chimica organica, inorganica, ambientale, ecc.

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Vorrei sapere come funzionano i catalizzatori nel motore di una automobile.
(risponde Alberto Guercio) 

Prima di tutto due parole su che cosa e' un sistema catalitico.

Uno degli errori che piu' comunemente si compiono nel parlare di un catalizzatore e' quello di descriverlo come una sorta di lubrificante in grado di velocizzare reazioni chimiche altrimenti molto lente.

In realta' ragionare in questi termini non e' corretto, perche' in presenza del catalizzatore le reazioni in gioco sono diverse. Quello che un catalizzatore e' in grado di fare e' infatti modificare il sistema fornendo un cammino di reazione alternativo e piu' accessibile che porti dagli stessi reagenti agli stessi prodotti.

Un ulteriore vincolo che deve essere soddisfatto perche' un catalizzatore sia tale è quello della sua conservazione. Il catalizzatore non si consuma ne' si forma nell' arco di un ciclo di reazioni e puo' quindi essere utilizzato per lunghi periodi di tempo.

Facendo un esempio pratico, pensiamo alla reazione di idrogeno e ossigeno per dare acqua

H2 + 0.5 O2 ---> H2O

Questa reazione, termodinamicamente favorita, non avviene in assenza di perturbazioni esterne. Idrogeno e ossigeno possono essere messi a contatto in una camera senza che nulla accada. Basta pero' che in quella camera sia presente un filamento di platino che immediatamente si sviluppa acqua con una reazione piuttosto violenta.
Perche' ?
Evidentemente la presenza del platino ha fornito al sistema una via alternativa e piu' accessibile per la formazione dell' acqua.

La esatta determinazione del meccanismo di reazione in presenza del catalizzatore non e' mai facile e richiede spesso anni e anni di ricerche e feroci discussioni tra gli "esperti" del settore.

Per chiarire il concetto a noi basti pensare, ad esempio, che l' idrogeno venga in contatto con il Platino dando luogo a delle specie H-H assorbite sulla superficie del metallo. A causa dell' interazione di ciascun atomo di idrogeno con il metallo, il legame H-H risulta indebolito e quindi la molecola di idrogeno piu' reattiva.

La stessa cosa accade per l' ossigeno, per cui sul metallo, probabilmente in posizioni vicinali, avremo la presenza di specie assorbite H-H e O-O piu' reattive delle corrispondenti specie gassose. Allora sara' piu' facile che la reazione di formazione dell' acqua avvenga, dato che comporta la rottura di legami piu' deboli. Dopodiche' la molecola d' acqua formata si desorbira' dalla superficie del metallo tornando in fase gassosa ed il platino risultera' in questo modo inalterato.

Risultato netto di questa operazione e' proprio la reazione H2 + O2 ----> H2O. Notare che il catalizzatore non compare in nessun modo, in quanto esso non deve ne' formarsi ne' distruggersi nel corso della reazione. E' pero' un dato di fatto che la reazione non avverrebbe senza la sua presenza.

Detto questo veniamo all' applicazione dei catalizzatori alle automobili.

I motori a combustione interna prevedono l' alimentazione di un carburante idrocarburico (es. benzina) e di aria. Allo scoccare della scintilla della candela si verifica la combustione della miscela con susseguente espansione di volume che determina il movimento del pistone. Le emissioni allo scarico dei motori a combustione interna e' dunque costituita dalla miscela di gas che residuano all' interno del cilindro dopo lo scoppio, e cioe' principalmente:

Idrocarburi incombusti (e' impossibile condurre una combustione perfetta)

Monossido di carbonio (anch' esso derivante da incompleta combustione degli idrocarburi)

Biossido di carbonio (CO2) e vapor d' acqua (i prodotti della combustione totale degli idrocarburi)

Ossidi di azoto (derivanti dalla presenza di azoto come costituente dell'aria in camera di scoppio)

I convertitori catalitici hanno trovato la loro applicazione nel campo delle marmitte per automobili per eliminare il piu' possibile dagli scarichi le sostanze tossiche o dannose per l' ambiente, e cioe' il monossido di carbonio (CO), gli idrocarburi incombusti e gli ossidi di azoto (NOx).

Niente viene invece fatto per il biossido di carbonio, responsabile del cosiddetto effetto serra, che e' il prodotto principale ed inevitabile dei motori a combustione interna.

I primi convertitori catalitici, per la verita', ignoravano anche gli ossidi di azoto e si limitavano a ossidare il CO e gli idrocarburi incombusti (d'ora in avanti denominati HC) a CO2 + H2O completando in pratica la combustione iniziata in camera di scoppio.

HC + O2 ---> CO2 + H2O

CO + O2 ----> CO2

Tipici catalizzatori di ossidazione utilizzati erano a base di Platino (Pt) e Palladio (Pd) dispersi in piccolissima percentuale su matrici inerti e supportati su materiali conformati in modo da massimizzare la superficie di contatto con il gas (vedi le tipiche strutture ceramiche a nido d'ape).

