Alcuni anni fa, fece scalpore la notizia della scoperta della fusione fredda da parte di due fisici. Di cosa si trattava, ora a che punto siamo?

Subito dopo la seconda guerra
mondiale, gli scenziati cominciaro a progettare una arma
che superasse i limiti della bomba nucleare a fissione
(il tipo che esplose sulle citta’ di Hiroshima e
Nagasaki). Una bomba a fissione, infatti, non puo’
provocare esplosioni di energia superiore a circa 1
milione di tonnellate di TNT, perche’ vi sono dei limiti
alla quantita’ di isotopi fissili (per esempio uranio)
che si possono utilizzare su di un ordigno di questo
tipo.
La
strada seguita fu quella di cercare altre reazioni
nucleari che non avessero limiti sulla quantita’ di
isotopi da “bruciare”. Si progetto’, cosi’, una
bomba che realizzasse la fusione nucleare di due
isotopi dell’idrogeno, la famosa “bomba ad
idrogeno”, o “bomba H”. Nel 1952 si ebbe
la prima esplosione di una bomba H, di proprieta’
americana.
Purtroppo
gran parte del progresso tecnologico e’ avvenuto (ed
avviene ancora oggi) grazie agli “scarti” della
ricerca bellica, che puo’ contare in tutto il mondo di
investimenti in uomini, denaro e mezzi, veramente
impressionanti, se confrontati con la ricerca civile.
 

Dagli “scarti” delle ricerche
sulle bombe si ottennero numerosi dati importanti per la
comprensione del “funzionamento” delle reazioni
nucleari. Fu chiaro da subito che ci si trovava di fronte
a delle potenziali fonti di energia davvero grandi, ed il
loro sfruttamento poteva portare ad un sostanziale
miglioramento della vita di tutti, aumentando
cospicuamente l’energia disponibile per le attivita’
produttive.
All’universita’
di Chicago, il 2 dicembre del 1942, Enrico Fermi (che era
dovuto emigrare in America “grazie” alle leggi
razziali italiane) accese, per la prima volta, un
reattore nucleare a fissione, dando inizio all’utilizzo
civile del nucleare da fissione.

Ancora oggi, invece, non c’e’ un
utilizzo civile del nucleare da fusione, a parte quello
sperimentale nei laboratori di ricerca. E non si vede, a
breve, nessuna possibilita’ di utilizzo di questa fonte
di energia (se si escludono le reazioni di fusione
nucleare che avvengono nella nostra stella, il Sole, e
che rendono possibile la vita sulla Terra….)
 

Ma vediamo un attimo in maggior
dettaglio che cosa sono le reazioni nucleari.
Partiamo da un esempio a noi piu’ familiare: il fuoco.
Cosa avviene quando un pezzo di legna brucia? Avvengono
delle reazioni chimiche che
“trasformano” la legna in altre cose (cenere,
anidride carbonica e composti minori). In piu’ si libera
energia. In una reazione nucleare avviene una cosa
simile: si ha una trasformazione del
“combustibile” in altri prodotti, e
contemporaneamente una liberazione di energia. La
differenza piu’ importante e’ che mentre nelle reazioni
chimiche i fenomeni che avvengono interessano gli
elettroni (cioe’ la parte piu’ esterna di un atomo),
nelle reazioni nucleari si modifica il nucleo, cioe’ la
parte piu’ piccola, interna e massiccia dell’atomo. Come
per le reazioni chimiche anche le reazioni nucleari hanno
spesso bisogno di una “scintilla”, per
avviarsi. E questa “scintilla” potrebbe dover
essere piu’ o meno intensa a secondo dei
“combustibili” (chimici o nucleari che siano);
per esempio e’ noto a tutti quelli che hanno provato ad
accendere un fuoco che l’alcol etilico si accende molto
facilmente, mentre la legna richiede un certo impegno.

