daniele Malesani e Luca Boschini per gli utili suggerimenti forniti relativamente agli argomenti trattati nella presente risposta.