La prima conseguenza dell' utilizzo di convertitori catalitici e' stata quella di imporre l' alimentazione al motore di carburanti senza piombo, poiche' il piombo rappresenta un veleno per i suddetti catalizzatori.
In parole povere la presenza di piombo nei gas di scarico comporterebbe la graduale ed irreversibile "ricopertura" dei siti attivi del catalizzatore che risulterebbero quindi indisponibili per la reazione desiderata.
Inoltre, poiche' un catalizzatore non e' in grado di funzionare a temperatura ambiente, le marmitte sono state modificate in modo da raggiungere nel piu' breve tempo possibile dall' accensione una temperatura di almeno 300-350 gradi centigradi. Questo spiega anche il motivo per cui il catalizzatore risulta praticamente inefficace nel limitare le emissioni di veicoli che compiono giornalmente numerosi brevissimi tragitti (es. casa-negozio) intervallati da soste. In queste condizioni la marmitta non raggiungera' mai la temperatura di lavoro e le emissioni allo scarico risulteranno enormemente inquinanti.

Ben presto pero' ci si e' resi conto che non si poteva ignorare il problema costituito dagli ossidi di azoto. Quindi sono state cercate delle alternative praticabili che consentissero un abbattimento anche di quella classe di inquinanti. La via scelta e' stata quella di ridurre gli ossidi di azoto ad azoto.

NOx ---> N2

La reazione e' inversa rispetto a quella di ossidazione di CO e HC e quindi si possono subito intuire le difficolta' di operarle entrambe sullo stesso catalizzatore. In effetti la contemporanea riduzione degli NOx ed ossidazione di CO e HC si e' rivelata una cosa ben difficile da realizzare, specie nelle marmitte delle automobili, in cui le condizioni sono tutt'altro che stazionarie.

I sistemi catalitici in grado di compiere la simultanea trasformazione di tutti e tre gli inquinanti sono stati denominati "three way catalysts".
Il sistema che ha mostrato le migliori caratteristiche catalitiche e' un sistema Rodio-Platino (Rh:Pt in rapporto relativo circa 1:5) sempre supportato su inerti e conformato in modo da massimizzare il contatto con il flusso gassoso.

Il principale problema di questi catalizzatori e' che, per condurre con accettabile resa sia le riduzioni che le ossidazioni, devono lavorare in una finestra operativa molto ristretta per quanto riguarda il rapporto aria/combustibile. Il valore ottimale e' aria/fuel = 14.6.

In condizioni piu' riducenti si avra' una aumentata efficienza nella riduzione degli NOx mentre il catalizzatore non riuscira' ad ossidare efficacemente CO e HC. Viceversa in condizioni ossidanti.

Conseguenza di questa necessita' e' stato il rapido pensionamento dei carburatori, non in grado di garantire una tale costanza di alimentazione nelle molteplici condizioni di utilizzo di una autovettura (accelerazioni, decelerazioni, ecc.). Al loro posto sono nati complessi sistemi di iniezione diretta in camera di scoppio collegati a sonde direttamente nella marmitta.

Sulla base delle indicazioni della sonda, in grado di "sentire" la quantita' di ossigeno residuo nella marmitta, l' iniettore regola la quantita' massima di carburante da immettere in camera di scoppio in modo da mantenere il rapporto stechiometrico.

Cosa dire della durata.

Personalmente ritengo quasi miracoloso che un sistema catalitico possa funzionare per lungo tempo in condizioni tanto difficili come quelle imposte dall' utilizzo quotidiano di una autovettura.
I catalizzatori che lavorano negli impianti chimici sono mantenuti in condizioni di temperatura costantemente controllata, con flussi di reagente di purezza nota e con periodiche rigenerazioni.
In una marmitta invece il catalizzatore deve subire migliaia di riscaldamenti-raffreddamenti che possono pregiudicarne la stabilita' meccanica e possono condurre ad una aggregazione dei metalli nobili inizialmente dispersi sulla matrice inerte. Tale aggregazione (sinterizzazione) porta a diminuzioni sensibili della superficie del metallo a contatto con il gas e conduce quindi a minori attivita' nella conversione degli inquinanti.

Inoltre la presenza di veleni (es. piombo, fosforo, ed anche in parte lo zolfo), pur se in piccolissime percentuali comporta, nel tempo, un progressivo ed irreversibile ricoprimento dei siti attivi del catalizzatore.

Un solo "pieno" fatto con benzina super col piombo in un' auto con marmitta catalitica puo' totalmente ed irreversibilmente disattivare il catalizzatore.

Alla luce di tutte queste difficolta' diventa ben difficile azzardare una ipotesi sulla durata dell' efficienza di un sistema catalitico. Essa dipende moltissimo anche dalle condizioni di esercizio della vettura, dato che un catalizzatore risulta molto meno sollecitato in vetture che vengono prevalentemente utilizzate per lunghi viaggi rispetto a quelle utilizzate giornalmente per decine di piccoli spostamenti.
Una percorrenza di 60-70000 Km puo' in ogni caso essere indicata come limite massimo.