Per i combustibili nucleari si ha che
un isotopo dell’uranio “si accende” molto
facilmente (reazione di fissione), mentre l’idrogeno
utilizzato nelle bombe H ha bisogno di una
“scintilla” molto piu’ intensa: addirittura per
poterla innescare si utilizza una bomba nucleare a
fissione! E’ proprio questa “difficolta’ di
accensione” che permette di poterne utilizzare una
quantita’ grandissima, sulle bombe. Ma e’ anche la piu’
grossa difficolta’ al suo utilizzo civile. Ed e’ per
questo che, negli ultimi 20 anni, si e’ cercato di
trovare delle “scorciatoie”. Cos’e’ una“scorciatoia”?
Anche in questo caso il paragone con la chimica potra’
essere illuminante. Forse qualcuno di voi avra’ provato a
bruciare lo zucchero. Chi l’ha fatto avra’ notato che lo
zucchero brucia con difficolta’; mentre se ad esso si
mischia della cenere la combustione avviene molto piu’
facilmente. E’ un’esperimento istruttivo che puo’ fare
chiunque (con le dovute cautele!) La cenere e’ quello che
si chiama un catalizzatore per
la reazione di combustione dello zucchero.
Cioe’ rende minore
l’energia di attivazione della reazione, in modo che una
“scintilla” più piccola sia sufficiente per
avviare la reazione. Il meccanismo di azione dei vari
catalizzatori puo’ essere molto diverso e specifico da
reazione a reazione, e per comprenderlo e’ importante
capire in dettaglio perche’ in ciascun caso si ha proprio
quella specifica energia di attivazione (cioe’ perche’
serve una scintilla almeno <di quella intensita’>,
o superiore, per accendere quella particolare reazione)

Si e’ pensato abbastanza presto di
provare a cercare dei catalizzatori per la reazione di
fusione nucleare degli isotopi dell’idrogeno. Ma con
scarsi risultati, almeno inizialmente.   Vediamo ora
perche’ e’ necessaria un’energia cosi’ grande per poter
“accendere” una reazione di questo tipo. La
fusione nucleare consiste nell’avvicinamento dei nuclei
di due atomi a distanza tale che questi diventano un
nucleo solo: quello dell’elio (o meglio di uno dei suoi
isotopi). La distanza fino a cui e’ facile avvicinare due
atomi di idrogeno (o due isotopi) e’ circa 1000 volte
maggiore di questa. Per andare oltre bisogna vincere le
notevoli forze repulsive che si esercitano tra i due
nuclei, poiche’ essi hanno la stessa carica elettrica (un
po’ come quando si cerca di avvicinare due calamite,
orientate in modo da presentare lo stesso polo
magnetico). Il modo in cui questa naturale repulsione
viene vinta nella convenzionale fusione nucleare
“calda” (o termonucleare, come si usa dire) e’
quello che avviene nel centro del Sole: gli atomi sono
soggetti ad una fortissima pressione (nella nostra stella
dovuta al peso degli strati di materia sovrastanti) ed in
piu’ ciascun atomo ha una elevatissima velocita’ rispetto
agli altri (il che equivale a dire che sono a temperature
dell’ordine dei milioni di gradi). In queste
condizioni e’ piu’ facile che due atomi di idrogeno
riescano ad avvicinarsi quanto basta per dare luogo alla
fusione termonucleare. Nella bomba H si utilizza una
bomba termonucleare a fissione per raggiungere le
condizioni di pressione e temperature necessarie
all’innesco della fusione.

Nel tipo piu’ comune di reattori
sperimentali in cui si sta cercando di realizzare la
fusione termonucleare controllata dell’idrogeno si
utilizzano dei campi magnetici per sostenere e
pressurizzare l’idrogeno (poiche’ nessun materiale
sarebbe in grado di resistere alle temperature e
pressioni necessarie), e vari metodi per riscaldarlo. E’
chiaro che questa tecnica (cosi’ come le altre che si
basano su alte pressioni e temperature) presenta grossi
problemi tecnici. Negli anni ottanta ci sono stati vari
tentativi per trovare una maniera meno
“brutale” di avvicinare fra loro gli atomi alla
distanza necessaria. E’ opportuno sottolineare che non
puo’ esistere una maniera chimica di avvicinare cosi’
tanto gli atomi, poiche’ le distanze in cui la chimica
agisce sono 1000 volte maggiori di quanto richiesto.
 

