Le stelle delle costellazioni visibili appartengono tutte alla Via lattea? All’esterno della nostra galassia è possibile osservare solo altre galassie o con gli strumenti più moderni si possono risolvere singole stelle che ne fanno parte?

Tutte le stelle visibili ad occhio nudo fanno parte della Via Lattea (ovvero la nostra galassia).

Naturalmente una stella intrinsecamente molto brillante può essere visibile anche da molto lontano, ma nessuna stella tra quelle visibili ad occhio nudo è a più di qualche migliaio di anniluce, quindi immensamente meno delle distanze tipiche galattiche, che sono dell’ordine dei milioni di anniluce.

Tra le stelle osservabili senza alcun ausilio ottico, la più lontana e più brillante è probabilmente la stella rho della costellazione di Cassiopea (rho Cassiopeiae, o rho CAS) che dista poco più diecimila anniluce, e brilla come diverse centinaia di migliaia di stelle come il Sole. Un vero “mostro” cosmico! In realtà i dati relativi a rho CAS sono alquanto incerti, perché la sua luce è pesantemente filtrata dalla polvere interstellare, ma come ordine di grandezza siamo lì.

Per curiosità, il titolo di stella più brillante in assoluto conosciuta (stiamo parlando di stelle “normali”, non di supernovae in fase di esplosione) è forse la “Pistol Star”, divenuta famosa grazie alle osservazioni del spaziale Hubble. Si veda:

http://hubblesite.org/newscenter/newsdesk/archive/releases/1997/33/

Tuttavia anch’essa è, al massimo, poco più brillante di rho CAS, e quindi non sarebbe più visibile ad occhio nudo se posta anche a solo un decimo della distanza che ci separa dalla più vicina galassia esterna (ricordiamo che il diametro della nostra galassia è di 100-120mila anniluce, mentre la galassia più vicina, M31 in Andromeda, si trova a circa 2,7 milioni di anniluce ed è grande poco più della nostra).

Esiste una semplice relazione che lega la magnitudine apparente di un astro (m minuscola) alla sua magnitudine assoluta M (M maiuscola), che è la luminosità che un oggetto avrebbe se posto alla distanza convenzionale di 10 parsec (32,6 anniluce). Tale relazione

M = m – 5 Log(d/10)

ci permette di fare qualche rapido conto (nella formula d è la distanza in parsec e il logaritmo è quello decimale).

Prendiamo come esempio Deneb, alfa del Cigno, che è una stella mica da ridere (M=-8,3, circa 260000 volte il sole, quindi poco meno di rho CAS). Posta ad un milione di parsec da noi (3,26 milioni di anniluce, circa la distanza della seconda galassia più vicina dopo M31, ossia M33) essa avrebbe una m=16,7. Ci vorrebbe un telescopio da circa un metro di diametro per vederla visualmente, mentre basterebbe un telescopio da 20 cm e un CCD per riprenderla. Il nostro Sole, posto alla stessa distanza, avrebbe un ben più modesta m=29,8, praticamente al limite estremo del telescopio spaziale facendo pose composte da decine di ore.

In sostanza, con telescopi amatoriali accoppiati a CCD si riprendono le stelle più brillanti delle galassie più vicine, e le stelle “monstre” di galassie sino a qualche decina di milioni di anniluce (per esempio M51).

Di fatto fu l’osservazione delle più brillanti cefeidi in M31 e M33 grazie all’allora nuovissimo telescopio da 2,5 m di Mount Wilson a permettere ad Hubble di elaborare la sua celebre teoria. All’epoca, date le emulsioni sensibili “ridicole” rispetto agli standard moderni, ci voleva uno strumento da 2,5 metri per fare quello che oggi fa un 20-30 cm con CCD.
A sinistra è riportatala storica lastra in cui Edwin Hubble identificò la stella cefeide (VAR, in alto a destra) che permise la prima misura di distanza galattica.

Applicando la formuletta prima vista, si può calcolare che il telescopio spaziale Hubble, considerando come limite operativo una m=29 potrebbe osservare una stella come Deneb (M=-8,3) sino a circa 900 milioni di anniluce, ma questa stima è ottimistica perché la stella singola sparirebbe contro il fondo diffuso della galassia ospite. Di conseguenza Hubble permette di studiare le più brillanti cefeidi (M intorno a –6) sino a circa 100 milioni di anniluce, avendo comunque migliorato di un fattore 10 ciò che era possibile coi telescopi terrestri operativi al lancio di HST. Oggi la situazione sta volgendo nuovamente a favore dei telescopi giganti di ultima generazione, e recentemente al Keck (10 metri) si sono raggiunte magnitudini limite vicine a quelle di Hubble, ad un costo operativo abissalmente inferiore.

Rapide note finali: una supernova può raggiungere una M dell’ordine di –21,5. E per una buona introduzione alla fotometria stellare, in italiano, si veda:

http://www.pd.astro.it/MOSTRA/NEW/A4001FOT.HTM

Due curiosità: oggi il telescopio spaziale Hubble riprende allegramente singole stelle e persino ammassi stellari delle galassie vicine.
Come si vede nella fotografia a destra, che ritrae un ammasso nella Piccola Nube di Magellano, il dettaglio dell’immagine è tale da sembrare una fotografia di un vicino ammasso stellare, scattata da un qualsiasi osservatorio terrestre.

Infine, c’è un caso in cui una stella extragalattica sarebbe visibile (al limite!) ad occho nudo. Una supernova molto brillante in M31.