Il 23 marzo 1989 gli elettrochimici
Martin Fleischman e Stanley Pons, dell’universita’ dello
Utah a Salt Lake City annunciarono di aver rivelato un
processo di fusione degli atomi di deuterio (un isotopo
dell’idrogeno), a temperatura ambiente, in cella
elettrolitica con catodo di palladio.   Si
stava imboccando la via giusta? Non era, per la verita’,
la prima volta che si diffondevano notizie di
catalizzazione, per diverse vie, delle reazioni di
fusione (gia’ alcuni anni prima era comparso un articolo
dal titolo “fusione nucleare fredda” su Scientific
American –
disponibile anche in lingua italiana sul
numero 229 de Le Scienze). Era la prima volta, pero’, che
la cosa avveniva in maniera cosi’ strana,
“atomica”, mi si passi il termine, senza
interventi prettamente nucleari comi ci si aspetterebbe
(nell’articolo citato sopra, invece, la catalizzazione
avvenina tramite muoni, particelle sub-atomiche)
Anche il tempestivo interesse dei mezzi di comunicazione
di massa lasciava supporre due cose: o era davvero una
scoperta fondamentale, oppure era la classica bufala che
veniva spacciata per scoop.  In ogni caso in tutto
il mondo si cerco’ di riprodurre l’esperimento, per
vedere di cosa si trattasse. Fu chiaro da subito un
grosso problema: la riproducibilita’ dell’esperimento non
era garantita, c’era qualcosa che sfuggiva.

Una caratteristica fondamentale della
ricerca scientifica e’ la riproducibilita’: quando e’
chiaro quali sono le condizioni in cui si manifesta un
certo fenomeno (pressione, temperatura, purezza dei
materiali, etc) l’esperimento deve potersi ripetere con
una sua regolarita’. Cio’ non avveniva nei vari
laboratori: c’erano degli apparecchi, apparentemente
identici, che non erano in grado di dare gli stessi
risultati fra loro. Questo poteva voler dire due cose: o
non si comprendeva bene cosa stesse accadendo e si
tralasciassero degli aspetti fondamentali, oppure si era
di fronte ad un fenomeno spurio, dovuto ad altre cause.

Il 22 aprile del 1989 (a meno di un
mese dalla pubblicazione del lavoro di Fleishman e Pons),
il fisico italiano Francesco Scaramuzzi, dell’ENEA di
Frascati, presento’ una relazione in cui dimostro’
l’emissione di neutroni da parte di sistema
deuterio-titanio. Si trattava di un sistema diverso da
quello utilizzato dai due statunitensi ma sembrava
dimostrare inequivocabilmente la possibilita’ di reazioni
nucleari degli isotopi dell’idrogeno, se posti in
opportune condizioni insieme a metalli come il palladio
od il titanio. Infatti l’emissione di neutroni sarebbe
altrimenti inspiegabile per motivi esclusivamente
chimici. Se da un lato questa era un’ottima notizia,
poiche’ sembrava confermare la possibilita’ di reazioni
nucleari “fredde”, dall’altro riportava in
primo piano il problema dei rifiuti radioattivi, poiche’
l’emissione di neutroni e’ una grossa fonte di
radioattivita’ indotta (problema grave per quasi tutte le
reazioni di fusione nucleare e specialmente per quelle
che si mostrano come le piu’ promettenti reazioni di
fusione nucleare “calda”)   La relazione
di Scaramuzzi ed altri risultati spingevano ancora di
piu’ a tentare di riprodurre l’esperimento iniziale, od
alcune sue varianti. I risultati continuarono ad essere
incerti e cio’ allontano’ quasi subito l’interesse dei
piu’ scettici.

Anche nei laboratori che ottenevano i
risultati migliori gli esperimenti non andarono sempre
nel verso sperato. Ciononostante le ricerche
proseguirono, ed alcune industrie giapponesi (sempre
pronte a sfruttare tecnologicamente i risultati della
ricerca scientifica) decisero di investire i loro soldi
nel campo. Produssero anche dei brevetti, ma sempre con
le caratteristiche di imprevedibilita’ di funzionamento.
In piu’ questi brevetti risultarono troppo costosi per
essere utilizzati, ma, si sperava che, col tempo si
sarebbero escogitate varianti piu’ economiche.  
Ovviamente anche dal fronte teorico si svilupparono delle
possibili spiegazioni, piu’ o meno fantasiose. Nessuna
pero’ fu in grado di descrivere come si vorrebbe la
fenomenologia osservata, ne’ tantomeno di predire con
successo esperimenti ancora non effettuati, cosa che
sarebbe stata di grande aiuto nella ricerca di soluzioni
di piu’ efficienti dispositivi sperimentali.

L’unica cosa che fu chiara da subito e’
che la realizzazione della fusione fredda non capovolge
nessuna delle leggi della fisica a noi note: si tratta
solo di una reazione di catalizzazione, molto importante
per i nostri scopi tecnologici, forse, ma assolutamente
ininfluente sulla nostra comprensione generale del mondo.
  Passano gli anni e l’interesse del pubblico
diminusce. Lo spettro di una crisi energetica (che era
una delle principali cause dell’interesse dei mass media)
era stato sempre presente negli anni ottanta, ma viene
dimenticato ben presto negli anni novanta. La gente ha
gia’ una fonte di energia abbondante ed economica: e’ il
petrolio, perche’ parlare d’altro? La fusione fredda
ritorna nel limbo dei laboratori di ricerca, accompagnata
anche da altre “invenzioni”, forse meno
sensazionali, ma ancora piu’ importanti (alcune gia’
tecnicamente pronte alla commercializzazione e
sufficientemente economiche da reggere la competizione).
La produzione e la gestione di quel bene fondamentale che
e’ l’energia viene lasciata ai capricci dei paesi del
cartello dell’OPEC, che (Guerra del Golfo a parte)
sembrano non dare piu’ troppi problemi.  

Intanto le ricerche sulla fusione
proseguono, ma i risultati non vanno di pari passo con
gli sforzi dei ricercatori. Tutti i gruppi di ricerca
concordano nell’avere ottenuto una produzione di calore
anomala, nell’interazione fra alcuni metalli ed isotopi
dell’idrogeno. Vengono meno anche le certezze che questa
produzione di calore dipenda davvero da reazioni nucleari
e non da normali reazioni chimiche non ancora comprese.
La riproducibilita’ dei risultati resta ancora un
miraggio. La maggior parte degli scienziati inizia a
credere che si sia trattato di un bluff, ma le ricerche
continuano ancora (in Italia mi risulta che ci siano, a
tutt’oggi, circa un centinaio di persone che fanno
ricerca in questo campo).   Da quanto ne so
l’industria ha perso interesse al problema, se non altro
perche’, con le tecnologie che offrono piu’ speranze, la
produzione di energia e’ modesta, per renderne economico
l’uso. Ma la ricerca continua, e, prima o poi, sapremo
che cosa succede, solo alcune volte, in quelle celle
elettrolitiche.   

Per concludere vorrei fare una
riflessione: l’eventuale sviluppo futuro della fusione
nucleare (fredda o calda che sia) portera’ davvero una
svolta nel nostro mondo? Io, purtroppo, sono portato a
credere di no. Questo mio pessimismo e’ motivato dal
fatto che gia’ oggi ci sono molte applicazioni che non
vengono prese in considerazione, preferendo i classici
derivati del petrolio. E questo nonostante le pressioni
di chi ha a cuore il rischio che il clima del nostro
pianeta venga sconvolto da un abuso di combustibili
fossili. Che tra l’altro non sono una fonte inesauribile,
anzi oggi iniziamo a vederne la diminuzione…

Vedi anche: